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Precario a pelo d’acqua…

di Graziano Lanzidei - 05/03/2012


(Graziano Lanzidei) Non ci crede. Gli ho detto che lo voglio intervistare ma lui continua a non crederci. “Perché proprio me” continua a dire. Insisto ma rimane sulle sue, fuori dal pub mentre fuma una sigaretta, continua a lisciarsi la barba lunga di qualche settimana, e fissa un punto lontano. Pensa, mi auguro. Perché se lui pensa, poi l’intervista filerà via che è una bellezza. Fino a qualche istante prima mi stava raccontando la sua vita da precario, a sbalzare tra call center e ruoli di responsabilità in piccole aziende. Poi la richiesta di intervista e il blocco.

Prima della mia richiesta, diceva di sentirsi spaesato ma che ha imparato ad affrontare le difficoltà. “Faccio il morto a galla. Sono stanco di nuotare, di decidere io la direzione, di andare spesso controcorrente. E allora m’abbandono a peso morto, mi preoccupo solo di avere un po’ d’aria nei polmoni, per rimanere a pelo d’acqua”. Deve avere qualche ambizione da poeta, scrittore o chissà cos’altro. “Ma le ambizioni ce l’hanno ammazzate. Le persone che m’osservano, mio padre mia madre i miei parenti e i miei amici, non si rendono conto che hanno fatto lottare la nostra generazione fino allo sfinimento, l’uno contro l’altro, per darci in cambio solo qualche mollica, qualche pezzo di pane rancido, una manciata di carriere gettate in pasto ai più spietati, o ai raccomandati. E’ stato il più grande inganno collettivo. O un’allucinazione di massa. Abbiamo creduto di essere tutti uguali ai nastri di partenza e di dover arrivare lì, al posto sicuro. Chi arriva arriva. La nostra grande colpa è esser stati al gioco. Anzi, diciamoci la verità: tutti sono stati al gioco. Anche chi il culo al caldo ce l’aveva già da anni e si divertiva pure, a vederci correre come pulci verso la tranquillità. Nessuno ha mai corso e lottato e sgomitato come noi”. Gli amici si sono avvicinati, lui ha continuato a parlare e si è messo a preparare la sigaretta. “Dice che abbiamo i nostri privilegi, che nessuno sta bene come noi. E’ vero. Se non avessimo i nostri genitori che ci coprono le spalle quando serve, che ci mandano a fare esperienza all’estero, che provano a sovvenzionare anche le nostre stranezze, la vita sarebbe dura, quasi insopportabile. Forse non sarebbe nemmeno vita. Perché non puoi chiamare vita una giornata passata a mettere su i soldi, solo per arrivare a quella dopo. Ma ho come l’impressione che non siamo solo i beneficiari di questo benessere. Ne siamo anche vittima. E non faccio i soliti discorsi del cazzo sul consumismo che non è cosa buona e giusta. Vegetariani, vegani, antimultinazionali, equi e solidali, siamo circondati dai borghesotti che si possono permettere di essere contro un sistema di cui fanno parte e che li foraggia. Più ci credi e più sei invischiato. Perché non puoi dire di fare la vera Nutella con le nocciole degli operai non sfruttati del Tagikistan, se non esisteva già la Nutella. Sfrutti il marchio come la Ferrero. Ma non ti sei inventato la Nutella. Il benessere che gira sopra le nostre teste, che ogni tanto ci solleva dalla melma, si regge sul nostro stesso sfruttamento. Più ci facciamo sollevare, più andremo a fondo. Strano eh? Il figlio del mio padrone potrebbe avere le mie stesse difficoltà, ma il padre copre tutto grazie al fatto che sfrutta me. E così via, all’infinito”. Solo qualche giorno fa, il padre gli ha fatto da garante in banca per l’acquisto di un’abitazione. “Non sto male infatti. Economicamente intendo. Perché il lavoro lo trovo sempre, nel corso degli anni mi sono specializzato tanto, per alcuni lavori mi dicono che non vado nemmeno bene perché sono troppo specializzato. E hanno paura a sfruttarmi. Poi sono io che devo insistere. Ti rendi conto del paradosso. Sfruttatemi. Te lo fanno implorare. Ed è proprio lì che ti rendi conto di esser stato fregato. Sono incazzato, come una bestia. Quando ho messo la firma sul contratto d’acquisto, e poi insieme a mio padre sul mutuo, ho esitato qualche secondo. E ho pensato a mio figlio, che ancora deve nascere. Chi garantirà lui? Chi lo accompagnerà in banca a fargli da garante? Quale altro sistema di sfruttamento avremmo inventato noialtri per potercelo permettere?”. S’è incazzato. “E io mi ci avveleno ogni volta, quando ci penso. Perché mio padre sono convinto che si sia chiesto la stessa cosa: e mio figlio che farà? E chi garantirà un mio eventuale nipote? Lui non è abituato a campare giorno per giorno. Lui è abituato a progettare, a calcolare, a mettere i soldi da parte. Lui smania e bestemmia perché non ha saputo garantire a suo figlio una vita tranquilla come la sua. Non arriva nemmeno a immaginare che è proprio la vita tranquilla che ha potuto vivere lui che oggi costringe me, e i miei coetanei, a fare i salti mortali. Il conflitto generazionale è nelle cose. E chi sopravvivrà a questa carneficina, a questo genocidio di ambizioni e speranze e futuri, sarà costretto ad affrontarlo. Stanno allevando una generazione incazzata. Molto più incazzata dei figli di papà del 1968, che pensavano alle avanguardie. Noi abbiamo una prospettiva più breve: la sopravvivenza. E per i nostri figli si rischia che sia ancora peggio”. E poi, all’improvviso, si calma. E continua: “siamo tornati indietro di una generazione, senza preavviso. Siamo cresciuti con i miti paterni e ci ritroviamo a vivere una vita molto simile a quella dei nostri nonni. E tutto questo nostalgismo nel cibo, nella cultura, nella musica, non serve solo che a farci rimpiangere i tempi che furono?”.

Finisce di guardare quel misterioso punto lontano. Poi butta la sigaretta in terra, oltre il travertino del marciapiede. Incassa la testa nel caldo della sciarpa e si mette le mani in tasca. “Tanto t’ho già detto tutto” e se ne va.