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Israele lo chiama effetto collaterale, ma il suo nome è Nayef Qarmout, 15 anni

di Massimo Ragnedda - 14/03/2012

 
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Una trentina di persone uccise in pochi giorni: è il tristissimo, e ancora parziale, bilancio dell’ennesimo attacco israeliano dentro la Striscia di Gaza. Venerdì 9 marzo gli aerei da guerra di Tel Aviv hanno iniziato a bombardare la Striscia di Gaza, massacrando militanti dei gruppi di resistenza palestinesi, ma anche donne e bambini. Gli israeliani li chiamano, con un eufemismo che fa meno male e che risulta essere più telegenico e digeribile per i fini palati occidentali, omicidi mirati, mentre le donne e i bambini uccisi, effetti collaterali.

Chiamateli come volete, ma sotto le bombe israeliane, per l’ennesima volta, sono rimasti i corpi senza vita di 26 persone (bilancio provvisorio). Ed è di una di queste tante vittime collaterali che voglio parlare, poiché ha un nome e un cognome, aveva un volto e un sorriso, aveva voglia di giocare e vivere, aveva sogni e speranze rubate dalle bombe sganciate in uno dei 37 attacchi aerei che Israele ha compiuto in 3 giorni.

Si chiamava Nayef Qarmout di appena 15 anni, colpevole di vivere nella Striscia di Gaza che, secondo le parole del Cardinale Renato Raffaele Martino, “assomiglia sempre più ad un campo di concentramento” dove gli israeliani portano avanti quello che l’ex ambasciatore francese ed esperto di Medio Oriente, Eric Rouleau, definisce un “genocidio al rallentatore”, dietro il silenzio assordante della comunità internazionale. A Gaza si muore ogni giorno sotto le bombe; si muore per le condizioni disumane imposte da Israele; si muore per l’embargo asfissiante che dal 2007 limita l’ingresso di beni di prima necessità. Un professore di famiglia ebraica, William. I. Robinson, docente di sociologia della prestigiosa University of California, Santa Barbara, ha definito Gaza come il ghetto di Varsavia. Un’immagine forte e provocatoria ma che non si discosta di molto dalla verità.

In quel ghetto, Nayef giocava con i suoi compagni di classe, all’uscita della scuola, mentre le bombe israeliane cadevano come pioggia dal cielo, uccidendo indiscriminatamente chiunque si trovasse nei paraggi. E lui, con i suoi compagni di scuola, si trovava proprio lì scalzo a dare due calci ad uno straccio arrotolato, mentre una selva di bombe costosissime e letali, gli rubavano per sempre il sorriso e la vita.

Storie di ordinario massacro in Palestina che da oltre sessanta anni aspetta di vedersi riconosciuta come uno Stato indipendente e che vive ogni giorno sotto il ricatto di uno stato occupante. Se vogliamo capire la violenza in Medio Oriente, non si dovrebbe mai dimenticare che la Palestina non è uno stato libero, ma è occupata militarmente dagli israeliani che, nonostante le varie risoluzioni dell’ONU, agiscono indisturbati violando i più elementari diritti umani.

Pensate per un attimo a cosa sarebbe successo se un missile artigianale dei gruppi di resistenza palestinese (in questi giorni, per ritorsione, ne sono stati sparati centinaia) avessero ucciso un ragazzo di 15 anni israeliano: i media occidentali ne avrebbero parlato per giorni. Si sarebbe trattato di una vittima innocente, frutto del terrorismo e della violenza, e messaggi di cordoglio sarebbero giunti da tutto il mondo. Ma è morto un ragazzino palestinese e la vita di Nayef non vale l’inchiostro di un articolo di giornale (tranne l’articolo di Michele Giorgio su il Manifesto). È stato massacrato, assieme ad altre 25 persone, il quindicenne Nayef Qarmout e la sua vita non vale una riga di giornale o un messaggio di cordoglio nel mondo occidentale.

È evidente che questo massacro alimenterà l’odio e le vendette, in quella spirale di violenza e ritorsioni che allontana la pace. È evidente che questo ennesimo massacro butterà benzina sul fuoco e sarà terreno fertile per il terrorismo e i fondamentalismi. È impensabile credere che si arriverà alla pace se Israele continua la sua occupazione militare e continua a bombardare indiscriminatamente. Israele ha il diritto non solo ad uno Stato, ma a vivere in pace e sicurezza, ma non ha il diritto di massacrare civili innocenti come l’adolescente Nayef Qarmout. Israele, come ogni stato, non ha solo diritti, ma ha anche doveri e non solo verso la Palestina ma verso tutta la comunità internazionale. È ora di dire basta e di fermare il genocidio al rallentatore di Gaza. Restiamo umani, avrebbe detto Vittorio Arrigoni: la comunità internazionale blocchi questa violenza.