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Come il gesuita Mascardi giunse in riva al lago più bello del mondo: il Nahuel Huapi

di Francesco Lamendola - 28/03/2012


 

 

C’è stata un’epoca in cui degli uomini di ferro, versati nella dottrina ma anche fisicamente robusti, pronti e disposti a qualsiasi sacrificio per la diffusione della fede cattolica, hanno percorso tutti i mari e le terre del globo, sfidando le difficoltà della natura, le persecuzioni degli uomini, l’ostilità dei governi europei e perfino, talvolta, l’incomprensione e la diffidenza della stessa gerarchia della Chiesa: tali furono i gesuiti.

Essi hanno valicato altissime montagne, attraversato deserti, creato missioni nelle lande più sperdute; sottoposti a torture, non di rado al martirio, banditi, proscritti, sono tornati più decisi ogni volta, secondo il detto di Tertulliano: «Il sangue dei cristiani è semente di nuove conversioni»; sovente, infatti, proprio quei capi indigeni che più li avevano avversati, convertendosi, diventarono i loro più preziosi alleati nell’opera di evangelizzazione.

Anche nelle arti e nelle scienze i gesuiti, nel XVII e XVIII secolo, furono protagonisti assoluti: dall’architettura alla musica, dall’ottica all’astronomia, dalla linguistica comparata alla botanica, dalla geografia alla matematica, non vi fu campo ove non si cimentassero e in cui non eccelsero, suscitando invidie e controversie, ma anche destando la stupita ammirazione dei più insigni uomini di cultura del loro tempo.

Sia che offrissero la propria vita, legati al palo della tortura dei terribili Irochesi, oppure che salissero sulla croce, sull’esempio di Cristo, nel lontano Giappone, sia che traducessero le lingue dell’India e della Cina, che studiassero piante e animali esotici, che contribuissero - e non sempre, come si vorrebbe far credere, su posizioni di retroguardia! - al dibattito sulle teorie astronomiche (nella disputa sulle comete, il gesuita Grassi aveva ragione e Galilei aveva torto), questi uomini dalla tempra eccezionale erano animati da uno zelo, da una fede irresistibili.

Erano anche molto malvisti, molto odiati, sia dentro sia fuori dall’ambito del cattolicesimo: se si recavano segretamente in Inghilterra rischiavano la morte per squartamento; se difendevano gli indios Guaranì del Paraguay, si attiravano l’implacabile inimicizia dei proprietari di schiavi portoghesi e le micidiali scorrerie delle loro milizie armate, i cosiddetti Mamelucos. Ma essi non demordevano e rispondevano colo su colpo, anche con l’archibugio e la spada: nel 1641 inflissero una memorabile disfatta ai Mamelucos sulle rive dell’Uruguay, tanto che, da quel momento, le incursioni cessarono - fino a quando le “riduzioni” del Paraguay vennero cedute dalla Spagna al Portogallo e il marchese di Pombal, in nome dei “lumi” della ragione, non li espulse per liberare il Brasile dall’ignoranza e dalla superstizione, fra l’esultanza poco disinteressata degli schiavisti.

Talvolta erano così assorbiti nei loro sogni grandioso, che perdevano il contatto con la realtà: come quando padre Athanasius Kircher, che pure era uno scienziato di prima grandezza, si mise a “decifrare” i geroglifici egiziani sulla base di cervellotiche supposizion,i o come quando il padre Nicolò Mascardi, valicando più volte le Ande fra il Cile l’Argentina, si mise a scrivere lettere in sette lingue per i governanti della mitica Città dei Cesari, ossia la città incantata della Patagonia, che si diceva esistesse laggiù, da qualche parte, all’estremità del mondo conosciuto, in qualche valle nascosta fra il lago Nahuel Huapi e lo Stretto di Magellano.

È difficile dire dove un grandioso disegno sconfini nelle nebbie dell’utopia e della fantasticheria; a questi uomini che non conoscevano la parola “impossibile” accadeva, talvolta, di passare quel confine, senza avvedersene, tanto erano spinti e trascinati da una forza interiore sovrumana, che li spronava sempre avanti, sempre più lontano, senza posa.

 

La Città dei Cesari! Tutti ne parlavano, nel Cile e in Argentina (ossia nel vicereame del Rio de La Plata); ma nessuno ne sapeva nulla di positivo, nessuno l‘aveva mai vista: era una specie di Shangri-La del XVII e del XVIII secolo; ancora in pieno Ottocento non mancarono esploratori e avventurieri che si misero alla sua ricerca.

