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Scientismo e “redentorismo” sono le due facce di una stessa arroganza speculativa

di Francesco Lamendola - 10/04/2012




 

Il “volto” di Marte, fotografato dalla sonda Viking 1 il 25 luglio del 1976 nella regione di Cydonia  e divenuto, una ventina di anni dopo, oggetto di accese discussioni, prima di essere relegato fra le illusioni ottiche prodotte da un gioco di ombre e luci, ha offerto una delle tante occasioni per testare il grado di apertura mentale degli scienziati accademici nei confronti della possibilità di trovarsi in presenza di una prova clamorosa di manufatti alieni su un pianeta esterno al nostro.

Il grado di apertura mentale e non la credulità, teniamo a precisare. Perché non sarebbe stato serio abbandonarsi precipitosamente alla  credenza nell’autenticità del gigantesco manufatto (un rilievo geologico lungo circa 3 km., largo 1,5 ed alto 450 m., profondamente eroso dagli agenti atmosferici); ma, in pari misura, secondo noi, non sarebbe stato serio neppure chiudersi a riccio in un negazionismo pregiudiziale, come invece puntualmente è avvenuto.

Il vero spirito scientifico nasce dallo stupore, come notava Einstein, e non esclude nulla di quanto è possibile; ed è possibile, anche se, magari, poco probabile, tutto ciò che non è in contrasto con le basi del ragionamento razionale, con l’esperienza sensibile, con gli insegnamenti della tradizione accumulati nel corso del tempo.

Ora, che un tale manufatto potesse esistere, così come le “piramidi” della regione limitrofa, era cosa tutt’altro che impossibile, se si considera che la storia geologica di un pianeta di tipo “terrestre”, come Marte o Venere, è lunga a sufficienza per poter comprendere uno sviluppo delle condizioni ambientali che possono ospitare la vita, così come noi la conosciamo, anche nella forma di organismi superiori e di intelligenze evolute.Di conseguenza, l’atteggiamento di negazione pregiudiziale, che è scattato immediatamente, come un riflesso condizionato, dimostra che la comunità scientifica ufficiale, o che tale si è auto-proclamata e pretende di essere considerata (con tanto di repressione legale di ciò che essa reputa pseudo-scienza, dalle multe alla prigione per alcune categorie di “eretici”, per esempio medici non laureati), semplicemente non è pronta per confrontarsi, in concreto, con la possibilità di incontrare tracce di vita aliena, specie se intelligente, non solo nel presente, ma anche relativamente a un lontano passato.

In realtà, se quei signori avessero un atteggiamento scientifico aperto e spassionato (e aperto, lo ripetiamo, non significa credulo), non sarebbe necessario trasferirsi nello spazio, poiché vi sono molti fatti anomali da esaminare già qui, sulla Terra, fin da adesso: testimonianze di persone che hanno fatto degli “incontri ravvicinati”, filmati e fotografie di creature aliene o dei loro velivoli, tracce sul terreno apparse in concomitanza con avvistamenti. Non si dice che si tratti sempre di evidenze attendibili, ma che meriterebbero un esame serio e approfondito e, soprattutto, non viziato - come lo è da parte di quei pochi che si danno la briga di considerarlo, ad esempio i membri del C.I.C.A.P. - da una fortissima pregiudiziale scettica. Quei signori, infatti, partono dalla ferma convinzione che non vi sia alcun mistero da svelare, ma solo delle truffe o, nel migliore dei casi, dei fraintendimenti: dopo di che vanno a cercare la verità, ma quella verità che essi ritengono di avere già in tasca, bella e pronta, secondo la loro idea di ciò che è possibile, di ciò che è razionale, di ciò che è scientifico e di tutto ciò che, invece, non è nessuna di queste cose.

Inoltre, falsando più o meno deliberatamente le carte, essi si scelgono un avversario di comodo, di solito il fondamentalismo religioso, per suggerire o per affermare esplicitamente che il pubblico deve scegliere senza sfumature, tra la “loro” verità, ossia quella della Scienza con la “S” maiuscola, cioè di una scienza assolutizzata e totalitaria, che non ammette altro dio fuori di se stessa, e quella delle sette religiose antimoderne e oscurantiste (ma nel loro mirino, anche se non lo dicono a voce alta, ci sono tutte le religioni, cristianesimo in testa: ciò è implicito nei loro presupposti, anche se non ritengono che i tempi siano ancora maturi per dirlo).

