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La prescrizione che fa comodo a politici e criminali

di Massimo Fini - 05/03/2012

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Dopo l’assoluzione per prescrizione di Berlusconi per il «caso Mills» il ministro per lo Sviluppo Corrado Passera ha commentato: «Quando si arriva alla prescrizione è un fallimento sia per la giustizia che per l’imputato, è una chiusura senza risultato. I casi di prescrizione in Italia sono un indicatore grave e c’è la necessità di intervenire su meccanismi che troppo spesso non portano a ottenere giustizia». Gli ha replicato il Pdl Fabrizio Cicchitto: «Sulla prescrizione è consigliabile per tutti non metterci mano. Altrimenti noi ripropiniamo la separazione delle carriere e vediamo se andare alla sfida su questi temi aiuta o no il governo...».
Per quanto in Italia ci si sia ormai abituati a tutto, trovo inaudito il tentativo di fare oggetto di baratto o, peggio, di ricatto una delicatissima questione di giustizia qual è la prescrizione. Sgombriamo il campo dalle vicende giudiziarie di Berlusconi, che hanno inquinato la vita del nostro Paese per quasi vent’anni, per non entrare nel vespaio delle eterne beghe fra simpatizzanti e antipatizzanti dell’ex premier. L’altissimo numero di prescrizioni è una delle conseguenze dell’abnorme durata del nostro processo che se ne porta dietro altre due, l’impossibilità di fissare i giusti termini della carcerazione preventiva (non così lunghi da rovinare per sempre la vita dell’imputato innocente, non così brevi da far uscire di galera delinquenti certi) e l’impossibilità di tutelare il segreto istruttorio qualora lo si voglia ripristinare sul serio (sì alle intercettazioni, no alla loro divulgazione fino al dibattimento quando si portano in aula solo i materiali utili al processo). La prescrizione umilia l’imputato (che però, se ha la coscienza pulita, può rifiutarla), umilia la parte civile che non ottiene giustizia, umilia i magistrati che han lavorato per niente e fa spendere inutilmente un mucchio di soldi allo Stato, cioè alla collettività, senza arrivare ad alcun risultato. Che cosa alla collettività, senza arrivare ad alcun risultato. Che cosa avrebbe dovuto fare il legislatore di buon senso? Snellire i processi. Invece ne ha allungato ulteriormente la durata inzeppando, negli ultimi 15 anni, il Codice di procedura penale di leggi dette «garantiste» ma che garantiste non sono affatto perché danneggiano l’innocente, il cui interesse è arrivare a sentenza il più presto possibile, e avvantaggiano il colpevole il cui interesse è arrivarci il più tardi possibile, preferibilmente mai. Poi, per salvarsi la coscienza, il Parlamento ha inserito in Costituzione la norma del «giusto processo» che, per esser tale, deve avere una durata ragionevole. Ma è come è il calmiere del pane di manzoniana memoria, perché se il processo resta così com’è la «ragionevole durata» è impossibile.
Ma c’è di più. Nel 2005 varò la legge cosiddetta «ex Cirielli» («ex» perché il promotore, Edmondo Cirielli, che aveva tutt’altri intendimenti, se ne vergognò a tal punto da togliere la sua firma), che, se l’imputato è incensurato, dimezza o quasi i termini della prescrizione (da 15 a 10 anni) per i reati finanziari, economici, contro la Pubblica amministrazione, che sono i reati tipici di «lorsignori», i tycoon dell’economia e i politici di ogni livello. Per cui, soprattutto se si ha un consistente collegio di difesa abile nello sfruttare le infinite possibilità di ricorsi, controricorsi, impugnazioni, eccezioni, ricusazioni, si è praticamente certi di mandare il processo nel nulla.
Io spero che questo governo, come ha fatto intendere Passera, ponga mano alla materia e metta fine a questo scandalo. Perché è pressoché certo che quando, nel 2013, torneranno i politici, lasceranno le cose come stanno. Per loro è troppo comodo avere un’impunità assicurata per legge.