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Anche l’Italia tra gli sconfitti della guerra contro Gheddafi

di Giorgio Cattaneo - 26/02/2012

Gheddafi voleva una moneta unica africana, sostenuta dai proventi del petrolio, per uno sviluppo autonomo dell’Africa, capace di sganciare il continente nero dal controllo dell’Occidente: scommessa stroncata sul nascere, con la guerra. Un golpe, travestito da rivoluzione: non che i libici fossero felici di subire la spietata dittatura di Gheddafi, ma i leader della “nuova Libia” – tutti quanti: Jalil, Jibril, Younis – erano i più stretti collaboratori del “macellaio di Tripoli”. Qualcuno lo aveva capito fin dall’inizio: mentre le folle di Tunisi e del Cairo avevano assediato i palazzi del potere, il 17 febbraio 2011 erano stati gruppi armati ad attaccare posti di polizia e sedi governative a Bengasi. Operazione celebrata dai media come “lotta di liberazione”, in realtà pianificata da Parigi e Londra con l’appoggio di Washington, e totalmente subita da Roma: Berlusconi quella guerra non la voleva, e nel deserto libico l’Italia ha perso una quota molto rilevante della propria sovranità energetica.

Lo afferma Paolo Sensini, autore del libro-denuncia “Libia 2011” (Jaca Book), con prefazione del vescovo di Tripoli, monsignor Giovanni Martinelli. Libia Intervistato dal blog “PennaBiro” ad un anno dallo scoppio delle ostilità, Sensini denuncia la frammentazione tribale della Libia, dove sono tuttora in corso aspri conflitti a fuoco pressoché quotidiani, e spiega che Usa, Francia e Gran Bretagna stanno replicando lo stesso “copione” in Siria, dove commando inglesi e francesi guidano sul terreno miliziani “islamici” che reclutano oppositori di Bashar Assad ma intanto armano la rivolta puntando alla guerra civile e impegnando, anche con armi pesanti, l’esercito siriano. Ma se in Libia i russi probabilmente non si aspettavano una guerra così fulminea e brutale – all’Onu votarono per una “no-fly zone”, non per bombardamenti a tappeto – probabilmente a Damasco le cose andranno diversamente: Russia e Cina frenano le Nazioni Unite, e inoltre «anche Brasile, India, Iran e Venezuela potrebbero entrare in campo a favore della Siria nel caso di un possibile intervento bellico». Senza contare il vero obiettivo finale, l’Iran, che resta comunque «una potenza militare tutt’altro che di secondo piano».

E mentre i media – esattamente come in Libia – ci raccontano «la filastrocca dei ribelli che vogliono la democrazia e il regime cattivo che bombarda tutti», facendo finta di non sapere come stanno le cose e ignorando che Usa, Francia, Gran Bretagna, Qatar, Arabia Saudita e Israele «hanno tutto l’interesse affinché vadano in pezzi gli scenari consolidati» dei loro antagonisti nello scacchiere mediorientale, Sensini riflette sul risultato meno evidente della drammatica liquidazione di Gheddafi: la ulteriore retrocessione dell’Italia, senza le cui basi (Aviano, Grosseto, Sigonella, Trapani-Birgi, Amendola, Pantelleria, Gioia del Colle, Decimomannu) l’operazione non avrebbe potuto essere realizzata. Da marzo a novembre sono state compiute migliaia di missioni di attacco, «quindi l’Italia doveva Gheddafiper forza di cose entrare nel conflitto, anche se l’azione era di fatto tutta contro gli interessi strategici del nostro paese».

E qui sta il punto: «L’Italia, che è un paese a sovranità molto limitata e alla mercé delle grandi potenze – soprattutto gli Usa, ma anche Francia e Gran Bretagna – è una foglia al vento che non riesce più a tutelare minimamente i propri interessi strategici», accusa Sensini. In Libia, a causa della guerra, è venuto a mancare un rapporto molto importante per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico. Ma, nonostante questo, il nuovo ministro degli esteri Giulio Terzi ha varato in questi giorni un embargo contro l’Iran, voluto in primo luogo da Usa e Israele: embargo che riduce ulteriormente le risorse a disposizione del nostro fabbisogno petrolifero. Tutto questo, aggiunge Sensini, dopo che la quota di partecipazione dell’Eni nella costruzione del gasdotto Southstream – insieme a Gazprom – è scesa dal 50 al 20%, rallentando il progetto italo-russo non gradito agli americani, felici Giulio Terzidella liquidazione politica dello stesso Berlusconi, peraltro “costretto” a rassegnarsi alla guerra in Libia.

L’ex premier era infatti contrarissimo all’intervento militare contro Gheddafi. Ma il 22 aprile, venerdì di Pasqua, venne in Italia John Kerry, presidente della Commissione Esteri del Senato Usa. Due giorni dopo, a Pasqua, ci fu la telefonata con Barack Obama. E dall’indomani l’Italia partecipava ufficialmente alle operazioni belliche. Il nostro paese, sottolinea Sensini, «dispone di una scarsissima autonomia nello scenario internazionale, potendo disporre solo di qualche ristretto margine di manovra». Una situazione che pone problemi molto seri riguardo alla fornitura energetica, «che in ultima istanza incide e inciderà in misura sempre crescente su tutto il sistema della produzione nazionale».

Se l’Italia era una delle vittime designate della guerra in Libia, ci ha rimesso anche la Russia, che insieme all’Eni stava sfruttando vasti giacimenti nel Fezzan. Per non parlare della Cina, costretta ad evacuare 20.000 lavoratori dalla Libia: l’Africom, il comando militare statunitense per il controllo dell’Africa, sinora basato in Germania, secondo Sensini «cercherà di espellere o almeno arginare la penetrazione cinese in un continente strategico per materie prime e risorse in generale, così come cercherà di creare una propria sfera d’influenza in Africa», continente-chiave «in cui la Nato non era finora riuscita a penetrare». Un destino infelice: se un’Europa Libia 2011 coverdiversa, libera e autonoma, sviluppasse una propria cooperazione con l’Africa basata sullo scambio, darebbe vita ad un asse strategico destinato a garantire benessere per tutti, sostiene l’autore di “Libia 2011”.

Il menù dell’attualità è invece di tutt’altro genere: nuovo scenario, la Siria, e analoga “guerra umanitaria” in agenda. Silente il movimento pacifista, che tentò di fermare l’invasione dell’Iraq, costruita in base alle false prove delle “armi di distruzione di massa” di Saddam. E ora i media – a partire da quelli “di sinistra”, come “Repubblica” – tifano apertamente per l’intervento militare in Siria. Assolutamente latitante la politica, il cui vuoto assordante sta producendo disastri quotidiani, europei e mondiali. E se la destra è tradizionalmente non ostile al ricorso alle armi, la vera sorpresa è la sinistra: «Da un po’ – dice Sensini – dobbiamo registrare la trasformazione delle sinistre e dei pacifisti nei maggiori sponsor della guerra e della “esportazione della democrazia”». Anzi, proprio costoro, in Libia, «più di tutti hanno spinto per l’intervento bellico, tra cui il presidente Napolitano, uomo di punta del vecchio Pci da sempre molto apprezzato a Washington».

(Il libro: Paolo Sensini, “Libia 2011”, Jaca Book, 174 pagine, 12 euro).