Andrea Albini, in un articolo apparso per la prima volta sulla rivista del C.I.C.A.P., «Scienza e paranormale», e poi ripubblicato sul mensile di astronomia «Coelum» (Milano, n. 5, gennaio 1998, pp. 40-42), osservava in proposito:

 

«Com’è possibile che la nazione con le capacità tecniche, scientifiche ed economiche più elevate al mondo [cioè gli Stati Uniti d’America] coltivi anche atteggiamenti così estremistici? Di certo la cultura americana presenta alcuni aspetti molto bizzarri per gli occhi europei. Basta solo pensare al fondamentalismo religioso, quel fenomeno unico nel mondo occidentale che preme affinché nelle scuole sia insegnato il “creazionismo” al posto della provatissima teoria scientifica dell’evoluzione. Oppure pensiamo al monopolio nordamericano sui presunti rapimenti da parte degli alieni. Nel suo libro “American Exceptionalism”, Seymour Martin Lipset cerca di analizzare le cause di questa stranezza. Molti americani scelgono di vivere in un contesto di credenze che sembrano bizzarre da fuori ma sono perfettamente sensate ed accettate all’interno della comunità in cui vivono.

Anche l’atteggiamento di tanti americani nei confronti della scienza rispecchia questo sensazionalismo. Come nel caso dei presunti artefatti alieni su Marte, molto spesso non è il concetto di scienza che viene messo in discussione, ma piuttosto la definizione di chi parla a nome della scienza.

Nel suo libro “Redeeming Culture”, lo storico James Gilbert mostra come in America l’interpretazione fideista del mondo spesso non si contrappone a quella scientifica ma piuttosto vuole “redimerla” perché la trova troppo astratta, distaccata e lontana dal senso comune. Ecco allora che Immanuel Velikovsky scrive nel 1950 un libro, “Worlds in Collision”, destinato a provocare grandi discussioni oltreoceano. In esso l’autore cercava goffamente di dare una spiegazione storico-scientifica ai miracoli del Vecchio Testamento.

Un atteggiamento “redentorio” di questo tipo emerge anche nel dibattito sulla vita extraterrestre nel sistema solare e sulle visite che gli UFO ci farebbero o ci hanno fatto in passato. La spiegazione classica degli scienziati: “Possibile ma improbabile”, non convince molti, che cercano e credono di vedere prove del’esistenza di tracce extraterrestri anche dove non ci sono. Si pensa allora di vedere tracce di alieni nei bassorilievi Aztechi o nei deserti del Perù, oppure sulla superficie di Marte. Le informazioni oggettive sulle caratteristiche chimico-fisiche dei pianeti che le sonde automatiche  ci trasmettono sono percepite come aride e distaccate dalla “realtà” e non vengono accettate come definitive. […]

Mentre esistono buone ragioni per credere che sia potuta esistere sul pianeta [Marte]  acqua allo stato liquido quando questo era giovane,  ora esso è definitivamente inaridito.  Secondo Alcuni esperti, quindi, se  attualmente c’è vita micro batterica  su Marte essa deve essere ben protetta nelle profondità del suo sottosuolo. Ci potrebbero essere però resti fossili sulla sua superficie, ma dovremmo riuscire a identificarli, nel caso questi fossili  siano di dimensioni microscopiche. Trovare  invece fossili di organismi più grandi, se ne esistono e se, come è presumibile,  non sono numerosissimi, richiede in aggiunta una buona dose di fortuna.

Cercare tracce di vita su Marte si presenta a questo punto come qualcosa di molto meno banale  dell’individuazione di presunti monumenti sulla sua superficie: possiamo scommettere che se questa domanda avrà una risposta questa sarà ottenuta con gli strumenti della razionalità, anche se ciò rischierà di deludere chi avrebbe preferito gli effetti speciali ed un coinvolgimento emotivo come quello dei protagonisti del film “2001 Odissea nello spazio”.»

 

La supponenza di base di un tale atteggiamento si evince anche da singole affermazioni, quali la supposta “provatissima” teoria scientifica dell’evoluzione: e si noti la totale inconsapevolezza che emerge dall’impiego involontario di questo incredibile ossimoro: una “teoria” che è “provatissima”; senza dire che perfino i darwiniani più convinti convengono che la loro teoria ha ormai palesemente bisogno di notevoli ritocchi per apparire verosimile, e dunque bisognerebbe almeno specificare di “quale” evoluzionismo stiamo parlando.

