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«Chi nel diletto de la carne involto s’affaticava…»

di Francesco Lamendola - 04/04/2012


 

 

«Chi nel diletto de la carne involto s’affaticava», dice Dante al principio del canto undicesimo del «Paradiso», il canto di San Francesco; e riassume così, in un’unica, folgorante battuta, il mistero della carnalità, del richiamo della carne.

L’argomento, nella letteratura moderna, è decisamente abusato; da Henry Miller in poi, è quasi d’obbligo mostrarsi quanto più possibile disinibiti; ma la nota di partenza era stata data già da Baudelaire con «Les fleurs du mal» e, se si vuole, ancora prima, dai libertini francesi del XVII e XVIII secolo, e specialmente dagli illuministi come Diderot.

Yasunari Kawabata, dal Giappone, anche se con profondità assai maggiore, ha raccolto l’invito e dato una nuova dignità letteraria all’erotismo puro; se non altro, ha fatto oggetto di indagine psicologica l’autentico erotismo e non la mera sessualità, che, nella maggior parte degli scrittori occidentali attratti da questa tematica, sovente si degrada in grossolana pornografia.

Comunque, è stata la psicanalisi freudiana, pan-sessualista, a dare una spinta decisiva al nuovo atteggiamento, rendendolo un fenomeno di massa, in cui è difficile dire se sia stato il cambiamento dei costumi a provocare l’esasperazione erotica della cultura - il cinema non meno della narrativa, la poesia non meno della pittura, la pubblicità non meno della moda, la musica leggera e lo sport, anzi lo sport più  della discoteca o della spiaggia -, o se sia stato l’esempio degli intellettuali (e dei grafici pubblicitari) a imprimere una svolta al mutamento dei costumi.

La psicanalisi, infatti, con la sua ideologia del sospetto sistematico e della psico-polizia permanente, ha letteralmente ribaltato i termini della questione: il vero erotomane non è colui che manifesta apertamente la propria ossessione sessuale, ma colui che non la manifesta: e non la manifesta o perché è un represso, o perché è un invertito potenziale, o per entrambe le ragioni insieme. Il movimento hippy egli anni ’60 e le adunate oceaniche per i megaconcerti rock hanno fatto il resto, insieme a mamma tivù.

Il tratto dominante di questo fenomeno è che esso è stato presentato dagli intellettuali, e percepito dalle masse, come un fenomeno di “liberazione”: di liberazione, ovviamente, dalle maglie strette della educazione cattolica, vista come sessuofobica e repressiva quanto nessun’altra mai; di liberazione, inoltre, vista come parte di un processo più ampio, che investe una supposta liberazione dell’individuo a tutti i livelli della vita pubblica e privata e che deriva direttamente dalla nuova cosiddetta cultura dei diritti, che si caratterizza per l’assenza di una cultura dei doveri che la integri e le faccia da contrappeso.

Questo nuovo orientamento si è intrecciato con il movimento femminista e con l’ideologia radicale del primato della libertà individuale, al di fuori e al di sopra di qualunque altra considerazione: la maternità è stata vista, per la prima volta nella storia, come una forma di subdola schiavitù, architettata dal maschio a discapito della donna, mentre la nascita di un bambino è stata presentata non più come la realizzazione della specifica vocazione femminile, ma come il suggello definitivo e irreparabile di tale schiavitù.

In questa prospettiva, era perfettamente logico arrivare alla conclusione che «il sesso è mio e ne faccio quello che voglio io» (ma lo slogan delle femministe era più esplicito e più crudo) e che l’aborto è un diritto sacrosanto ed auto-evidente, a sostegno del quale non c’è nemmeno bisogno di sprecare argomenti, perché a metterlo in dubbio sono solo i preti retrivi e bacchettoni ed i più beceri fra i  maschilisti, fossili viventi di un’era fortunatamente estinta.

Abbiamo già avuto occasione di sostenere, e in numerose occasioni, che l’esasperazione dell’immaginario erotico non corrisponde affatto ad un reale aumento dell’erotismo, inteso, quest’ultimo, come sano e  spontaneo istinto verso una sessualità ammantata, in qualche misura, di sfumature e di mistero, ma è, anzi, il segno evidente del suo declino.

Così come, per risvegliare un bisogno languente, la pubblicità escogita mille strategie atte a rendere appetibile qualcosa da parte di chi è già sazio, allo stesso modo l’esplosione di pornografia quotidiana, entrata nella nostra vita in mille forme - dal serio uomo d’affari che tiene in bella vista, nel suo ufficio, il calendario Pirelli, come l’ultimo dei “suoi” camionisti, fino alla brava mamma di famiglia, che spinge avanti a gomitate la sua figliola quattordicenne per farla partecipare a una sfilata di bellezza o a un provino televisivo -, non è indice di buona salute del sano appetito sessuale, ma la spia evidente del suo ottundimento e della sua stanchezza.

