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Siamo complici dei massacri afghani

di Massimo Fini - 15/03/2012

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Ora basta. Fino a quando gli italiani riterranno di dover rimanere complici dell’infamia che si consuma da più di dieci anni in Afghanistan? Alleati fedeli come cani, ma sleali perché noi i talebani li paghiamo perché non ci attacchino e, in alcuni casi, addirittura ci proteggano (il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ci quereli pure, ma gli consigliamo di farsi ragguagliare dai colleghi francesi che nel 2008 a Sorobi, dopo aver sostituito gli italiani nel controllo della regione fin lì tranquilla, furono vittime di un devastante agguato talebano perché non erano stati informati dai comandi italiani di questi poco onorevoli patteggiamenti).

Il massacro dell'altra notte nei due villaggi di Alokozai e Najeeban, vicini a Kandahar (16 civili uccisi nel sonno, nove bambini, tre donne, il resto eran vecchi perché gli uomini validi sono a combattere) compiuto da un sergente americano in preda a una crisi di nervi secondo le opportunistiche ricostruzioni del Pentagono, da un gruppo di soldati ubriachi di whisky e di paura secondo fonti locali (altro che “il carattere eccezionale dei nostri militari” richiamato, nell'occasione, da Obama), per quanto grave non è che una goccia nel mare dei 60 mila civili afghani uccisi a causa della presenza della Nato in Afghanistan.

Direttamente dai dissennati raid aerei, sui villaggi, sparando nel mucchio nella speranza di colpire qualche guerrigliero. E sono la maggioranza secondo un rapporto dell'Onu: “I raid aerei sono la principale causa delle vittime civili in Afghanistan”. E indirettamente perché se non ci fosse la presenza delle truppe straniere non ci sarebbe nemmeno la reazione della guerriglia. Ed è questo il punto cruciale, non la strage dell'altro ieri. Che cosa ci stanno a fare gli occidentali in Afghanistan? Bin Laden? Il califfo saudita è scomparso fra il 2004 e il 2005, anche se gli americani lo hanno “fatto morire”, per dei loro motivi, soltanto l’anno scorso. Al Qaeda? Ammesso che esista, non sta certo in Afghanistan. E allora? La guerra all'Afghanistan, fatta la tara del business della ricostruzione e del traffico degli stupefacenti cui anche i contingenti occidentali partecipano, è una guerra squisitamente ideologica. Se lo è lasciato sfuggire Sarkozy quando nel gennaio del 2011 tre militari francesi furono uccisi: “La missione della Francia in Afghanistan è stata decisa per una giusta lotta contro le forze dell'oscurantismo , della barbarie e del ritorno al Medioevo”. Insomma l'Illuminismo contro l'Oscurantismo. Solo che, nel frattempo, gli oscurantisti, gli intolleranti, i totalitari sono diventati quelli che si dicono illuministi che pretendono la reductio ad unum dell'intero esistente al proprio modello, valoriale, economico, sociale, istituzionale. Ma i popoli hanno perso anche il diritto di filarsi da sé la propria storia e di preferire la loro alla nostra? Viene negato anche l’elementare diritto di un popolo a resistere all'occupazione dello straniero, comunque motivata. I Talebani non sono dei terroristi, come ancora qualcuno li definisce, è gente che è insorta contro un’occupazione odiosa, corruttrice, violenta, prepotente, arrogante e intorno ai Talebani si è via via raggruppato l’intero popolo afghano, a parte quella frangia che è stata comprata con i dollari americani, a cominciare dal fantoccio Karzai che ora, nel gioco delle parti, fa la voce grossa, ma è alle dirette dipendenze del Dipartimento di Stato.

La guerra all’Afghanistan è la più vile, la più codarda, la più sconcia della guerre, che gli occidentali combattono, si fa per dire, quasi esclusivamente con l’aviazione e, sempre più spesso, con i droni, aerei senza equipaggio, teleguidati da diecimila chilometri di distanza. È una guerra senza legittimità e senza dignità. Una guerra che disonora chi la fa. Possibile che nel civile Occidente, nell'umanitario Occidente non si levi una sola voce contro questa guerra? Dove sono finite le folle di pacifisti che manifestavano quasi ogni giorno contro la guerra in Vietnam? Sparite. E si capisce facilmente il perché. All’epoca della guerra in Vietnam esisteva ancora l’Unione Sovietica e l’intellighentia di sinistra sosteneva la lotta dei vietcong. Ma gli afghani non sono comunisti, non sono liberali, non sono arabi, non sono cristiani, non sono ebrei, sono solo un antico popolo attaccato alle proprie tradizioni. Come scrisse in una straordinaria lettera l’alpino Matteo Miotto due mesi prima di essere ucciso in battaglia: “Questi popoli hanno saputo conservare le proprie radici, dopo che i migliori eserciti, le più grosse armate hanno marciato sulle loro case, invano. L’essenza del popolo afghano è viva... È gente che nasce, vive e muore per amore delle proprie radici, della propria terra e di essa si nutre. E allora capisci che questo strano popolo ha qualcosa da insegnare anche a noi”. E invece non abbiamo imparato nulla. Persino i sovietici, dopo dieci anni, capirono che non potevano piegare un popolo che, come scopre tardivamente l'iperoccidentale Guido Olimpio, “non è stato mai domato”. E se ne andarono. Noi invece siamo ancora lì, a pisciare sul Corano, a pisciare la nostra arroganza, la nostra violenza, la nostra supponenza, la nostra ignoranza e, soprattutto, la nostra vigliaccheria e la nostra abietta paura.