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400 allegri giornali morti

di Massimo Mantellini - 14/02/2012

Fonte: mantellini.it


Le difficoltà economiche de Il Manifesto, esattamente come accaduto per Liberazione o per Il Foglio scatenano automatismi difensivi comprensibili. Così anche la categoria giornalistica, istituzionalmente deputata a raccontare gli sprechi pubblici, i vizi delle caste, gli ignobili vitalizi dei parlamentari, le esorbitanti guarentigie dei boiardi di Stato, viene colpita da improvvisa amnesia quando si tratta di raccontare gli sprechi di casa propria. 

Nessuno o quasi sui giornali scrive che non è giusto che un quotidiano si regga pressoché interamente con il finanziamento pubblico. Che non è giusto che il pubblico dei suoi tantissimi non lettori paghi interamente gli stipendi dei giornalisti e dei poligrafici e che questo accada ininterrottamente ormai da decenni. Eppure è una ovvietà e lo è non da ieri.
Altra ovvietà: i giorni scorsi la direttrice de Il Manifesto ha ripetuto la solita frase che si dice sempre in questi casi: “stanno uccidendo il pluralismo”. È una sciocchezza: se riusciamo ad astrarci un istante dal singolo caso in questione, l’informazione italiana non è mai stato tanto pluralista quanto lo è oggi. Per un singolo giornale di carta che non trova lettori (perché i poteri forti lo stritolano, perché la TV mangia tutta la pubblicità, perché Berlusconi non c’è più ecc.) ci sono dieci giornali di bit che raggiungono ogni giorno dieci o cento volte i lettori de Il Manifesto. Dieci o cento volte, numeri reali. Accanto a Il Manifesto troviamo i politici amici, per esempio il parlamentare Giulietti che nei giorni scorsi si è fieramente schierato dalla parte del quotidiano. Per esempio Vincenzo Vita la cui difesa del Manifesto dalle pagine de Il Manifesto attribuisce il taglio ai finanziamenti pubblici all’editoria ad una crudele volontà punitiva del governo di centro-destra:

“La crisi del Manifesto è l’epifania del disastro italiano dei media. La dichiarazione di liquidazione coatta amministrativa è un avvertimento generale. Un paese a baricentro televisivo rischia di vedersi privare del fondamento della democrazia: la libertà di espressione, che intanto ha senso in quanto permette alle voci meno tutelate dal mercato di esistere. La crisi di oggi ha origine antiche: lo squilibrio del settore e l’invadenza commerciale del modello mediatico prevalente. E recenti: i tagli del centrodestra al fondo editoria, ridotto dalla manovra di agosto a 53 milioni di euro, un decimo rispetto a pochi anni fa. Tagli lineari, avvenuti in corso d’anno finanziario, mettendo in crisi bilanci già scritti e previsioni acquisite, affidamenti bancari prima incerti e ora preclusi. Si era sperato che un emendamento presentato da tanti parlamentari al decreto milleproroghe trovasse aperture, ma non è stato così”.

Lo scatenamento della coppia Giulietti-Vita ha del resto qualcosa di curioso: si tratta dei medesimi due parlamentari che un decennio fa incasinarono orribilmente la Internet italiana con una pessima legge che intendeva estendere anche al web i finanziamenti pubblici ai giornali “meritevoli”. A margine credo non sfugga a nessuno che una informazione abbondantemente finanziata dal sistema politico è per forza di cose una informazione altrettanto strettamente controllata da quello stesso potere. Il pluralismo, esattamente come avviene per le spartizioni nella TV pubblica, risiede esclusivamente nella possibilità che ogni frangia politica abbia il proprio piccolo megafono pagato dai cittadini.

Può essere che l’informazione in rete crei nuovi problemi al giornalismo e quindi di conseguenza a noi tutti: se ne discute da anni ed è un rischio concreto, ma è un tema economico generale che non ha nulla a che vedere con la mancata rianimazione manu Monti di gloriosi vecchi giornali morti. Quando la stampa difende i propri privilegi contro ogni logica rende probabilmente un cattivo servizio ai suoi lettori. Lo stesso fa la politica dei soliti noti: agitano la parola pluralismo e la parola democrazia con la medesima frequenza e leggerezza con cui Wile E. Coyote precipita dalla rupe giù nel canyon. E come Wile E. Coyote, mostrano una certa vetusta testardaggine, non c’è verso di farli smettere.