Ma, al di là di questo problema metodologico di ordine generale, per cui si dà sistematicamente per provato, anzi, per provatissimo, ciò che è invece tutto da dimostrare (e l’esagerazione nell’uso dei superlativi tradisce infallibilmente una debolezza teorica e, spesso, anche psicologica, come di chi non si sente poi tanto sicuro del fatto suo), qui siamo in presenza di una tipica deformazione della mentalità scientista: l’autoreferenzialità assoluta.

Per esempio, ci si chiede come mai la nazione tecnologicamente più avanzata possa ospitare anche forme di pensiero e credenze che, dal punto di vista della scienza “ufficiale”, sono semplicemente aberranti; ma non è un vero chiedersi, non è un vero interrogarsi, perché non si compie il minimo sforzo per trovare una risposta. Si citano autori americani, la cui “spiegazione” del fenomeno è una semplice riproposizione della domanda stessa: secondo loro, infatti, le cose stanno così perché le cose stanno così. Tale è infatti, né più né meno, l’affermazione che molti americani accettano di viverre all’interno di un sistema di credenze che, dall’esterno, appare bizzarro, mentre dall’interno è perfettamente ragionevole. È una risposta?

Ma tant’è: dal momento che questi “molti” hanno scelto le tenebre dell’ignoranza piuttosto che i lumi della scienza, non vale la pena di spremersi troppo il cervello per cercar di spiegare la loro bizzarria; si tratta - questo è il sottinteso, che non viene esplicitato solo in omaggio alla democrazia liberale, Sacro Graal del politicamente corretto, in base alla quale ciascuno è libero di professare le scemenze che vuole - di una maggioranza culturalmente ininfluente e che, prima o poi, finirà per convertirsi alla religione della Scienza, volente o nolente, così come i Sassoni finirono per convertirsi al cristianesimo, al tempo di Carlo Magno.

La ricca casistica dei rapimenti alieni (presa sul serio, si badi, da un buon numero di serissimi psicologi professionali) viene liquidata in una battuta sprezzante; la complessa e originale teoria cosmologica di Immanuel Velikovsky non riceve trattamento migliore e viene goffamente presentata (qui sì, ci sta bene l’avverbio “goffamente”) come un tentativo di spiegare i miracoli del Vecchio Testamento, mentre, semmai, è un tentativo di trovare un accordo tra la verità della scienza e la testimonianza della tradizione biblica, cosa un tantino diversa. Ma Velikovsky era un eretico e, come se non bastasse, non era un cosmologo accademico, bensì uno psicologo, dunque non poteva aver detto niente di serio in un campo che non era di sua competenza; più o meno come tanti geologi di professione non presero sul serio la geniale teoria della deriva dei continenti, perché ad avanzarla non fu un loro collega, ma il meteorologo Alfred Wegener.

Quanto al “redentorismo”, è vero che esiste, negli Stati Uniti, una cultura di questo genere, ma è altrettanto vero che essa è la risposta uguale e contraria al modello di scienza, arrogante e totalitaria, che molti scienziati accademici e, soprattutto, molti giornalisti e divulgatori scientifici, ostentano continuamente; una scienza che sconfina continuamente in ambiti che non le appartengono, come la filosofia, la teologia, la religione, in base, alla rozza equazione: «non è scientificamente osservabile, misurabile, quantificabile o riproducibile in laboratorio, dunque non esiste».

Tale è l’alternativa che il Pensiero Unico oggi imperante, nella scienza non meno che in tutti gli altri campi della realtà, dalla politica all’economia, vorrebbe imporci: o credere in esso e adorarlo, ciecamente, incondizionatamente, prostrandoci ammirati e obbedienti davanti alla sua verità; oppure gettarci nelle tenebre paurose del regresso, del fideismo religioso, della superstizione limacciosa di un Medioevo prossimo venturo. E, poste così le cose, chi avrebbe voglia di scegliere la seconda strada, senza sentirsi un miserabile reietto, indegno della qualifica di essere pensante?

Eppure si tratta di un ricatto e, per di più, di una falsa alternativa.

La scienza, la vera scienza, che non ha bisogno di lettere maiuscole, né di crociate del C.I.C.A.P. o di organismi similari, né delle teleprediche di qualche divulgatore che si crede infallibile o di qualche astronoma che pensa di aver capito tutto non solo dei cieli, ma anche del Cielo (e qui sì, ci va la lettera maiuscola, perché è giusto che l’uomo si senta piccolo davanti al mistero del divino), nasce dallo stupore, non esclude nulla, non è arrogante e, soprattutto, è sempre pronta a rimettersi in discussione, consapevole che «vi son più cose, in terra e in cielo, di quante ne potrà mai sognare».