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La Nazione Navajos e la contaminazione radioattiva

di Roberto Marchesi - 04/04/2012

Sono diversi anni ormai che la Nazione Navajo sapeva che sul suo territorio esistevano miniere di uranio ampiamente sfruttate al tempo della guerra fredda con l’U.R.S.S., ma è solo da pochi anni che gli abitanti della Riserva Indiana conoscono la mortale pericolosità delle radiazioni di uranio, specialmente quando superano la soglia ritenuta di tolleranza. 
Basta tornare indietro di pochi anni, nel 2008 per la precisione, e troviamo ancora casi di intere famiglie che abitavano in zone vicino alle miniere, ad alta intensità di radiazioni. Famiglie che naturalmente hanno pagato un prezzo altissimo, sul piano della salute, alla contaminazione cui sono stati sottoposti.
E’ il caso della famiglia di Fred Slowman (il nome inglese, che significa “uomo lento”, nasconde probabilmente il suo vero nome indiano) che nel luglio del 2008 è stato avvisato proprio sull’uscio di casa sua (una povera “baracca” semi-isolata) da uno scienziato ambientalista, in zona per le sue ricerche ambientali, che la sua casa, costruita con “cinderblocks” (blocchi rettangolari di cemento, con due grandi fori al centro), era pericolosamente radioattiva.
Lo scienziato ha caldamente raccomandato Mr. Slowman e i suoi famigliari (la moglie e due figli maschi) di andarsene al più presto possibile da quella abitazione contaminata e fare immediatamente richiesta alla Federal Environmental Protection Agency della Riserva Navajo affinché gli venisse ricostruita una casa nuova con materiale non contaminato.
Erano i blocchi di cemento, probabilmente depositati per qualche tempo nei pressi delle miniere radioattive, ad essere contaminati, perciò era necessario sostituirli.
Mr. Slowman fu molto turbato dalla notizia, anche perché viveva in quella casa da qualche decennio e nessuno lo aveva mai avvisato del pericolo. Ormai da moltissimi anni la miniera era chiusa, quindi lui non avrebbe mai potuto pensare che il pericolo era ancora esistente e che era proprio lì, nascosto nelle mura della sua casa!
Molti di quelli che lavorarono nella miniera erano morti o avevano dovuto sopportare malattie gravissime a causa delle radiazioni. Il padre di Lucy Knorr, per esempio, un minatore di Tuba City (Arizona), morì di cancro ai polmoni a soli 55 anni nel 1980. L’impresa che operava la miniera, la Kerr-McGee Corporation, ormai non esisteva più, ma la sua famiglia ricevette ugualmente un rimborso di 100.000 dollari dal “Radiation Exposure Compensation Act”, un’Agenzia governativa dipendente dal Dipartimento degli Interni, creata (e dotata di fondi) per indennizzare i militari e i civili colpiti dalle radiazioni durante gli esperimenti nucleari o durante le estrazioni dell’uranio. 
Da un’indagine condotta nel 2009 risultava che sono stati quasi 22.000 i casi di rimborso approvati ed erogati dall’agenzia, per una spesa di quasi un miliardo e mezzo di dollari. Quasi 9.000 sono stati però i casi respinti.
La Nazione Navajo (così viene chiamato il territorio della Riserva Indiana Navajo, quasi fosse un vero e proprio Stato a se stante) è situata in un ampio territorio di circa 27.000 miglia quadrate in un triangolo a cavallo di tre Stati USA: l’Arizona, lo Utah e il New Mexico. Al suo interno, in tutto o in parte, ci sono meraviglie paesaggistiche note in tutto il mondo come il Grand Canyon e la Monument Valley (teatro dei più acclamati film western). Eppure quella miniera era proprio lì, ad appena 60 miglia di distanza dal Grand Canyon, e costituiva ancora un pericolo grave per gli
abitanti della zona perché, oltre al materiale contaminato abbandonato all’esterno e riutilizzato dagli indiani per le loro case, non è stata chiusa con i dovuti criteri di prudenza ad impedirne l’accesso. Infatti al suo interno sono stati ritrovati parecchi rifiuti (bottiglie vuote di birra, lattine, ecc.) ad indicare che talvolta alcuni giovani indiani della zona avevano scelto quella pericolosissima meta per fare le loro insulse bravate a base di alcolici, comune a molti teenagers americani.
Ancora oggi all’interno della miniera le radiazioni sono ad un livello tale che possono portare in tempi brevissimi alla formazione di tumori o altre malattie gravissime. Bastano due soli giorni di esposizione in quella miniera per superare quella che la “Nuclear Regulatory Commission” stabilisce come massimo assorbibile in un anno intero.
Le ricerche condotte nella Riserva Indiana a partire dal 2007 hanno portato, da parte della Commissione Congressuale per le Riforme Governative, alla creazione di una Agenzia intitolata a vagliare e attivare le necessarie operazioni di bonifica del territorio in un piano quinquennale che andrebbe a scadere proprio quest’anno. Purtroppo però le miniere chiuse in quel vasto territorio sono alcune centinaia e non tutte, anzi, ancora poche, sono state completamente bonificate, epperò i soldi sono finiti e la crisi impedisce perlopiù di metterne altri. 
Il governo ha tentato in questi anni di coinvolgere le imprese che operavano l’estrazione dell’uranio dalle miniere, nei rimborsi alle persone colpite dalle radiazioni e nelle spese per le bonifiche, ma l’E.P.A. (Environmental Protection Agency) ha appurato che per la maggior parte erano piccole imprese ormai chiuse da tempo. Solo la General Electric e la Chevron sono state rintracciate e chiamate a rispondere legalmente secondo le proprie responsabilità.
 La General Electric ha già sborsato 44 milioni di dollari per bonificare la zona di Northeast Church Rock Mine, vicino a Gallup (New Mexico), mentre la Chevron sta sostenendo le spese per la bonifica (sempre nel Nuovo Messico) della miniera di Mariano Lake Mine e circostante territorio.
Ma i luoghi da bonificare sono tanti e i soldi sono pochi. 
L’E.P.A. e il Dipartimento dell’ Energia, responsabili per le bonifiche quando non si trovano gli autori della contaminazione, calcolano in oltre un miliardo di dollari la spesa necessaria per fare un lavoro adeguato, ma attualmente ciò che dispongono sono solo 108/mln di dollari, ovvero circa un decimo di quella cifra. Ciò significa che molto tempo ancora si dovrà aspettare (per chi ha tempo) prima di vedere concretizzarsi una efficace bonifica del territorio contaminato o per vedere il rimborso delle stragi causate dalla colpevole incuria delle imprese e dalla pessima legislazione in materia.
Dice al proposito la signora Knorr: “Questo problema delle bonifiche oggi non ci sarebbe se i governi in carica negli anni ‘80 avessero fatto una semplicissima legge che le obbligava a mettere il territorio in sicurezza prima di sparire coi soldi fatti sulla pelle della povera gente”.