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Tra Pubblico e Privato c’è la Terza Via

di Alessandro Cappelletti - 14/02/2012


Varese e Como sono due province dell’estremo Nord Italia che si guardano negli occhi, spesso in cagnesco, divise da un campanilismo antico che si manifesta ancora oggi quando si incontrano le rispettive squadre di calcio e basket. Sarà per questo che, a tutt’oggi, non esiste un percorso autostradale che le colleghi direttamente? Chi volesse partire dall’una città per raggiungere quell’altra, deve infatti percorrere strade provinciali che si infilano nei paesini di mezzo ovvero prendere la Milano-Laghi fin quasi alle porte del capoluogo per poi tornare su.

Eppure ci troviamo in un’area che si vanta di essere economicamente la più ricca e produttiva della Nazione e ancora oggi tra Varese e Como non esistono strade ad alta velocità che permettano una comunicazione diretta!

Fino all’avvento della rivoluzione industriale, le principali vie di comunicazione e trasporto erano legate all’acqua. Non a caso le più antiche civiltà sorsero in riva a fiumi o mari. La civiltà egiziana, Atene, Roma, Parigi, Londra, Venezia, Genova, perfino Milano, in epoca rinascimentale, si dotò di un sistema di canali che giungevano fino al Duomo: esistono rare foto del primo novecento che testimoniano l’arrivo di barconi che trasportavano materiale dalle cave di Gravellona Toce, in provincia di Verbania, fino al centro della città per la costruzione della cattedrale.

Successivamente, grazie alla scoperta dell’elettricità e all’invenzione dei motori a scoppio, il trasferimento di merci e esseri umani passò prevalentemente su rotaia prima e per le strade nei decenni successivi. La riduzione dei tempi di viaggio creò l’illusione di un avanzamento economico e sociale senza limiti. Solo la grande guerra mostrò ai popoli l’altra, terribile faccia del progresso, quando tutte quelle novità furono introdotte anche nel combattimento tra gli eserciti.

Nonostante ciò, per fortuna, lo sviluppo stradale, autostradale e ferroviario, almeno nelle nazioni evolute, ha continuato a essere al centro degli investimenti per il miglioramento delle comunicazioni e la riduzione dei tempi di percorrenza. In Italia, al contrario, una piccola comunità montana può bloccare lo sviluppo dell’alta velocità ferroviaria, la burocrazia ottusa può impedire a Roma di avere una rete metropolitana degna di una capitale, la mancanza di fondi economici può negare a Varese e Como di essere collegate direttamente da un’autostrada. Tanto per citare qualche esempio nel mare dei progetti rimasti tali o mai portati a definitivo termine.

Nel 2009,in piena bagarre elettorale per le regionali lombarde, fu inaugurato in pompa magna il cantiere della Pedemontana, un’autostrada che, appunto, tira una linea retta tra Varese e Como, progetto finalmente partito dopo decenni di promesse, grazie a investimenti privati che avrebbero avuto poi la gestione delle infrastrutture. Sono stati avviati scavi, disboscamenti, espropri, deviazioni stradali che hanno isolato abitazioni e attività, con la previsione di chiudere i lavori entro il 2015, anno in cui a Milano si terrà l’Expo mondiale. Oggi c’è il concreto rischio che tutto si blocchi per bancarotta delle aziende coinvolte. La crisi economica e le difficoltà ad accedere ai finanziamenti, stanno rallentando e condizionando pesantemente i lavori, al punto che secondo Assolombarda, l’associazione regionale degli industriali: “non sarà pronta per Expo”. (La Provincia di Varese, 6 febbraio 2012).

Secondo il loro Osservatorio Territoriale Infrastrutture, mancherebbero finanziamenti per 3,5 miliardi dei 5 preventivati. Gli stessi problemi minacciano la realizzazione di altre opere, come la Brebemi (collegamento diretto tra Brescia, Bergamo e Milano) e il collegamento ferroviario tra Parabiago e Gallarate, ovvero tra la Fiera di Rho, dove si terranno le principali attività di Expo, e l’aeroporto di Malpensa.

Il sindaco di Varese, Attilio Fontana, ha così commentato: «Questi problemi ci dicono che bisogna smetterla di santificare il privato, a volte ci vuole il pubblico a volte ci vuole il privato» (La Provincia di Varese, 6 febbraio 2012).

Di fatto si tratta dell’ennesima sconfitta del capitalismo e del liberismo che vuole eliminare qualsiasi presenza dello Stato negli affari socio-economici dei popoli. Come dice giustamente Fontana, a volte serve il pubblico, a volte il privato. Solo il giusto bilanciamento di questi estremi è capace di generare crescita e sviluppo, non l’eccesso dell’uno o dell’altro, ma poli opposti che vengano regolati in base alle situazioni contingenti e alle necessità. Il Liberismo che si auto-regolamenta da sé piuttosto che il socialismo reale sono solo teorie economiche che applicate nella realtà devono scontrarsi con il Fattore Umano, ovvero il peggior virus sterminatore mai apparso sulla terra.

Non esiste una ricetta esatta, ma un’intelligente applicazione dei concetti.

Negli anni 30, per esempio, contrariamente alle consolidate abitudini degli Stati Uniti d’America, il presidente Theodore Roosvelt lanciò una massiccia campagna di investimenti statali per far fronte alla crisi finanziaria, bancaria e industriale del 1929, che assorbirono buona parte dei milioni di disoccupati e, allo stesso tempo, modernizzando le infrastrutture. In Italia, negli stessi anni, il Governo salvò l’Italia dalla catastrofe con la creazione dell’Iri a supporto delle aziende in difficoltà ed attuò di riforme economiche di “terza via” talmente moderne che ancora  oggi compaiono qua e là tra le idee di certi economisti contemporanei (come l’invito a investire nei titoli di stato come forma di salvataggio della Nazione piuttosto che il finanziamento alle banche in cambio di azioni delle stesse). La “Terza Via” è ciò che ha permesso alla Russia di ritrovare la propria dignità dopo che gli anni ultra-liberisti di Eltsin l’avevano ridotta in povertà estrema: nazionalizzando le attività produttive finite nelle mani dei mafiosi e rinunciando agli aiuti strozzini dell’FMI, il presidente Putin ha ridistribuito la ricchezza in tutta la nazione, al punto che oggi i russi sono tornati a guardare negli occhi le altre potenze decidendo da sé il proprio destino.

Il Pubblico che aiuta il Privato, il Privato che finanzia il Pubblico per lo sviluppo dell’uno e dell’altro.

E’ chiaro che queste tesi oggi siano pura fantascienza, dal momento che la politica ha definitivamente abdicato a favore delle lobby finanziarie, anche se gli esempi recenti di Argentina e Islanda una speranza ce la lasciano. Eppure continuiamo a sostenerle con forza, soprattutto in questi momenti, per non diventare passivi sudditi dei servi della servitù!