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Entrare in contatto con la realtà vera è partecipare al respiro della vita

di Francesco Lamendola - 05/03/2012


 


 

Molte persone domandano affannosamente: «Che libri devo leggere?»; «Quali esercizi possono fare?»; «A quali maestri mi devo rivolgere?».

Cercano una formula, una strada bella e pronta - e, magari, una scorciatoia -, una verità prefabbricata da tirar fuori al momento giusto e da consumare all’occorrenza, come una qualsiasi altra merce.

Al centro delle loro domande, della loro preoccupazione, della loro ansia, c’è sempre un soggetto, sia pure sottinteso (dal punto di vista sintattico, non certo da quello psicologico): «Io, io, io»; non cessano mai di pensare il mondo a partire da se stessi.

Ora, il primo e fondamentale errore consiste proprio in questo: l’io non può uscire da se stesso direttamente, prendendo, per così dire, se stesso per mano; l’io darà sempre e ancora io, non darà mai qualche cosa di diverso da sé - almeno se ci si pone di fronte al mondo come un io separato e indipendente, che può decidere di volere o non volere questa o quella cosa.

È la vecchia illusione cartesiana, il vecchio inganno volontaristico: quello di pensare che noi “siamo”, solamente perché stiamo pensando di esserci; e che noi possiamo fare questa o quella cosa, oppure non farla, come se fossimo altra cosa dal Tutto di cui siamo partecipi.

È un errore di prospettiva, determinato da un atteggiamento riduzionista: come se le cose fossero ciascuna a sé stante; come se gli enti fossero slegati e indipendenti, a somiglianza delle tessere di un mosaico gettate a caso da una mano insensata.

Il secondo errore consiste nell’andare alla ricerca di un “tu” che dovrebbe fare da maestro, da tramite fra noi e la realtà: ma la realtà, la realtà in se stessa, non sopporta mediazioni; o ci si rivela direttamente, oppure quel che vediamo o crediamo di vedere, quel che capiamo o crediamo di capire, non è la realtà in se stessa, ma la sua facciata, una sua apparenza illusoria.

Non c’è niente da fare: solo noi possiamo sperimentare il contatto con la realtà, la rivelazione di essa; ma non possiamo farlo, né mai lo potremo, fino a quando ci ostineremo a voler fare leva su noi stessi in prima persona, come degli “io” separati e indipendenti.

Sembrerebbe un circolo vizioso: nessun “tu” può fare da tramite, nessun “io” può centrarsi su se stesso.

Invece la soluzione si trova proprio in questa doppia impossibilità: perché quando le vie dell’uomo sono finite, incominciano le vie della Grazia. A colui che cerca sinceramente e disinteressatamente, incurante di sacrifici e incomprensioni, si aprono le porte della realtà: si aprono silenziose e magnifiche, spontaneamente, non perché egli le abbia forzate.

La realtà non si lascia conquistare, non si lascia catturare, non è una preda che si possa prendere al laccio o porre in catene; non più di quanto il nuotatore potrebbe prendere al laccio o incatenare l’acqua del mare in cui è immerso.

Il punto è proprio questo: noi siamo GIÀ nella realtà, noi siamo GIÀ nella verità; non dobbiamo spingerci oltre, dobbiamo solo guardare meglio; non dobbiamo vedere più lontano, ma semmai più vicino.

Dobbiamo lasciar cadere la nostra presunzione, i nostro preconcetti, le nostre formule preconfezionate; dobbiamo lasciare che la verità delle cose parli attraverso di noi, attraverso la nostra anima, attraverso tutto l’insieme del nostro essere.

Dobbiamo lasciar cadere le abitudini mentali, il pensiero strumentale e calcolante, il principio di causa ed effetto; dobbiamo tornare come bambini, fare “tabula rasa” del nostro falso sapere, e aprirci con fiducia, innocenza e spontaneità alla rivelazione dell’Essere.

