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C'è vita intelligente nell’orizzonte teorico degli economisti?

di Ladislau Dowbor - 26/02/2012



                                    
Traduzione e adattamento dal portoghese di Tiberio Collina per l’Associazione EcoFilosofica
Il deplorevole ritornello [ mainstream] economico ritiene ancora che il prezzo delle 
merci possa essere lasciato nelle mani di un gruppo di speculatori internazionali; che 
il futuro del petrolio si risolverà da sé stesso; che i cambiamenti climatici siano una 
prospettiva sgradevole sostenuta da scientisti avidi di prebende (…); che i deficit 
generati da speculatori finanziari (praticamente il 100% del PIL solo negli USA) 
debbano essere pagati dai poveri; che la crescente disuguaglianza mondiale la 
risolverà la mano invisibile. Chi sono i sognatori?
Il mondo avanza gradualmente in quella  che è stata caratterizzata come catastrofe “al 
rallentatore” (slow motion catastrophe), e gli accordi necessari alla trasformazione del 
senso profondo delle forme con cui si amministra l'economia, stanno ancora 
camminando a quattro gambe, gattonando come i bambini. Spaventati dall’accumulo 
e dalla stratificazione delle prospettive catastrofiche i popoli cercano in qualche modo 
di tornare al limbo che ha funzionato nel secolo passato e temono naturalmente gli 
sconvolgimenti. Si genera un tipo di inerzia istituzionale sempre più pericolosa: è' 
necessario rinnovare.
A Parigi, in questo mese di aprile 2011, si sono riuniti economisti di diversi continenti 
per discutere dei disegni di una “alternativa economica globale”. L'iniziativa è del 
CCFD-Terre Solidaire, una ONG tradizionale che lotta per i progressi sociali nel 
pianeta. Sono stati tre giorni di esposizione di preoccupazioni e proposte da parte di 
economisti che hanno coscienza della dimensione delle sfide, e della fragilità stessa 
delle proposte innovatrici di fronte agli interessi dominanti che si aggrappano alle 
vecchie prassi e ai privilegi.
Non è una riunione per dare soluzioni, come un nuovo catechismo con le sue 
regoline. Le sfide sono troppo complesse. Ma ci sono invece linee teoriche in via di 
definizione.
Julia Wartenberg ha riportato un po' del clima che prevale negli USA, dove un'onda di 
pessimismo sta spazzando dalla mappa la tanto solida credenza nel progresso 
indefinito, secondo cui: ogni nuova generazione starà meglio di quella dei padri; le 
crisi sono cosa da paesi poveri; una persona che voglia lavorare duramente salirà 
nella vita; e se lasciassimo il mercato lavorare in pace, le cose si risolveranno. Con un 
debito che equivale ad un quarto del PIL mondiale e il 40% dei guadagni privati
provenienti non dalla produzione, ma dalla speculazione finanziaria, realmente è già 
tempo per gli economisti americani di domandarsi perché le cose non stanno 
funzionando e cercare soluzioni meno ideologiche e più funzionali.Gli economisti francesi come Géneviève Azam, Xavier Ricard, Christian Arnsperger 
e Gael Giraud,  si stanno dando da fare: i paesi ricchi hanno procrastinato i problemi 
legati al sostituire la domanda basata sui rendimenti reali  con la domanda basata sul 
credito al consumatore: le popolazioni sono passate al consumare non a partire dal 
reddito già percepito, ma in funzione del credito ottenuto – con carte di credito o altro 
– generando così immensi lucri finanziari, ma anche una domanda che va 
strangolandosi per l'accumulo di debiti. “Perché la vita è ora”, per così dire. Il 
risultato è un livello di consumo artificiale, di cui oggi si manifestano i contraccolpi.
Con la destra al potere, non sono gli intermediari finanziari che sono chiamati a 
pagare, ma lo sono quelli che dipendono da politiche sociali. In nome dell'austerità si 
riduce la domanda, approfondendo la crisi.
A partire dagli economisti latino-americani, e in particolare dai rappresentanti 
indigeni, sorge con forza l'idea del “bien viver”, che implica ridurre la corsa iper –
attivistica e l'ossessione consumistica, e cercare equilibrio nei valori, negli obiettivi 
reali rappresentati dalla qualità della vita per le persone, associata al rispetto per  
Madre Natura. Non è poesia, è buon senso. Idiozia è pensare che possiamo continuare 
a spogliare impunemente e tenere in equilibrio l'economia concentrando le risorse 
nelle mani di minoranze.
Teopista Akoyi, dell'Uganda, raccoglie le immense sfide dell'agricoltura familiare, 
che ancora occupa metà della popolazione mondiale. Sulla linea dell'eccellente 
relazione International Assessment of Agricoltural Knowledge, Science and 
Technology for development (IAASTD), col quale ha collaborato, Akoyi analizza il 
mondo rurale non solo come fonte di produzione ed esportazione, ma come dinamica 
che deve essere culturalmente accettabile per le popolazioni. L'agricoltura scientifica 
può perfettamente essere accolta dall'agricoltura familiare, dinamizzando i sistemi 
tradizionali, invece di espellere le popolazioni con la monocultura estensiva, che 
genera esaurimento dei suoli agricoli, contaminazione chimica dell'acqua e favelas
nelle città.
Affrontiamo senza dubbio élites predatorie, e in gran parte ci sentiamo impotenti. 
Arnsperger pone  con forza la visione della necessità di democratizzare i processi 
economici, tanto per il rafforzamento della trasparenza, così come per favorire 
processi che permettano di essere supervisionati, in particolare nel mondo finanziario, 
che in fondo lavora col denaro di terzi, ma anche in una serie di aree critiche. In realtà 
non c'è motivo per cui la democrazia si debba fermare alla porta delle corporazioni. 
Ogni attività che comporta impatto sociale deve dar conto alla società, non c'è nessun 
abuso. Chi ha le mani pulite può mostrarle.
Le elaborazioni che sono sorte nella riunione possono probabilmente trovare in 
questo concetto di democrazia economica il loro denominatore comune. L'economia 
deve essere al servizio della società. E' tempo che si ripensino i suoi paradigmi, non 
con le sciocchezze di chi la considera una “scienza”, ma col buon senso. Quella che viviamo oggi è una crisi della visione del mondo. Fino a quando accetteremo la morte 
di 10 milioni di bambini all'anno,  pur avendo i mezzi finanziari e organizzativi per 
risolvere il problema?
Alberto Arroyo ci parla del socialismo comunitario, democratico e decentralizzato, 
invece che di socialismo burocratico. Kavaljit Sing, indiano, presenta il suo Fixing 
Global Finance, e Oscar Ugarteche si riferisce alla necessità che si trovino forme 
pratiche di espansione e comprensione del nuovo “senso comune”, in particolare con 
la generalizzazione dell'accesso alla conoscenza. Ci sono numerose proposte e poco 
potere. Ma la rete che si va formando nel pianeta tende a generare nuove 
convergenze.
La realtà è che - per mezzo di innumerevoli iniziative, che vanno dalle riunioni del 
Forum Social Mundial, fino alla rete Altro Sviluppo, in America Latina, la New 
Economics Foundation di Londra, l' Ethical Market di NY,  le Alternatives
Economiques della Francia, blogs come il nostro Crise e Oportunitade, il movimento 
Real Economics, il Madhyam dell'India - infine si sta generando una rete planetaria di 
economisti di buon senso che cominciano a riscattare l'economia in  una visione che 
la ponga al servizio della società e non solo di un maggiore profitto privato. 
Fonte: Articolo pubblicato da Adital il 28-04-2011.