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La metamorfosi della democrazia

di Marcello Frigeri - 21/03/2012

Fonte: liberacritica.it

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Se oggi dovessimo definire la democrazia, quello che per prima viene in mente – anche se non si riduce solo a questo – è la libertà e il diritto alla scelta: indipendentemente dalla classe sociale che occupiamo, purché cittadini del Paese in cui abitiamo, ognuno di noi ha infatti diritto a votare chi ritiene il migliore per governare e rappresentare la collettività. Uguale diritto (al voto) e uguale libertà (di scelta). Il binomio del nostro tempo, infatti, è un intreccio di uguaglianza e libertà valido per tutti i cittadini. Mentre precedentemente alla democrazia, fatte salve alcune eccezioni, il potere era totalmente nelle mani delle classi dominanti, con questo meccanismo abbiamo due distinti poteri: quello di scelta (che è dei cittadini) e quello decisionale (che rimane alla classe dominante, eletta dai cittadini). Ma il potere di scegliere è grande altrettanto quanto il potere di decidere? E poi ancora, possiamo realmente considerarci in un sistema democratico, che per definizione è il “potere del popolo” (inteso, il potere, nella sua totalità)? Molti critici contemporanei (guardo ad esempio a Massimo Fini, Massimo Salvadori, Serge Latouche e Alain De Benoist, e qualche secolo prima Rousseau) ritengono il governo democratico attuale non democratico, proprio perché la democrazia dei moderni, in contrasto con quella ateniese, è svuotata del suo significato, ridotto unicamente alla scelta di voto.

Altri, come Alfio Mastropaolo, definiscono la democrazia come di tipo “formale”, tracciante una parabola discendente, in direzione di un ibrido: un tipo di governo che è difficile capire cosa e come diventerà. A tal proposito non saprei dire con certezza quale delle due tesi sia la più corretta. Proviamo ad analizzare oggi la versione di Mastropaolo soffermandoci però su un solo aspetto democratico, ovvero il potere di scelta, e chiediamoci: se il nostro sistema di governo e di vita è in movimento, e traccia un certo tipo di parabola, con quali modalità sta cambiando?

La cosa certa è che la fiducia della società nei confronti di chi è chiamato a decidere sulle questioni sia al minimo storico, e questo vorrà pur dire qualcosa. La crisi economica, poi, facilmente potrà diventare la molla che ribalterà le carte in tavola: del resto sono sempre state le rivoluzioni a cavallo delle crisi sociali a stravolgere i sistemi e i regimi governativi. Dunque che direzione stiamo prendendo? Un sociologo affermato come Ilvo Diamanti conferma implicitamente la tesi, e ci parla infatti di una democrazia rappresentativa in continua metamorfosi sin dalla sua genesi. E se la democrazia, come afferma Mastropaolo, è in continua metamorfosi, quanto è cambiata dal sistema precedente a quello successivo?
Sempre Diamanti ci parla di tre sistemi democratici, dalla nascita del governo rappresentativo ad oggi (ma sono sicuro che qualcuno ne saprà elencare di più: dipende sempre dai punti di vista).

a) Democrazia di notabili
In origine la rappresentanza, in contrasto con il potere ereditario, era formata da una elite di notabili (le persone degne di nota): il suffragio era di tipo ristretto e poteva essere eletto in Parlamento chi, a sua volta, aveva diritto al voto (solitamente il 2% della popolazione, i grandi proprietari terrieri). Si evince che secondo questo tipo di sistema il potere di scegliere, oltreché peculiare di una elite, seppur elettiva, era di una sparuta minoranza. E la formula era: un individuo vota un altro individuo.

b) Democrazia dei partiti
Con l’avvento del suffragio universale le classi senza diritto di voto accedettero al potere di scelta, e tale allargamento promosse l’avvento della democrazia dei partiti (siamo nel Novecento). Ma l’allargamento all’uguaglianza, che certamente fu un miglioramento democratico, di fatto plasmò il sistema di governo. In meglio o in peggio? Mentre prima, come detto, il voto lo si conferiva all’individuo su cui gli elettori fondavano la propria fiducia, ed egli rispondeva unicamente della propria coscienza, nella democrazia dei partiti i cittadini, prim’ancora che per la persona, votano per un partito, un involucro di diversi individui composto da un unico cervello. In Parlamento, infatti, gli eletti non risponderanno più in base al proprio, individuale giudizio (che può sbagliare quanto errare), ma in base ad una scelta collettiva che, spesso, risponde ad un istinto di sopravvivenza: le decisioni prese tenderanno a non essere di tipo autolesionistico, in grado cioè di compromettere la propria autoconservazione (mi rifaccio, ad esempio, ai voti della casta per salvare dalla giustizia un proprio parlamentare). Ma l’interesse autoconservativo che si somma a quello pubblico, non è forse una degenerazione democratica?

c) Democrazia del pubblico
Oggi, invece, viviamo una nuova metamorfosi del governo rappresentativo: dalla democrazia dei partiti, siamo passati alla democrazia del pubblico. Scrive a proposito Diamanti: “Nel nostro tempo i partiti cedono lo spazio alla personalizzazione, attraverso i media e il marketing politico. Si allontanano dalla società e, parallelamente, si leaderizzano, trasformandosi in comitati al servizio di un leader. Ciò ha favorito la costituzione di ‘partiti personali’, plasmati a loro immagine. Come hanno fatto in Italia – ad esempio – Silvio Berlusconi e Antonio Di Pietro”. La tv e i media, poi, hanno accentuato questa leaderizzazione: dalle piazze la politica si è progressivamente spostata in televisione, con il cittadino che può avvalersi solo di un’azione di tipo passiva (o indiretta), e cioè quella unica di ascoltare il messaggio politico, peraltro senza sapere se ciò che si dice nella scatola nera sia una verità o una falsità. Oggi per conoscere ciò che è, viene imposto un prodotto ben confezionato: è curioso che nella società dei consumi, quale la nostra, anche la politica stia diventando un’offerta per i consumatori.

La sintesi, insomma, è che a presentarsi alle elezioni sono dei capi sostenuti da partiti organizzati intorno a loro, e comunicano con gli elettori attraverso i media, i quali opinano (se hanno la libertà per farlo) per poi indirizzare le decisioni degli ascoltatori. E al cittadino quale potere rimane? L’unico ancora nelle sue mani: la scelta, il voto elettorale, la ics sulla scheda colorata. Anche perché l’opinione (che dovrebbe precedere la decisione) è cosa degli opinionisti.
Resta da chiedersi, sulla scia della teoria di Mastropaolo sin qui analizzata, a quale nuovo stadio andremo incontro, fatto salve tutte le novità mediatiche come Facebook e Twitter che, in fin dei conti, accentuano la personalizzazione dell’individuo. Con la differenza che accentuano, oltreché quella del leader, anche quella dell’uomo comune.