Di certo, le voci sulla sue esistenza fondevano gli elementi tipici dell’Eldorado, la città d’oro che accendeva la cupidigia degli Spagnoli, con gli echi del tragico tentativo di creare un insediamento permanente sullo Stretto di Magellano, per precluderne l’accesso ai pirati e ai corsari inglesi e olandesi; tentativo che si era concluso con la totale e misteriosa scomparsa di tutti gli sfortunati colonizzatori.

Ne abbiamo già parlato in altra sede (cfr. i nostri articoli: «Alla ricerca della Città dei Cesari, nelle estreme regioni magellaniche», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 06/06/2007, e «La tragica epopea di Sarmiento nello Stretto di Magellano», in data 07/06/2007); qui vogliamo soffermare la nostra attenzione sulle esplorazioni di Nicolò Mascardi  da Sarzana (1624-74), membro di una famiglie illustre e allievo, a Roma, di Kircher, poi missionario in America meridionale dal 1650 e destinato a concludere la sua breve vita - cinquant’anni appena, dei quali circa la metà trascorsa in missione nel Nuovo Mondo - per mano di qualche tribù di indios “bravos”, cioè non sottomessi.

Padre Mascardi era un genio poliedrico: matematico, geografo, naturalista e anche, naturalmente, per ragioni apostoliche, linguista; fu lui stesso a sollecitare la partenza per le missioni americane, non sentendosi destinato ad una semplice carriera d’insegnante.

Partito da Siviglia, nel 1650 era a Panama e, due anni dopo, nel Cile, dove chiese e ottenne di essere inviato nelle zone di frontiera, presso il Bio-Bio, dove gli Araucani erano perennemente in guerra con l’impero spagnolo. Impadronitosi della loro lingua, svolse con successo opera di mediazione fra le due parti, nel 1655; indi, verso il 1661, raggiunse l’arcipelago di Chiloé e fu il primo rettore del collegio di Castro, il capoluogo dell’isola maggiore. Da lì si spinse verso sud, nel doppio ruolo di esploratore e missionario, convertendo numerosi indigeni dei popoli cosiddetti “canoeros” (delle canoe), fra i quali i Chonos. Quando il governatore spagnolo compì una spedizione oltre le Ande per punire i Puelches, ritenuti fiancheggiatori degli Araucani nella loro resistenza, anche padre Mascardi volle essere presente, imparò la lingua di quel popolo, proseguì l’opera di evangelizzazione e ottenne il rilascio degli indios convertiti, nel 1665.

Data dal 1669 l’ultimo capitolo della vita avventurosa di questo straordinario missionario: la ricerca della leggendaria Città dei Cesari, al di qua e al di là della Cordigliera andina. Per quattro anni egli visse lontano dalla civiltà - unico europeo in mezzo agli indiani Poyas -, durante i quali organizzò altrettante spedizioni alla Città dei Cesari, inseguendo testardamente vaghe dicerie e indicazioni quasi evanescenti. Nell’ultima di queste, imbattutosi in un gruppo di bellicosi Tehuelches, venne ucciso a colpi di lancia, insieme ai suoi accompagnatori, il 15 febbraio del 1674.

Infaticabile nei suoi interessi culturali, oltre che nello zelo missionario, non smise mai di studiare scientificamente le regioni attraversate, di misurare le montagne, di osservare i vulcani, di verificare l’ampiezza delle maree, di prendere nota degli animali, delle piante, delle rocce, e di stendere appunti sulle lingue e sugli usi e i costumi dei popoli indigeni.

Non trovò la Città dei Cesari, ma in compenso, nel 1670, scoprì uno degli angoli più affascinanti dell’intero continente americano: la valle in cui giace il bellissimo lago Nahuel Huapi, alimentato da un ghiacciaio, circondato da splendide montagne ammantate di neve dalle pendici boscose, pullulanti di vita selvatica: il guanaco, il giaguaro (“Nahuel Huapi” significa, appunto, “isola del giaguaro”), e una immensa varietà di piante e di fiori, tra i quali ultimi spiccano l’albero “arrayàn”, dallo strano aspetto quasi preistorico, e i gialli fiori dell’”amancay”.

Non c’è da stupirsi se, dopo essere stato il primo europeo a imbattersi in questo luogo fa fiaba, simile a un gioiello blu cobalto gelosamente nascosto fra le pieghe delle Ande e quasi celato da cupe foreste sempre ombrose, egli sia andato alla ricerca di meraviglie ancora più straordinarie, perché tutto, ormai, doveva sembrargli possibile, in quell’angolo remoto del mondo.