Così si esprimeva in proposito Anthony De Mello nel suo libro «Chiamati all’amore. Riflessioni» (titolo originale: «Call to Love. Meditations», Guyarat Sahitya Prakash, Anand, India, 1991; traduzione italiana di Renzo Fenoglio, Edizioni Paoline, 1994, e Mondadori, 1997, pp. 87-89):

 

«C’è modo di scoprire se ciò con cui entri in contatto è la realtà oppure no? Ecco un test, se ciò che percepisci non riesci a farlo rientrare in alcuna formula fornita dagli altri oppure elaborata da te stesso: semplicemente, se è un qualcosa che tu non riesci a esprimere con le parole.  Che cosa possono fare perciò i maestri? Possono portare a tua conoscenza qualcosa che non è reale: non possono mostrarti la realtà; possono distruggere le tue formule; non possono farti vedere ciò che le formule evidenziano; possono mostrarti che ti sbagli, non possono indicarti la verità; possono al massimo mostrarti la via che conduce alla realtà, non possono mostrato che cosa puoi vedere. La tua strada devi percorrerla da solo, in una scoperta solitaria.

Andare avanti a solo. Ecco che cosa significa liberarsi da tutte le formule : quelle che ti derivano dagli altri, quelle che hai imparati dai libri, , quelle che tu stesso ti sei elaborato partendo dalle tue esperienze passate. La cosa più terribile che un essere umano può compiere è quella di inoltrarsi nel mondo dell’ignoto senza la protezione di una formula qualsiasi.

Camminare fuori dal mondo degli esseri umani come hanno fatto i mistici e i profeti significa rinunciare non alla loro compagnia ma alle loro formule. In questi casi, realmente, anche quando fossi attorniato dalla gente, tu sei veramente, totalmente solo.

Quale terribile solitudine! Questa solitudine è il silenzio: solo in questo silenzio tu “vedrai”. E nel momento in cui vedrai, per te diventeranno inutili e libri e guide e guru.

Che cosa vedrai? Qualsiasi cosa, tutte le cose: una foglia che cade, il comportamento di un amico, i brividi sullo specchio di un lago, un mucchio di pietre, un edificio in rovina, un strada affollata, un cielo di stelle, qualsiasi cosa. Dopo che avrai visto, qualcuno forse si offrirà di aiutarti a esprimere in parole ciò che hai visto, ma tu scuoterai la testa: “Non è così”, perché si tratterebbe sempre e solo di una formula. Qualcun altro potrebbe tentare di spiegarti il significato di quello che hai visto, ma tu scuoterai di nuovo il capo, perché il significato è una formula, qualcosa che può essere incapsulato in concetti e ha un senso compiuto per ogni spirito pensante, mentre ciò che tu hai visto è al di là di qualsiasi formula, di qualsivoglia significato.

E allora in te si verificherà uno strano cambiamento, a malapena percepibile in un primo momento, ma che trascinerà con sé una trasformazione radicale: perciò dopo aver “visto” non arai mai più lo stesso di prima. Tu sperimenterai l’esaltante libertà, la straordinaria confidenza che deriva dal sapere che ogni formula, per quanto si voglia sacra, non ha alcun valore; e tu non chiamerai mai più nessuno con il titolo di maestro.

E allora non smetti mai di imparare, man mano che giorno per giorno osservi e afferri il procedere e il movimento globale della vita. Allora ogni singola cosa sarà per te maestro.

Accantona perciò libri e formule, abbi il coraggio di abbandonare il tuo maestro , chiunque egli sia, e guarda le cose da solo. Abbi il coraggio di guardare ogni cosa attorno a te  senza paure e sena formule, e non passerà molto tempo che tu “vedrai”.»

 

C’è una sola cosa che vorremmo aggiungere, ed è l’intervento della Grazia: noi non possiamo fare nulla da soli, possiamo però fare qualsiasi cosa, se ci affidiamo a ciò che è infinitamente più grande di noi, infinitamente più saggio, infinitamente più limpido.

Noi siamo opachi, torbidi, perché tali ci rende la nostra doppia ignoranza: l’ignoranza della nostra presunzione e quella della nostra separatezza dal Tutto; non riflettiamo limpidamente le acque dell’Essere, non ci lasciamo attraversare perfettamente dalla luce splendente dell’Essere. Però, se solo abbandoniamo il nostro Ego, le nostre costruzioni mentali, le nostre formule prefabbricate, subito la nostra vista incomincia divenire più limpida o, per dir meglio, una seconda vista si dischiude davanti ai nostri occhi.

