Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Iran, la sconfitta elettorale di Ahmadinejiad

Iran, la sconfitta elettorale di Ahmadinejiad

di Michele Paris - 05/03/2012

 





Le elezioni per il rinnovo del Parlamento iraniano (Majlis) di venerdì scorso hanno fatto segnare una larga affermazione dei candidati conservatori della fazione “principalista” vicini al leader supremo della Repubblica Islamica, ayatollah Seyyed Ali Khamenei. A uscire sconfitto è stato così il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, in un voto guardato dall’Occidente soprattutto per verificare il livello di affluenza alle urne e che si è sostanzialmente risolto in una sfida tra le due correnti conservatrici che fanno riferimento alle principali cariche dello stato.

Nelle none elezioni parlamentari dalla rivoluzione del 1979 erano in corsa 3.269 candidati per 290 seggi. A contenderseli dopo mesi di duri scontri di potere tra le due fazioni conservatrici non c’era però praticamente nessun rappresentante dei cosiddetti riformisti. Il Movimento Verde che aveva animato le proteste di piazza dopo le contestate elezioni presidenziali del giugno 2009, e i cui due leader ed ex candidati, Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, sono da mesi agli arresti domiciliari, aveva infatti deciso di boicottare il voto.

Secondo l’iraniana Press TV, circa il 75% dei candidati principalisti avrebbe conquistato un seggio in Parlamento. Per il ministro degli Interno, Mostafa Mohammad Najjar, citato dall’agenzia di stampa Fars, il 64,2% degli oltre 48 milioni degli aventi diritto si è recato alle urne venerdì. Nei giorni precedenti, i leader della Repubblica Islamica avevano cercato di convincere il maggior numero di iraniani a votare, così da dare legittimità alle elezioni agli occhi della comunità internazionale. Lo stesso Khamenei la scorsa settimana aveva affermato in un discorso pubblico che un’elevata affluenza avrebbe mandato un chiaro segnale della stabilità dell’Iran a tutto il mondo.

Per i media occidentali, il numero di votanti avrebbe dovuto risultare particolarmente modesto nella capitale, Teheran, dove erano in palio ben 30 seggi. Secondo quanto riportato da Press TV, invece, qui l’affluenza è stata attorno al 48%, mentre anche il corrispondente del Washington Post da Teheran, Thomas Erdbrink, ha confermato che la presenza di elettori in alcuni seggi da lui visitati è apparsa superiore alle aspettative.

Secondo i dati ufficiali e i resoconti della stampa locale, numerosi critici e oppositori di Ahmadinejad sono stati rieletti in Parlamento, a cominciare dallo speaker uscente, Ali Larjani, il suo predecessore nonché consuocero di Khamenei, Gholam Ali Haddad Adel, e l’ex ministro Ahmad Tavakkoli, tutti eletti in rappresentanza di Teheran. Candidati pro-Khamenei hanno ottenuto successi anche nelle città sacre di Mashhad e Qom, così come a Isfahan e Tabriz, considerate roccaforti di Ahmadinejad, il quale ha dovuto incassare anche la sconfitta della sorella minore, Parvin.

In Iran non esistono in realtà partiti ufficiali dotati di programmi o strutture organizzative. I singoli candidati possono presentarsi alle elezioni all’interno di alcune liste collettive. Oltre la metà dei candidati in tutto il paese nel voto di venerdì erano compresi nelle liste di due gruppi, il Fronte Principalista Unito e il Fronte per la Stabilità.

La vittoria e il controllo del Majlis da parte dei conservatori della linea dura permetterà loro con ogni probabilità di assicurare il successo nelle presidenziali del 2013 ad un candidato a loro fedele e, allo stesso modo, di infliggere un colpo letale alle residue velleità di Ahmadinejad di conferire maggiori poteri al presidente della Repubblica Islamica - in particolare in materia di politica estera e di intelligence - a scapito della guida suprema.

Secondo la stampa occidentale, inoltre, la sconfitta di Ahmadinejad potrebbe segnare un certo irrigidimento delle posizioni iraniane sulla questione del nucleare, dal momento che il presidente, a differenza di Khamenei, è considerato meglio disposto verso un accordo con gli Stati Uniti e i loro alleati.

Nonostante l’invito agli elettori di Khamenei a lanciare un messaggio all’Occidente, il voto di venerdì è stato in gran parte una questione interna all’Iran. Una massiccia mobilitazione degli elettori e una netta sconfitta dei candidati pro-Ahmadinejad serve in sostanza al leader supremo e ai suoi seguaci per confermare il loro monopolio sulle strutture di potere, mostrando l’inconsistenza dell’appello al boicottaggio dei riformisti e, soprattutto, il consenso sempre più ridotto nel paese per il presidente.

Il pessimo risultato elettorale dei candidati vicini ad Ahmadinejad è anche il risultato della crescente avversione tra i lavoratori e le classi più disagiate per le politiche economiche di quest’ultimo, come l’avvio del processo di eliminazione dei sussidi ai prezzi dei carburanti e di altri beni di consumo di cui beneficiano decine di milioni di iraniani.

Il risolversi delle elezioni in una sfida interna al fronte conservatore che domina la scena politica iraniana, infine, è anche il risultato della repressione messa in atto dal regime nei confronti del movimento riformista. Centinaia di studenti e attivisti che avevano preso parte alle proteste di piazza del 2009 rimangono infatti in carcere, mentre molti giornali dell’opposizione riformista sono stati chiusi.

Il sostanziale fallimento dei riformisti iraniani è in ogni caso da attribuire in gran parte alla loro incapacità di mobilitare ampi strati della popolazione. Il rapido deteriorarsi del loro appeal è dovuto cioè al fatto che essi rappresentano quasi esclusivamente una fascia della popolazione relativamente ristretta e composta da quegli strati della borghesia iraniana che chiedono il ristabilimento dei rapporti con l’Occidente e l’apertura del paese al capitale estero.