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Antipolitica? Repertorio abusato

di Marco Tarchi - Gabriella Colarusso - 24/04/2012

Fonte: lettera43


Così scriveva Velio Spano parlando del movimento politico l'Uomo qualunque: «I suoi dirigenti sono tristi speculatori delle sventure d’Italia, torbidi giocolieri che tentano di riesumare il fascismo vestendolo da pagliaccio».
Era il 1946 ma sembra oggi. Dalle segreterie di partito si sono alzate infatti grida manzoniane contro il nemico populista Beppe Grillo.
Da Pier Luigi Bersani a Nichi Vendola, fino a Pier Ferdinando Casini, nessun leader politico ha risparmiato critiche feroci al comico genovese che agita la forca, tra le folle in festa, contro la corrotta oligarchia italiana.
Populista. Qualunquista. Campione d'antipolitica. Persino fascista, si è sentito dire. La politica tradizionale abbaia. Il giullare continua a farsene beffa. Il consenso al suo movimento nel frattempo cresce. Ma cos'è davvero Beppe Grillo? Da dove viene e dove va l'umore rancoroso del suo impegno pubblico?
ANTIPOLITICA: REPERTORIO ABUSATO. Se è vero che il grillismo è ascrivibile a quella lunga tradizione di populismi che hanno caratterizzato il 900 italiano, riflette Marco Tarchi, politologo, tra i più attenti studiosi dei movimenti 'antipolitici' del secolo scorso (suo L' Italia populista. Dal qualunquismo ai girotondi, Il Mulino), è altrettanto vero che nel suo attacco ai professionisti della politica Grillo non è solo: Antonio Di Pietro, Nichi Vendola, Silvio Berlusconi attingono tutti a piene mani «al repertorio psicologico e stilistico del populismo a piene mani, ciascuno però secondo le proprie caratteristiche».
E però contro Grillo si appunta l'ira dei sovrani. La reazione dei partiti è sproporzionata, il ravvedimento nullo. Perché, ragiona Tarchi, se anche il Movimento 5 stelle alle prossime amministrative dovesse avere un successo clamoroso, questo non cambierebbe le abitudini della politica «che a mio avviso è, in questa fase, incapace di autoriforma».


