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Plinio, Cousteau, gli Imragen e il mistero dei delfini che collaborano con l’uomo

di Francesco Lamendola - 01/03/2012


Che il delfino sia un animale sorprendente e, per molti aspetti, misterioso, già lo sapevano gli antichi, che ne hanno sovente parlato, anche nei loro scritti, osservando - in particolare - la sua naturale benevolenza e quasi il desiderio di amicizia nei confronti dell’uomo; racconti confermati, anche ai nostri giorni, da marinai e altre persone che hanno avuto occasione di osservare da vicino il loro comportamento.

Plinio il Giovane, ad esempio, narra di un delfino che veniva ogni giorno vicino alla riva, presso la città africana di Ippona (la futura patria di S. Agostino), per giocare con un bambino che, una volta, aveva avvicinato, apparentemente senza altra ragione che quella di farne un compagno di giochi; ne abbiamo già parlato ampiamente in un precedente articolo, al quale rimandiamo il lettore per ulteriori particolari (cfr. «Il delfino d’Ippona, triste parabola dell’antropocentrismo», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 11/06/2007).

Lo zio di Plinio il Giovane, il naturalista Plinio il Vecchio (che troverà la morte durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.), a sua volta, parla di una strana scena che si svolgeva nelle acque della laguna di Latera, nella Gallia Narbonense: di come, cioè, al richiamo dei pescatori, un denso stuolo di delfini accorresse a bloccare l’uscita dello stagno verso il mare, intrappolandovi enormi quantità di muggini, che venivano così catturati a centinaia nelle reti degli uomini; i quali, poi, per ricompensare i loro alleati acquatici, non solo concedevano loro di banchettare lautamente con i muggini, ma offrivano loro anche dell’altro cibo.

A sua volta, il generale e scrittore Gaio Licinio Muciano riferisce un aneddoto simile, ripreso da Plinio il Vecchio, che si colloca nel golfo di Iasos (nell’odierna Turchia), con poche varianti, tranne il fatto che, in quel caso, i delfini accorrevano spontaneamente e non richiamati dall’uomo.

Ce n’era abbastanza per stuzzicare la curiosità di un appassionato amante del mare e dei suoi segreti come Jacques Cousteau (1910-1997), direttore del Museo Oceanografico di Monaco e comandante della mitica nave «Calypso», con la quale aveva navigato tutti i mari del mondo, curioso non solo delle correnti, dei fenomeni fisici e degli equilibri ecologici, né solo dei pesci e degli altri abitanti del mare, ma anche degli usi e costumi dei popoli rivieraschi, compresi i gruppi più sparuti e in via di estinzione, rimasti ai margini del cosiddetto progresso, come, ad esempio, gli ultimi Alakaluf delle isole meridionali della Patagonia e della Terra del Fuoco.

Cousteau aveva sentito parlare degli Imragen (o Imraguen), una tribù africana di poche centinaia d’individui stabilita presso le coste della Mauritania, ma di ceppo diverso dai Mauri, frutto, probabilmente, di un incrocio fra Mauri e Neri; e di come essi si spostassero, con le loro tende, da un punto all’altro del tratto compreso fra Capo Banco e Capo Timiris, a seconda dei movimenti dei muggini, che qui formano dei banchi numerosissimi, tanto che le acque di questa parte dell’Africa occidentale sono considerate fra le più pescose al mondo.

I muggini, o cefali (Mugil Cephalus), sono pesci lunghi fino a 80 cm., con un peso massimo di 4,5 kg., che vivono in tutti i mari caldi compresi fra i due Tropici; con le loro uova si prepara un alimento particolare, la bottarga, che, nel caso degli Imragen, è preparata esclusivamente dalle donne, secondo procedimenti tradizionali, mentre agli uomini spetta la pesca, che si effettua entrando nell’acqua bassa e avvolgendo i banchi di pesci entro delle lunghe reti, che poi vengono chiuse e riportate a riva, strapiene e quindi pesantissime, operazione che richiede destrezza non meno che una notevole forza muscolare.

Tutta l’economia e l’intera cultura di questo piccolo e, per certi aspetti, quasi sconosciuto gruppo etnico, ruota intorno alla pesca dei muggini, che dà luogo a una vera e propria cerimonia: essi si spostano lungo la costa a seconda degli spostamenti dei banchi di pesce, che, essiccato e salato, è la loro quasi esclusiva fonte di sopravvivenza, e la cui esistenza non mettono in pericolo, perché circa il novanta per cento degli esemplari sfuggono alle pur ricche battute di pesca.