A brillare per la loro assenza, di fronte a tali tematiche, sono stati, ancora una volta, i filosofi: mentre tutti parlano e straparlano di Eros, nella maggior parte dei casi essi si sono limitati ad assentire al rozzo catechismo spicciolo degli psicologi e degli psicanalisti della “liberazione” sessuale, oppure si sono fatti psicologi e psicanalisti a loro volta: sfogliare, per credere, le immancabili rubriche di psicologia nelle riviste modaiole.

Del resto, è un mercato che “tira”: perché sputarci sopra, visto che con un’oretta di chiacchiere insulse e fuorvianti si possono mettere nel portafoglio cento euro e anche qualcosa di più, ascoltando gli sfoghi sconsolati di qualche single depresso o di qualche superfemmina frustrata, perché la vita le ha negato i dovuti riconoscimenti al suo smagliante fulgore erotico?

Vale comunque la pena di prendere buona nota di questa assenza: per chi ancora si attarda a pensare che la filosofia consista, come voleva Platone, nella capacità di vedere il tutto e non solo la parte, essa ricorda che, in questi tempi di super-specializzazione, i filosofi non hanno proprio più niente da fare e possono andarsene tranquillamente in pensione, senza che nessuno se ne accorga o li rimpianga; a meno che, come già detto, preferiscano cambiare le loro bandiere, saltare sul treno buono che passa loro accanto ed iscriversi in massa all’albo di psicologi e psicanalisti.

O forse il loro silenzio, la loro reticenza, il loro imbarazzo, nascono da una ragione ancor meno nobile del loro qualunquismo, e cioè dalla lunga e grossa coda di paglia di quanti hanno identificato la “filosofia” con la “liberazione” - non in senso spirituale, ma in senso politico - e, quindi, non potrebbero mai permettersi di entrare, con le scarpe ai piedi, nel giardinetto ben curato del loro conformismo ideologico, e sia pure per profondersi in banali e scontati salamelecchi nei confronti del “politicamente corretto”, con il rischio di calpestare qualche fiorellino verginale che non deve neppure essere posto in discussione, pena la schedatura nel libro nero dei sospetti di revisionismo e di deviazionismo di destra?

Sia come sia, questo è il quadro: un grande fracasso da tutte le parti, un assordante silenzio dal lato della filosofia; ma, in conclusione, poca sostanza di pensiero, per non dire nessuna, dietro a tutta questa retorica della “liberazione sessuale” che, ormai, non si capisce a chi o cosa voglia indirizzarsi, visto che le ultime barriere del pudore sono state infrante da un pezzo e che, semmai, sono i sessualmente “normali” a doversi mettere sulla difensiva, a doversi giustificare, a dover rendere conto dei loro obliqui e segreti obiettivi, nascosti dietro una ipocrita facciata di rispettabilità piccolo-borghese.

Naturalmente, nella grande ubriacatura degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, i soliti hippies californiani hanno scoperto anche la spiritualità orientale, e non poteva essere altrimenti, visto che a partire da allora Los Angeles e San Francisco sono diventate, senza che il mondo se ne rendesse conto, le nuove capitali morali dell’Occidente, e dunque del mondo stesso; dopo di che, di riflesso (come si addice ad ogni periferia imperiale che si rispetti), anche in Europa qualcuno è andato a informarsi sul buddismo tantrico e sullo Yoga del sesso, tornandone più che mai euforico per aver brillantemente scoperto l’acqua calda.

Queste veloci puntualizzazioni erano necessarie quale indispensabile contestualizzazione di un discorso sul significato e sulle prospettive dell’Eros nella cultura contemporanea, sgombrando il campo da un bel po’ di paccottiglia e riconducendo la riflessione nel solco di una prospettiva che, pur tenendo conto della tradizione - dai Greci e dai Latini fino ai trovatori provenzali e ai narratori arturiani, per poi ricollegarsi ai secoli della modernità, passando per le sconcezze di Aretino e il cinismo di Machiavelli -, non perda di vista ciò che l’Eros può ancora dire e dare all’uomo occidentale contemporaneo, senza illusioni, ma anche senza sterili moralismi.

E allora cerchiamo di stabilire alcuni punti fermi, al di là di tutti i luoghi comuni e di tutte le pie banalità dell’anticonformismo di massa, le quali, su questo argomento, si sprecano addirittura, senza avvicinarsi di un centimetro alla vera essenza della questione.