 

Scrive Giulio Sommavilla nella sua pregevole monografia «La Compagnia di Gesù» (Milano, Rizzoli, 1985, pp. 1112-13):

 

«Più o meno in quiesto frattempo [la penetrazione dei gesuiti in Estemo Oriente] un gesuita italiano, Nicolò Mascardi,di Sarzana, si segnalava come missionario ed esploratore in Cile e nella zona sub-andina argentina intorno al grande lago Nahuel Huapì. Un altro lago minore della stessa regione porta tutta il suo none: lago Mascardi. Ma prima di varcare le Ande aveva evangelizzato insieme con altri e "ridotto" un certo numero delle isole Chiloé lungo la costa cilena meridionale. Poi, già rettore del collegio di Castro, si era offerto mediatore di pace tra gli Araucani e altri ribelli e gli spagnoli. Nel 1670, unitamente ad altri cacicchi prigionieri, liberati e già convertiti, tra i quali una "regina", passa le Ande in direzione sud-est e, appena oltre la cresta,  pianta la croce che in breve diventa una cappella e poi una chiesa sulle rive dello Huapi. In pochi anni queste rive lacustri da selvagge si convertono  in una meravigliosa sequenza di "campos hermosos" come egli assicura nelle sue lettere) a coltura europea, lavorati da neofiti in gran parte accorsi dalla Patagonia circostante, ben disposti anche a farsi cristiani.

In seguito padre Mascardi delibera di avventurarsi più a sud verso altre tribù. Le relazioni del tempo parlano di migliaia di convertiti anche là. E altre relazioni ancora, recentemente analizzate, parlano di esplorazioni, rilievi geografici, astronomici ed etnografici che il Mascardi inviava a padre Kircher a Roma. Sembra che l'intrepido esploratore abbia toccato due volte lo stretto di Magellano, attratto anche dalla speranza , mitica più che realistica, di raggiungere laggiù una certa Città dei Cesari, nata da marinai superstiti di una flotta ivi realmente naufragata. Egli è a ogni modo il rimo europeo che abbia oltrepassato le Ande meridionali e il primo esploratore della Patagonia.

In una di queste sue spedizioni troverà morte violenta insieme con alcuni cristiani indigeni che lo accompagnavano. Il suo corpo, poi ritrovato, riposa venerato come martire nella chiesa dei gesuiti di Santiago del Cile.»

 

Chi fosse interessato ad acquisire ulteriori notizie su questa singolare figura di scienziato, esploratore e missionario nelle estreme terre americane, quando ancora larghe superfici delle carte geografiche erano bianche e recavano solo la scritta “terra necdum cognita”, può consultare la “voce” omonima, curata da Piero Broggio, nel «Dizionario Biografico degli Italiani» dell’Enciclopedia Treccani (volume n. 71, edito nel 2008).

La storia delle missioni gesuite è ricchissima di figure notevoli, come quel padre Eusebio Chini (detto anche Kino: 1645-1711), nativo della Val di Non, che esplorò l’Arizona, il Nuovo Messico e la California e fondò ovunque missioni per la conversione degli indios; o come quel padre Desideri da Pistoia, che valicò le montagne più alte del mondo, penetrò nel Tibet e si spinse fino a Lhasa, nel 1716, accoltovi amichevolmente, uno dei pochissimi stranieri, e il primo dei cristiani, cui venne concessa una cosa del genere.

Oppure, tornando in Europa e limitandoci all’ambito della cultura, che dire di quel Ruggero Boscovich, da Ragusa (1711-87), matematico, fisico e filosofo, la cui intelligenza e arditezza di pensiero hanno dello sbalorditivo e che alcuni considerano addirittura, ma non senza fondamento, un precursore di Albert Einstein per la sua straordinaria opera «Theoria redacta ad unicam legem virium in natura existentium»?

Non vogliamo e non possiamo fare, qui, la storia dell’ordine dei Gesuiti, con le sue ombre e le sue luci: storia che fu sempre notevole e spesso eroica, come nel caso dei martiri del Canada e del Giappone, dei quali avremo occasione di tornare a parlare altra volta; ma che è stata a lungo presentata sotto una luce negativa, anche nei Paesi di cultura cattolica, a causa dell’influenza predominante esercitata dalla storiografia protestante, che, nei loro confronti, era animata da un astio tutto particolare.

Forse è giunto il tempo di tornare a guardare con più serenità e con più equilibrio a quell’epoca e a quelle vicende; vi si troveranno dei tesori, oggi quasi dimenticati, di scienza, di fede e di coraggio.