DOMANDA. È bastato un sondaggio per mandare in tilt i partiti: il Movimento 5 stelle al 7% alle prossime amministrative. Hanno accusato Grillo persino di fascismo. Che cosa ne pensa?
RISPOSTA. A chi straparla di nuove forme di fascismo collegandole a questo caso non c’è niente da replicare. Sono argomenti polemici di nessuna consistenza, la cui presa è confinata a piccole nicchie di nostalgici che amano sfogare i loro umori in una eterna guerra alle ombre.
D: Il comico è stato anche definito «populista» e qualcuno ha chiamato in causa l'antipolitica.
R. È vero che Grillo, nelle sue esternazioni, esprime per più versi la mentalità populista e fa ricorso ad argomentazioni antipolitiche.
D. Che cosa intende per populismo?
R. Una forma mentis che fa del popolo - idealizzato - il depositario delle virtù civiche e il vero unico sovrano della “polis”, l’unica fonte di legittimazione delle istituzioni, a partire da quelle rappresentative fondate sulle elezioni.
D. Un'idea che collide con il principio della 'delega', su cui si fonda la democrazia rappresentativa.
R. L’antipolitica dei populisti è opposizione alla classe politica professionale, ritenuta strutturalmente incapace di servire gli interessi dei cittadini perché troppo interessata a difendere la propria rendita di posizione.
D. Opposizione popolo-oligarchia, discorso da caudillo latino-americano. Grillo ne è la declinazione italiana?
R. Nel contesto italiano, il “grillismo” riprende la visione del populismo latinoamericano e la utilizza per spronare l’opinione pubblica a delegittimare le Caste, politiche, economiche, giornalistiche e via dicendo.
D. Furia distruttiva o anche istanze costruttive?
R. Come in ogni movimento spontaneo, ce ne sono molte e confuse. Mi pare che a prevalere siano l’insofferenza verso l’arroganza dei potenti, il desiderio di riappropriazione dal basso dei meccanismi decisionali e un forte desiderio, spesso venato di ingenuità, di affermare il primato dell’etica in ogni campo dell’agire pubblico.
D. Ci sono formazioni politiche in Europa assimilabili al 'grillismo'?
R. Ci sono state, e ci sono, molte espressioni di questo stato d’animo. Basta pensare a quando Coluche, un comico popolarissimo, si presentò alle elezioni presidenziali in Francia. Incarnare lo stato d’animo dell’“uomo qualunque” è una tentazione ricorrente, in politica.
D. Ma la candidatura di Coluche risale al 1981. Il 'qualunquismo' di oggi che faccia ha?
R. Ci sono varie formazioni populiste sparse in molti Paesi, nonché singoli personaggi che affermano di rappresentare la “società civile”. Ne abbiamo visti molti: da presidenti di squadre di calcio (Tapie in Francia, Gil y Gil in Spagna, per non parlare delle vicende italiane) a magistrati, da industriali a presentatori televisivi. Talvolta fanno centro, ma i loro successi sono effimeri.
D. Industriali e presidenti, dice. L'antipolitica dunque non è solo 'dal basso'?
R. Quello di 'antipolitica' è un concetto controverso, che è stato utilizzato nei modi più svariati - parlando di antipolitica “dall’alto” in casi come quelli di Ronald Reagan, Silvio Berlusconi e Charles de Gaulle, e di antipolitica “dal basso” nel caso di movimenti di protesta.
D. Che cosa distingue Grillo da Berlusconi?
R. Distinguerei fra antipolitica tout court, ovvero quel sentimento che conduce a prendersela sempre e comunque con “chi sta in alto”, in una sorta di sistematico anti-élitismo, e posizioni anti-partitiche o anti-istituzionale, che propriamente antipolitiche non sono anche se spesso come tali vengono etichettate.
D. Dal punto di vista narrativo, il discorso pubblico del Cav assomiglia molto a quello di Grillo: la battuta, lo scherno, la beffa velenosa che piega l'avversario.
R. Entrambi risentono di un’estrazione borghese ma amano posare a uomini del popolo. Ovviamente, un imprenditore e un attore comico non possono recitare il copione su un registro identico. Né all’uno né all’altro, però, sfugge che l’ironia è un’arma efficace in politica, se la si sa usare nel modo opportuno.
D. Si può tracciare un filo di continuità tra esperienze come quella dell'Uomo qualunque di Guglielmo Giannini, della Lega Nord e del Movimento 5 stelle?
R. Fatte le opportune differenze, sì. Tutte rivolgono un appello all’uomo “della strada”, sincero, spontaneo, laborioso, onesto, affinché, per dirla alla Giannini, non si faccia «far fesso» dai politici di professione e si riprenda lo scettro del potere, da costoro sequestrato.
D. Vendola ha definito il fenomeno-Grillo un “mix inquietante” di istanze di estrema destra ed estrema sinistra. Condivide questa analisi?
R. No. Almeno per ora, non vi riscontro né violenza né fanatismo. Certo, lo stile gridato di Grillo e la radicalità di alcune delle posizioni assunte e delle soluzioni raccomandate autorizza a parlare di demagogia, ma le accuse di estremismo mi sembrano strumentali. E paradossali in bocca ad un esponente politico che le ha subite, e continua in parte a subirle, sulla propria pelle.
D. Perché il grillismo spaventa tanto i leader politici?
R. Perché rischia di alienare ulteriormente, e stabilmente, una parte non trascurabile dell’elettorato da loro presa. E perché sconvolge gli allineamenti lungo l’asse sinistra-destra, che negli ultimi decenni si sono dimostrati utilissimi a conquistare consensi di ampi settori di opinione che magari esprimevano scetticismo nei confronti di partiti e programmi ma erano attratti dalla logica epidermica dello scontro diretto, del “noi contro loro”, dell’antipatia per “l’altra parte”.
D. La politica che scalcia contro Grillo fa un buon servizio a se stessa?
Ovviamente no. Non fa, anzi, che portare acqua al suo mulino.
R. Se il Movimento 5 stelle prendesse il 7% alle prossime elezioni, quali ricadute potrebbe avere sugli altri partiti?
D. Credo che contro Grillo entrerebbero in campo le armi pesanti della demonizzazione e ci dovremmo abituare a quotidiani sermoni, messe in guardia e allarmi provenienti dalle varie sedi istituzionali. Ma niente cambierebbe nei comportamenti basilari della classe politica, che a mio avviso è, in questa fase, incapace di autoriforma.
D. Esiste una correlazione tra crisi dei partiti politici tradizionali, ascesa delle tecnocrazie, e il successo di movimenti politici come quello di Grillo?
R.
Senza dubbio. Un elemento tipicamente populista del “grillismo” è il desiderio di semplificare i processi politici, renderli comprensibili a tutti e trasparenti (si pensi all’impegno dei militanti e degli eletti del Movimento 5 stelle a filmare i lavori di tutti i consigli comunali, provinciali e regionali). Tutto ciò che fa parte degli arcana imperii è indigesto a Grillo e ai suoi.
D. Si parla molto di fine dei partiti a guida carismatica: tramonto di Umberto Bossi, uscita di scena di Berlusconi. Il consenso riscosso da Grillo però sembra contraddire questa analisi.
R.
Nella civiltà dell’immagine, la personalizzazione e la leaderizzazione della politica sono fenomeni difficilmente reversibili. Mi chiedo, fra l’altro, se la Lega Nord potrà davvero mantenere una solida base di consenso se rinuncerà a una guida carismatica, perché i populisti amano un rapporto diretto con un capo, che erigono a loro ventriloquo. Un partito “normale” non li attrae e non li mobilita.
D. Grillo è il Bossi del XXI secolo?
R.
Gode di una capacità di trascinamento molto accentuata in alcuni settori minoritari dell’opinione pubblica perché «dice a gran voce quello che molti pensano e bisbigliano».
D. Però è già fortemente contestato da non pochi quadri intermedi del suo movimento.
R.
Affidarsi alla Rete è utile ma pericoloso, soprattutto quando poi si sponsorizzano liste elettorali che eleggono rappresentanti nei consigli degli enti locali: costoro, inevitabilmente, finiscono per “istituzionalizzarsi” ed entrano in conflitto con le istanze radicali che avevano alimentato il loro consenso.
D. Il grillismo di lotta rischia il cortocircuito con quello di governo?
R. Grillo può evitare il rischio cortocircuito restandosene confinato al suo blog o alle apparizioni in pubblico in mezzo ai sostenitori festanti, ma gli eletti del Movimento 5 stelle con molte probabilità ci sprofonderanno, come nelle sabbie mobili.
D. Il populismo che viene attribuito a Grillo è lo stesso che, secondo alcuni analisti, caratterizza il discorso pubblico di Di Pietro e Vendola?
R.
Al repertorio psicologico e stilistico del populismo tutti e tre attingono a piene mani, ciascuno però secondo le proprie caratteristiche. Si va dal tipo ruspante a quello del tribuno per approdare al colto affabulatore mai dimentico degli apologhi personali popolareschi.