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Oltre il PIL: la decrescita

di Joan Martinez Alier - 13/02/2012


L’espressione “Beyond GDP” (Oltre il Pil) è di moda a Bruxelles fra i funzionari e i politici europei . Quarant’anni in ritardo rispetto all’ex Presidente della Commissione Sicco Mansholt, il quale aveva già criticato il Pil e suggerito di porre fine alla crescita economica dei paesi ricchi, lo slogan a Bruxelles è ora il seguente: “Economia verde: oltre il Pil”. Tuttavia, non è ancora stato ufficialmente riconosciuto, se non come plausibile programma politico quantomeno come interessante campo di ricerca, che “la decrescita economica porta ad un’economia stazionaria”. La crescita del Pil va di pari passo con la crescente pressione sulla biodiversità, con il cambiamento climatico, e con la distruzione dei mezzi di sussistenza umana posti oramai alle “frontiere del commercio”. Gli attivisti ambientali sono rassicurati dalle critiche mosse al Pil dall’ambiente accademico. Infatti, già molto tempo fa, femministe e accademici proposero un’argomentazione molto convincente contro l’efficacia del Pil, dal momento che “dimentica”di includere non solo i servizi della natura, ma anche il lavoro domestico non retribuito (Waring, 1988). Un altro tipo di critica sta oggi emergendo nel settore sociale: si tratta del cosiddetto Easterlin Paradox nella versione aggiornata grazie al lavoro di psicologi sociali (anche vincitori di Premi Nobel per l’economia). Sembra che, al di sopra di un certo livello di reddito pro capite (poniamo, 10.000 € l’anno), l’aumento della felicità non sia correlato ad incrementi di reddito. Queste critiche vanno ben oltre l’introduzione di misurazioni complementari dello sviluppo sociale come l’HDI (indice di sviluppo umano), il quale è strettamente connesso, nei diversi paesi, al Pil pro capite. Esse sorpassano anche l’idea di rendere semplicemente più “verde” il Pil o l’introduzione di altri indicatori satelliti (in termini fisici o monetari). Tra gi indicatori fisici di sostenibilità il più conosciuto è l’Impronta Ecologica (EF) che, inaugurato nel 1992 a una Conferenza di Economia Ecologica (Rees e Wackernagel, 1994), ha riscosso il successo delle organizzazioni ambientaliste – il WWF, per esempio, pubblica regolarmente i suoi risultati. L’Impronta Ecologica quantifica in ettari l’uso pro capite di terra per cibo, fibre, legno, includendo anche lo spazio edificato (terreno asfaltato per case e
strade) e l’ipotetico terreno che assorbe l’anidride carbonica prodotta dai combustibili fossili. Per le ricche economie industriali il totale arriva a 4 o più ettari pro capite, dei quali più della metà rappresenta il terreno necessario per l’assorbimento dell’anidride carbonica. Andare oltre il Pil, in Europa, non dovrebbe significare solo "rendere più verde il Pil" o, all'altro estremo, inchinarsi dinanzi ad un unico indicatore ambientale come l’Impronta Ecologica ma, piuttosto, si dovrebbe andare verso una valutazione multicriteriale dell'economia, utilizzando otto, dieci, dodici indicatori sociali, culturali, economici e di performance ambientale (Shmelev e Rodriguez-Labajos, 2009). Forse tutti gli indicatori migliorano di pari passo in certi periodi storici, ma è più probabile che, mentre alcuni progrediscono, altri jsi deteriorano. Come esempio prendiamo le conseguenze, in Spagna, della crisi economica del 2008-09: accanto a una sostanziale diminuzione delle emissioni di anidride carbonica, di incidenti sul luogo di lavoro, di potenziali annegamenti in mare di immigrati e del tasso di edificazione dei suoli, si è verificata anche una maggiore disoccupazione e, probabilmente, un aumento di alcune forme di criminalità. Stiamo meglio adesso che nel 2007? O piuttosto sarebbe meglio accordarsi su una metodologia di valutazione macroeconomica partecipativa, basata su diversi criteri e indicatori socialmente accettati? “Beyon GDP” dovrebbe significare andare oltre l’imperativo unico della crescita economica nei paesi ricchi. Il Décroissance movement francese