Cousteau aveva sentito dire che gli Imragen si avvalevano della collaborazione, chiamiamola così, dei delfini; e, affascinato dall’idea di poter osservare in una realtà dei nostri giorni l’antico racconto di Plinio (i pescatori odierni dello stagno di Latera, oggi denominato Méjean, non hanno più alcun rapporto con i delfini, pur continuando a pescare i cefali come i loro progenitori di duemila anni fa), si affrettò a raggiungere le coste della Mauritania con la «Calypso», per verificare di persona la fondatezza di quelle voci, per studiare l’eventuale fenomeno e per filmarlo con la cinepresa.

E quale non fu la sua sorpresa allorché si rese conto che non si trattava affatto di una semplice leggenda, ma di una realtà palese e incontrovertibile; anche se, da parte sua, ritenne che le cerimonie di ringraziamento al delfino, che gli Imragen effettuano al termine di ogni battuta, con tanto di musica e danze, siano fondate su un equivoco, perché, a suo parere, il delfino non ha una precisa volontà di collaborare con l’uomo, ma si limita a dare la caccia ai muggini e di ciò, casualmente, l‘uomo (che, ovviamente, non ha il potere di evocarli chiamandoli a gran voce, come riferiva Plinio) si avvantaggia: e questo è tutto, senza misteri e senza magie.

Ma ecco come il comandante Jacques Cousteau descriveva questo strano, quasi incredibile evento nella sua opera monumentale «Pianeta mane. Enciclopedia di scienza e di avventura» (Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1985; vol. 5, pp. 166-70):


«È da tempo che un passaggio del IX libro della “Storia naturale” di Plinio il Vecchio mi frulla nel capo. Scrive Plinio, autore latino vissuto in Gallia e, verso l‘anno 70 della nostra era, procuratore della provincia narbonese, uomo di cultura, studioso, e autore di quella “summa” in trentasette libri ricca di importanti notizie miste a leggende e a superstizioni prese per oro colato:

“Nella provincia Narbonese, nel territorio di Nîmes, si trova uno stagno che ha nome Latera in cui i delfini pescano con l’uomo. A data fissa, un immenso branco di muggini esce dall’angusto stretto che mete lo stagno in comunicazione con il mare ma, a causa delle correnti, non è possibile tendervi le reti e del resto esse non potrebbero sopportare una massa così pesante di pesci. I pesci aspettano l’ora della marea. Con astuzia, si dirigono direttamente verso le profondità e s’affrettano a sfuggire io solo luogo propizio a uno sbarramento. Da quando i pescatori sono venuto conoscenza di tale maneggio, v’è grande affluenza di genti ghiotte di questo piacere. Tutti i presenti gridano “Simone” a pieni polmoni (sembra che all’epoca “Simone” fosse il nome popolare che serviva a designare il delfino e in greco significava “naso camuso”). I delfini arrivano in ordinate schiere di battaglia. Sbarrano l’accesso ai grandi fondi ai muggini terrorizzati e li respingono verso le acque poco profonde in cui i pescatori li circondano con le reti che tengono a mo’ di pertiche forcute. Tuttavia i pesci vi saltano sopra, ma i delfini sono pronti a riceverli e, trattenendosi per il momento dall’ucciderli, differiscono ilo pasto fino ala vittoria. La battaglia giunge al culmine; i delfini amano lasciarsi circondare dalle reti mentre spingono bravamente i muggini e, perché l’inseguimento non provochi la fuga del nemico, essi si intrufolano piano piano tra le imbarcazioni e le reti o i nuotato ridi modo da non lasciare aperto alcun varco. Benché, in differenti circostanze, essi tanto amino saltare, qualcuno tenta di uscire se le reti non vengono abbassate davanti a loro. Terminata la pesca, si dividono i muggini che hanno massacrato: ma, coscienti di aver meritato con i propri sfori più che la ricompensa d’un solo giorno, aspettano fino all’indomani e si rimpinzano non solo di pesci, ma anche di pane inzuppato nel vino.”

Ciò che Muciano riferisce del medesimo modo di pescare nel golfo di Iasos differisce in questo: che qui i delfini si ripresentano spontaneamente e senza esser stati chiamati per ricevere le proprie porzioni dalle mani (dei pescatori); ciascuna barca prende come socio un delfino, benché ciò si svolga di notte e alla luce delle torce.”

Ma, appunto, Plinio è stato considerato un credulone, pronto ad accogliere per vere le più strane favole e a descriverle come testimonianze oculari Tuttavia gli studi archeologici hanno più volte dimostrato la veridicità di tante sue affermazioni. […]

Così, quando sentii parlare degli imragen che si facevano aiutare dai delfini nella pesca, non esitai: avrei organizzato una spedizione cinematografica per documentare questa “leggenda”.

