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9/11: il tribunale di Obama

di Michele Paris - 10/04/2012


L’amministrazione Obama, qualche giorno fa, ha annunciato ufficialmente che i cinque detenuti a Guantanamo accusati di aver orchestrato la strage dell’11 settembre saranno processati in un tribunale militare speciale presso la base americana sull’isola di Cuba. Il presunto principale ideatore degli attacchi alle Torri Gemelle, Khalid Sheikh Mohammed, e gli altri quattro accusati dovranno fronteggiare accuse che prevedono la pena capitale in un procedimento nel quale saranno esclusi gran parte dei diritti basilari garantiti agli imputati in un normale processo civile.

Oltre al kuwaitiano Mohammed, davanti alla commissione militare appariranno anche gli yemeniti Walid bin Attash - accusato di aver reclutato e addestrato alcuni dirottatori - e Ramzi bin al-Shibh, uno degli architetti dell’11 settembre e membro della cosiddetta “cellula di Amburgo” che non ottenne tuttavia il visto per entrare negli Stati Uniti nel 2001; il pakistano Ali Abdul Aziz Ali (Ammar al-Baluchi), nipote di Mohammed, e il saudita Mustafa Ahmed al-Hawsawi, entrambi responsabili del trasferimento di denaro ai dirottatori dagli Emirati Arabi.

Tutti e cinque gli imputati sono stati arrestati in Pakistan tra il 2002 e il 2003, detenuti e torturati in prigioni segrete della CIA e trasferiti nel lager di Guantanamo nel settembre 2006. Khalid Sheikh Mohammed, in particolare, pare sia stato sottoposto per ben 183 volte a waterboarding, o annegamento simulato, così come ad altre forme di tortura per mano dei servizi segreti statunitensi prima di confessare le proprie responsabilità nei fatti dell’11 settembre e in svariati altri crimini reali o presunti.

La decisione presa questa settimana dal Pentagono è il risultato dell’inversione di rotta del presidente Obama e del suo ministro della Giustizia, Eric Holder, sul precedente impegno di processare i fautori degli attentati in un tribunale civile a New York. La scelta di un tribunale militare a Guantanamo permetterà così al governo americano di evitare qualsiasi controversia pubblica sulle detenzioni illegali e i metodi di tortura messi regolarmente in atto nella “guerra al terrore”, ma anche l’emergere di rivelazioni scomode relative ad eventuali responsabilità dei servizi segreti USA.

Il processo prenderà il via il mese prossimo e sarà soggetto al rigido controllo delle autorità militari. Come ha svelato un recente articolo del Miami Herald, ad esempio, le fasi del procedimento che verranno trasmesse in video ai famigliari delle vittime dell’11 settembre avranno un ritardo di 40 secondi, in modo da poter bloccare la diffusione di informazioni riservate.

I cinque imputati, inoltre, saranno sottoposti ad un unico processo collettivo e tutti rischiano concretamente la pena di morte nonostante i crimini di cui sono accusati siano molto diversi tra loro. Ali Abdul Aziz Ali, come ha denunciato il suo legale, è accusato soltanto di aver trasferito del denaro, un reato ovviamente non perseguibile con la pena capitale in un tribunale federale americano.

Le commissioni militari speciali erano state istituite dall’amministrazione Bush con il Military Commission Act del 2006 per poi essere sospese temporaneamente dopo l’elezione di Obama, il quale aveva promesso di eliminare questa sorta di giustizia a doppio binario e di chiudere il carcere di Guantanamo.

Nel febbraio del 2008, i cinque imputati in questione erano stati formalmente accusati di aver pianificato e messo in atto gli attacchi dell’11 settembre a New York, Washington e Shanksville, in Pennsylvania, risultanti nell’uccisione di 2.976 persone e per aver commesso altri crimini di terrorismo, dirottamento, cospirazione e omicidi in violazione del diritto di guerra.