e quello della Decrescita in Italia si sono basati in parte sull’ economia ecologica e, in particolare, sulle opere di Georgescu-Roegen. Alcuni dei suoi articoli sono stati tradotti e pubblicati trent’anni fa (da Grinevald e Rens, 1979) con il titolo “Domani la decrescita”, con la quale egli concordava apertamente. Forse era la prima volta che l’espressione “decrescita economica” veniva utilizzata come slogan. La maggior parte degli attivisti francesi e italiani vicini al movimento della Decrescita hanno forse letto alcuni tra i suoi articoli, ma non i suoi libri in materia di energia, materiali ed economia (1966 – introduzione, e 1971): essi non sono infatti disponibili in francese o in italiano, oltre ad essere difficili da digerire. Ma questo non impedisce loro, come attivisti, di cantare le lodi di Georgescu-Roegen; nulla da criticare in tutto questo che, sebbene sia motivo di rammarico per gli studiosi, è nella natura stessa dei movimenti sociali. Gli attivisti della Decrescita in Francia e in Italia abbracciano il concetto di ecologia industriale conosciuto come paradosso di Jevons, o “effetto rimbalzo” (Polimeni e al, 2009), hanno letto opere di economisti antropologi quali Serge Latouche (2007) e vengono ispirati dai pensatori ambientalisti degli anni ’70, come André Gorz e Ivan Illich. Ma la Decrescita non è solo basata su testi “icona”: si tratta di un movimento sociale nato dalle esperienze dico-abitazione, occupazione, neo-ruralismo, di riappropriazione delle strade, delle energie alternative,della prevenzione dello spreco e del riciclaggio. Si tratta di un nuovo slogan, di un nuovo movimento e,
presto, anche di un nuovo programma di ricerca. Sarà una scienza guidata dagli attivisti, verso una nuova ramificazione nelle scienze della sostenibilità sociale che potrebbe chiamarsi “studi sulla decrescita economica”, strettamente connessa agli studi sulla “transizione socio-ecologica” (Fischer-Kowalski e Haberl, eds., 2007, Haberl e al, 2009, Krausmann e al, 2008, Krausmann e al, 2009). Non esiste ancora nessun movimento assimilabile alla Decrescita in Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone, ma la convergenza di attivisti della decrescita con economisti ecologici ed ecologisti industriali ha già prodotto due conferenze scientifiche in Europa (Parigi, aprile 2008, e Barcellona, marzo 2010, www.degrowth.eu). L’espressione “decrescita economica” è stata introdotta con successo nelle pubblicazioni accademiche, mentre una varietà di temi che fanno parte del programma di ricerca sulla decrescita sono elencati nel bando di documenti per la Conferenza di Barcellona. Nel Journal of Cleaner Production, rivista di ecologia industriale, è apparsa una collezione di articoli scritti in occasione della prima conferenza (a cura di Schneider, Kallis e Martinez-Alier, 2010); tra questi è notevole l’articolo di Christian Kerschner, nel quale spiega la critica di Georgescu-Roegen all’”economia stazionaria” di Daly (Daly, 1973, 1991, 2007), guardando, da parte sua, alla decrescita come a una tappa verso un’economia stazionaria. Un ottimo libro con articoli dalla prima Conferenza di Parigi del 2008 è stato pubblicato in francese (Mylondo, 2009). Forse la Direzione Generale della Ricerca della Commissione Europea incentiverà presto proposte di ricerca che rientrino nella descrizione: “Oltre il Pil: Decrescita economica Socialmente Sostenibile. Aspetti ambientali, sociali, tecnologici, finanziari, socio-psicologici e demografici della decrescita economica che conduce ad un’economia stazionaria in Europa e nelle altre economie avanzate". Ancora una volta, una scienza guidata dagli attivisti.
 

Superare il Pil come unico strumento contabile in Europa significa adottare una misurazione dell’economia multicriteriale, scrive Joan Martinez Alier nel suo saggio in occasione della seconda Conferenza sulla Decrescita Economica per la Sostenibilità Ambientale e la Parità Sociale (Barcellona, 26-29 marzo 2010).

Traduzione di Giulia Puppini 
Fonte: European Alternatives euroalter.com