A partire da quel momento, infatti, noi non vediamo più solamente con gli occhi, ma con tutta l’anima: non è più la vista ordinaria, ma la vista interiore, radiosa, totale.

Sviluppare questa seconda vista, quindi, è la stessa cosa che sviluppare la nostra consapevolezza: ed è una operazione che si compie in parte dall’interno di noi stessi, con la volontà e con la retta coscienza, e in parte dall’esterno, allorché ci lasciamo andare al flusso del Tutto, ci mettiamo in sintonia con il respiro cosmico e ci lasciamo penetrare e illuminare dallo splendore incomparabile dell’Essere.

Noi siamo una scintilla dell’Essere, ma non siamo l’Essere; siamo della sua stessa sostanza, ma non siamo perfettamente tutt’uno con lui: lo possiamo diventare, ma solo al termine di un lungo percorso, del quale, in questa dimensione di vita limitata dallo spazio e dal tempo, possiamo soltanto incominciare a muovere i primi passi.

La vita è un immenso respiro, l’universo intero è un immenso, infinito respiro: e noi siamo veramente vivi allorché impariamo a respirare con esso, in sintonia con esso, all’unisono con esso; quando non lo facciamo, siamo dei semi-vivi, o piuttosto dei semi-morti, che attendono meccanicamente di morire del tutto.

Abbiamo un dovere verso la vita, quello di viverla pienamente; e abbiamo un sacrosanto diritto, quello di essere, anzi, di divenire realmente noi stessi, cioè quel che in sostanza siamo, ma che tendiamo a scordare: una scintilla dell’Essere, che dall’Essere proviene ed all’Essere anela a ritornare, al termine del suo viaggio.

Tutto ciò che non tende a ritornare all’Essere, ha smarrito la strada; tutto ciò che insegue altre strade, è preda di miraggi e allucinazioni: una sola è la direzione, una sola la meta, anche se le strade per giungervi sono infinite.

Questo pensiero deve esserci di sprone e deve infonderci coraggio, allorché, nei momenti di maggiore difficoltà, potrebbe sembrarci che la meta non arrivi mai, che proprio l’Essere sia il miraggio che ci porta fuori strada, nella torrida arsura del deserto.

Se noi non vogliamo divenire il miraggio di noi stessi, il fantasma di noi stessi, l’allucinazione di noi stessi; se non vogliamo vanificare questa splendida occasione che ci viene data, e che si chiama vita; se non vogliamo permettere che il fiume delle nostre acque si disperda ed evapori nelle sabbie, molto prima di giungere al mare cui anelava: allora abbiamo la responsabilità di prendere in mano il nostro destino e di svilupparlo sino in fondo.

Non possiamo fermarci allo stadio di bruchi; possiamo e dobbiamo divenire farfalle: tale è il nostro destino, per questo siamo stati chiamati alla vita.

Non abbiamo bisogno di maestri, ma di capire che tutto, nella vita, ci è maestro: perché tutto è grazia, tutto è luce, tutto è via; anche e specialmente là dove i nostri passi si fanno più incerti per la stanchezza e più timidi per lo smarrimento.

In fondo, dobbiamo piegarci, dobbiamo spezzarci: dobbiamo morire al nostro vecchio io e rinascere ad una seconda vita, ma già fin da ora, già fin da questa vita; e chi non ha provato l’angoscia dell’agonia e lo schianto dei sogni spezzati, non ha imparato ancora nulla, non sa ancora nulla, è inconsapevole come un bambino piccolo.

Ricordiamoci sempre che non siamo soli; ricordiamoci che una forza benevola ci sostiene e ci incoraggia, quando le nostre forze umane sembrano sul punto di abbandonarci: non dobbiamo fare tutto da soli, a noi è chiesto solamente di rispondere ”sì” alla chiamata.

La strada è solitaria e si inerpica verso le altezze, dove l’aria è rarefatta e il respiro diventa difficile: difficile, ma libero e gioioso; dobbiamo abituare i nostri polmoni a respirare lassù e i nostri occhi a contemplare quell’immenso panorama, là dove soffiano liberi i venti, al di sopra delle cime più alte e inviolate.

A che serve vivere, se ci si limita ad esistere?

A che serve avere la vista, se ci si limita a guardare?

A che serve avere l’udito, se non si è capaci di udire l’essenziale, ossia la voce del silenzio?