Il procedimento era stato successivamente congelato dal nuovo inquilino della Casa Bianca, secondo il quale tutti i detenuti a Guantanamo avrebbero dovuto perciò essere liberati o processati in tribunali civili in territorio americano. Questa svolta ha però incontrato la ferma resistenza dei repubblicani e di buona parte dei democratici al Congresso che hanno ben presto approvato alcune misure per bloccare il trasferimento dei detenuti dalla giustizia miliare a quella civile. Obama ha alla fine ceduto e, nel marzo dello scorso anno, oltre ad ammettere l’impossibilità di chiudere il famigerato carcere di Guantanamo in tempi brevi, ha resuscitato i tribunali militari, sia pure introducendo qualche debole garanzia in più per gli imputati.

Allo stesso tempo, il presidente democratico, eletto nel 2008 grazie alla mobilitazione di gran parte della popolazione americana desiderosa di chiudere una delle pagine più nere della storia del proprio paese, ha firmato un decreto per consentire la detenzione indefinita e senza accuse formali né processo dei presunti terroristi a Guantanamo. Esattamente un anno fa, poi, il ministro Holder, anche se in maniera “riluttante”, ha ufficialmente rinunciato a portare Mohammed e gli altri quattro imputati di fronte ad una corte federale di New York, riconoscendo l’inevitabilità di processarli in un tribunale militare secondo il Military Commission Act.

Dopo il voltafaccia dell’amministrazione Obama, nel giugno 2011 le stesse accuse relativamente ai fatti dell’11 settembre sono state nuovamente formulate contro i cinque sospettati. Mercoledì scorso, infine, il vice ammiraglio in pensione Bruce MacDonald del Dipartimento della Difesa, cioè l’ufficiale con l’incarico di supervisionare la commissione militare, ha autorizzato l’apertura del processo a Guantanamo.

La decisione presa dall’amministrazione Obama ha suscitato le dure proteste delle associazioni a difesa dei diritti civili. L’American Civil Liberties Union (ACLU) in una dichiarazione ufficiale ha affermato che il presidente “sta facendo un terribile errore sottoponendo il più importante processo di terrorismo dei nostri tempi ad un sistema giudiziario di seconda classe”.

Le commissioni militari, secondo l’ACLU, “sono state istituite per ottenere facili condanne e nascondere la realtà delle torture, non per assicurare un giusto processo”. Inoltre, qualsiasi verdetto emesso risulterà “macchiato”, mentre il ricorso ai tribunali militari “significa che, agli occhi della nostra nazione e del resto del mondo, giustizia non sarà mai realmente fatta”.

Più che un “errore”, in realtà, la decisione rappresenta la logica conseguenza di una politica perseguita da Obama in materia di anti-terrorismo che è spesso andata ben oltre le aberrazioni legali di cui si era macchiato il suo predecessore.

Alcune delle tappe fondamentali del processo di smantellamento dei diritti democratici negli Stati Uniti sono giunte proprio in questi ultimi mesi. Lo scorso 31 dicembre, il presidente ha posto la propria firma su un provvedimento che legalizza la detenzione indefinita presso l’autorità militare, anche senza prove né processo, di chiunque sia sospettato di legami con gruppi terroristici. Ai primi di marzo, invece, lo stesso Holder ha esposto la giustificazione pseudo-legale attribuita al presidente di ordinare l’uccisione di presunti accusati di terrorismo, cittadini americani compresi, in qualunque angolo del pianeta.

Ben lontano dal rendere giustizia per un orrendo crimine che è costato la vita a quasi 3 mila persone, il processo che si prepara a Guantanamo contro Khalid Sheikh Mohammed e i suoi complici è un atto che svilisce il diritto e calpesta le garanzie costituzionali degli imputati, creato appositamente per ottenere un verdetto già scritto e per seppellire una volta per tutte le ombre che tuttora avvolgono i fatti dell’11 settembre 2001.