Punto primo: la sfera sessuale è una cosa troppo seria per lasciarla nelle mani di scrittori o registi pornografi, interessati solo alle vendite e al botteghino, così come in quelle degli strizzacervelli ufficiali e ufficiosi, ortodossi ed eretici, interessati unicamente al portafogli dei loro clienti.

Punto secondo: l’essere umano degno di questo nome, cioè non del tutto imbestialito, non vive solo di sesso, ma anche di erotismo e di affetti: ha bisogno, cioè, di accostarsi alla sessualità attraverso delle lenti capaci di renderla seducente e di avvolgerla in un certo alone di mistero.

Punto terzo: l’erotismo è un’arte raffinata per persone intelligenti, creative, sensibili e non del tutto auto-centrate, ossia non interamente sprofondate nel proprio narcisismo; esso, infatti, si configura come l’incontro di due persone, nessuna delle quali ridotta a puro oggetto.

Punto quarto: la sessualità, avvolta di erotismo e permeata dalla dolcezza dell’affetto, è una delle esperienze più sublimi che siano concesse alla natura umana; ma, per coglierne tutte le sfumature e per goderne tutti i riflessi, è necessario aver sviluppato un certo grado di consapevolezza, una certa capacità di rendere limpido e trasparente il proprio sguardo interiore, sì da vedere anche ciò che sta oltre il dato puramente fisico, e da cogliere la soave e misteriosa corrente che passa da un’anima a un’altra anima.

Punto quinto: l’Eros, così configurato, non lascia, né può lasciare strascichi di gelosia, di rancore, di amarezza: è un incontro affascinante fra persone equilibrate, capaci di dare e di ricevere; là dove subentrano gelosia, rancore e amarezza, una delle due persone, o forse entrambe, non possedevano i requisiti minimi della maturità, dell’equilibrio e della consapevolezza per incontrarsi felicemente, ma solo un coacervo di brame, aspettative e timori incontrollabili.

Punto sesto: l’Eros può anche essere sublimato e dar luogo a manifestazioni ed esperienze esistenziali altrettanto ricche e appaganti di quelle esplicitamente sessuali: dall’arte al volontariato, dalla professione intesa come impegno totale, gioioso e altruistico, alla vita contemplativa, mistica e religiosa, ogni manifestazione durevole e coerente di amore disinteressato è una sublimazione della forza dell’Eros.

Punto settimo: nell’estasi sessuale fra due persone evolute e consapevoli si sperimenta un altissimo grado di libertà, di pienezza, di coscienza cosmica; ma tale libertà è il punto di arrivo e non il presupposto di un lungo cammino interiore; in altri termini, non si può “porre” il concetto della libertà come mezzo per addivenire alla pienezza dell’Eros, perché questa scaturisce naturalmente dalla consapevolezza maturata nel corso del cammino esistenziale di ciascuno, e nessuna ideologia, nessun “diritto”, nessun riconoscimento proveniente dall’esterno, potrebbero condurre ad essa, in mancanza di tali condizioni.

È evidente, perciò, che si è fatta una gran confusione, più o meno in buona fede, laddove si sono proclamati a gran voce sempre maggiori diritti e sempre maggiori libertà nella sfera sessuale, come se questa fosse la strada per giungere alla pienezza dell’Eros. In nome del Cielo, possibile che questi campioni della “liberazione” sessuale non siano mai stati sfiorati dal dubbio che nessun risultato autentico può mai essere raggiunto, se non si passa attraverso l’antitesi della difficoltà, della negazione, del contrasto?

Punto ottavo: il felice incontro sessuale richiede uomini e donne “caldi”, cioè ricchi di sensibilità, fantasia e capacità di apertura esistenziale, e non di animali a sangue freddo, calcolatori, diffidenti, opportunisti: è solamente questo tipo umano che può aspirare alla gioia dell’Eros.

Punto nono: poiché grande è l’analfabetismo che regna in questo campo, si scambiano facilmente i termini della questione e ci si lascia fuorviare dalle apparenze, mentre è indispensabile saper andare a fondo, oltre le apparenze, per cogliere e gustare pienamente il frutto prezioso del’Eros.

Punto decimo: il presupposto fondamentale di quanto detto fin qui è che si diano la vera virilità e la vera femminilità, poiché l’Eros è l’incontro di due polarità opposte e complementari; in mancanza di esse si potrà avere sessualità, ma in maniera estrinseca e disordinata.

Perciò, se non si verificano questi presupposti essenziali, è meglio, molto meglio, lasciar perdere…