Improvvisamente, lontano sul mare calmo, spuntano delle pinne. Non sono delfini, sono orche! E questo spiega tutto: è la loro presenza a tenere i delfini a distanza. Sappiamo bene, per aver assistito più volte alla scena che delfini fuggono non appena scorgono le pinne delle orche o ne odono i fischi acuti, Non si avvicineranno finché le orche non saranno scomparse tutte, fino all’ultima, finché esse non avranno completamente abbandonato questo specchio di mare.

Falco e Omer saltano sul gommone, si dirigono verso il branco di orche e, per più d’un’ora, si affannano a disperderlo, compiendo evoluzioni con i motori al massimo. Le orche stordite e sconcertate dai rumori dei motori, e dal carosello folle dell’imbarcazione, dopo qualche sporadico tentativo di attacco, sembrano consultarsi tra loro e poi, presa la decisione, si avviano al largo e scompaiono. I sommozzatori non fanno in tempo a riprendere terra, che già il mare ribolle di nuovo, ma questa volta sono i delfini che spingono i muggini a riva.

Devo ammette che ero scettico quando ho deciso questa spedizione in Mauritania. Nonostante la descrizione di Plinio e le parole del poeta greco del II secolo, autore di poemi sulla pesca, secondo il quale i delfini spingevano i pesci nelle reti dei pescatori, restavo incredulo. Plutarco scriveva che il delfino “pur non avendo alcun bisogno dell’uomo, è amico di tutti gli uomini La natura ha accordato al solo delfino il dono dell’amicizia disinteressata”. Su questa spiaggia desolata, oggi, tutto fa pensare che Plutarco avesse ragione. I giorni che abbiamo trascorso presso gli imragen ci hanno dimostrato che Plinio, Plutarco e tanti altri non hanno esagerato, anche se le cose no stanno esattamene come loro avevano detto. […]

Un delfino afferra un muggine, lo fa girare, lo afferra con la testa in avanti. Gli altri fanno lo stesso, spingendo intanto inesorabilmente il banco a riva. Li circondano, li incalzano, i muggini sono troppi in uno spazio di mare che gli si restringe intorno. Il mare sembra esplodere. I pescatori sono pronti, scendono rapidi in acqua con le loro reti, le tendono trasversalmente, le ritirano cariche di muggini di grossa taglia. Ma anche in delfini anno la propria parte, un festino, un’orgia di pesce. Gli imragen presi da una frenesia che contagia anche noi, non riescono quasi a vuotare le reti.

I delfini hanno risposto all’appello. Come tutti gli anni, sono venuto ad aiutare ‘uomo. E alla sera, alla luce dei fuochi, dopo aver pulito e disseccato il frutto della pesca miracolosa, questi uomini oggi felici festeggiano con canti e danze la millenaria amicizia con il più generoso dei mammiferi marini.»


Aggiungiamo solo che, negli anni ’70 del secolo scorso, la zona del Banc d’Arguin, davanti alla costa della Mauritania, per il suo alto valore naturalistico è stata dichiarata Parco nazionale. I metodi di pesca degli Imragen, basati sulla pesca senza imbarcazioni o con semplici barche a vela, sono del tutto eco-compatibili; ma il sopraggiungere di odierni pescherecci a motore, che penetrano illegalmente in quelle acque, sta oggi seriamente compromettendo sia l’ambiente, sia la sopravvivenza dei muggini, dai quali dipende anche quella degli Imragen.

Quanto al mistero dei delfini, aveva ragione Costeau: si tratta, cioè, di una pia illusione dell’uomo, interessato all’amicizia col delfino più di quanto quest’ultimo non lo sia a quella nei confronti dell’uomo? Difficile dirlo: il fatto che i delfini si spingano fin quasi a riva, dove l’acqua è profonda appena qualche centimetro, benché senza dubbio possa apparire insolito, si può spiegare agevolmente con il fatto che a ciò li spinge la frenesia della caccia ai muggini.

E tuttavia, una parte di mistero rimane. Non è possibile ignorare i numerosi casi documentati di amicizia disinteressata mostrata dal delfino nei confronti degli umani; c’è qualcosa che ancora non abbiamo compreso, nel comportamento di questi intelligentissimi cetacei, qualcosa che ci riguarda da vicino. Non tutto è stato spiegato e, forse, non tutto è spiegabile nel mondo della natura; almeno fino a quando non abbandoneremo una certa presunzione di matrice razionalista e positivista…