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Essere liberi significa respingere il ricatto del conformismo ideologico

di Francesco Lamendola - 20/05/2012


 

Gli uomini liberi sono pochi.

Probabilmente sono sempre stati pochi e sempre lo saranno; è una legge di natura quasi fisica: se aumenta l’estensione, diminuisce la profondità.

Nel tempo presente si ha l’impressione che gli uomini liberi siano un drappello particolarmente esiguo; forse non è vero in termini assoluti, ma lo è in termini relativi; e, soprattutto, forse lo è specialmente in senso psicologico.

Nella società contemporanea, infatti, che si dichiara democratica, tollerante e pluralista, balza particolarmente in evidenza lo stridente contrasto con il conformismo di massa, che impone una divisa ideologica sempre mutevole: gli slogan delle ideologie, infatti, mutano con una disinvoltura paragonabile a quella della moda.

D’altra parte, è inevitabile che si dia una tale situazione: la società di massa, per le sue caratteristiche specifiche, non può che essere caratterizzata dalla duplice spinta all’individualismo e al conformismo; e ciò che ne risulta non può non essere un individualismo di massa, in cui tutti proclamano l’importanza della libertà individuale e credono di agire in conformità ad essa, mentre quasi tutti pensano, dicono e fanno esattamente quello che pensano, dicono e fanno gli altri, conservando, però, con un prodigio di auto-inganno, l’illusione di essere realmente se stessi, di esprimersi davvero con la massima libertà e indipendenza.

Ne consegue che la libertà non è un dato  di fatto, ma una faticosa conquista, un elemento dinamico sempre in cammino e sempre suscettibile di ricadere nel suo contrario; e dipende, inoltre, tanto dall’intelligenza, quanto dal retto esercizio della volontà, ossia dalla volontà guidata da un insieme di valori morali, primo fra i quali la coerenza disinteressata (che è cosa ben diversa dalla coerenza del fanatico, il quale non si sposta mai dalle proprie posizioni per il semplice fatto che non ne conosce di altre, e neppure le vorrebbe conoscere).

Nella maggior parte dei casi o si è intelligenti, o si è liberi: perché, di norma, le persone libere non sono intelligenti e le persone intelligenti non sono libere. L’intelligenza guidata dall’amore per la verità è cosa rara, molto più rara di quel che non si creda: anche se la storia del pensiero umano lo mostra chiaramente, se si è disposti a vederlo.

La libertà del sentire, del pensare e dell’agire è il frutto di un continuo lavoro su se stessi alla ricerca della verità; vi contribuiscono molto l’educazione ricevuta e altri fattori esterni, ma, come per qualsiasi pianta rara e delicata, essa richiede soprattutto continue cure e attenzioni: basta una gelata improvvisa per farla morire.

Inoltre, la vera libertà non è mai una libertà assoluta, cioè svincolata da doveri e responsabilità ben precisi: chi non ha compreso questo, anche se si riempie continuamente la bocca con la parola “libertà” e per quanti atteggiamenti “libertari” possa assumere, non ha compreso l’essenza della libertà e, di fatto, agisce come un autentico nemico di essa.

La grande nemica della libertà non è tanto la costrizione esterna, perché nessuna costrizione esterna può togliere all’uomo la libertà interiore, premessa e caparra di ogni libertà futura, bensì il conformismo, ossia l’abito mentale per cui il soggetto castra in se stesso la disposizione alla libertà e, per un insieme di ragioni che vanno dalla pura e semplice paura, ad un malinteso senso di fedeltà ai “princìpi” (ma quale mai principio vale il prezzo della libertà effettiva, reale e concreta?), accetta volontariamente di indossare una uniforme.

Il conformismo è un contagio subdolo.

Non sempre esso si manifesta nelle forme clamorose e pacchiane che sono proprie dei totalitarismi vecchio stile; nelle odierne società democratiche, esso si insinua sovente in maniera poco appariscente e arriva a contagiare anche alcuni dei migliori.

Esistono persone profonde, intelligenti, oneste, rette e bene intenzionate, le quali, per una forma di fedeltà a se stesse, soggiacciono al ricatto del conformismo ideologico: si rifiutano di essere sincere con una parte di sé, soffocano e reprimono una istanza legittima e autentica del loro essere, per modellarsi così come ritengono che si debba fare, in ossequio alle idee che professano.

Vi sono, ad esempio, eccellenti persone di sinistra (parliamo di quelle eccellenti, perché sui cialtroni non vale la pena di soffermarsi) le quali, in privato, leggono taluni autori generalmente considerati di destra, li apprezzano, ne condividono perfino alcune tesi; ma non lo ammetterebbero mai in pubblico, così come un moralista grossolano non ammetterebbe mai di provare attrazione verso un certo tipo di richiamo sessuale.

Vi sono, per intenderci, intellettuali di sinistra, anzi di estrema sinistra, che, in privato o fra pochi, fidatissimi amici, leggono e discutono i libri di Evola, di Guénon, di Jünger, ma non lo direbbero mai in giro, non ne farebbero mai oggetto di pubblico dibattito, tanto è forte, in essi, il timore di venir etichettati come destrorsi: aspettano, semmai, che questi autori vengano “sdoganati” dalla propria parte ideologica, ossia che qualcun altro si decida a rompere il tabù, come è avvenuto con Nitezsche, con la curiosa conseguenza che si è passati da una lettura prevalentemente di destra a una lettura prevalentemente di sinistra, quest’ultima non meno lontana dell’altra da una equilibrata interpretazione del pensiero del filosofo tedesco.

Ecco, questo è un classico esempio di conformismo di massa: prima tutti dicevano che Nietzsche è un pensatore di destra, addirittura un precursore del nazismo, e, a sinistra, nessuno voleva saperne nulla né averci a che fare, almeno ufficialmente e pubblicamente; poi è arrivato il contrordine, e adesso un intellettuale di sinistra che non inserisca Nietzsche fra le sue citazioni preferite, in qualunque discorso e in qualsiasi contesto, si farebbe fatica a trovarlo, tale è la paura di apparire retrogradi e poco aggiornati.

Senza dubbio, un analogo discorso si può fare per il conformismo intellettuale della destra nei confronti degli autori di sinistra: tanto radicata è la difficoltà di riconoscere che i grandi pensatori non appartengono a nessuno schieramento ideologico, ma sono - per citare, appunto, Nietzsche - “per tutti e per nessuno”, o almeno lo sono i loro libri; chiunque, leggendoli, può ricavarne un insegnamento, e tale insegnamento non soffre le catene di alcuna etichettatura ideologica, è pensiero di libertà e basta, perché il vero pensiero filosofico è sempre educazione alla libertà del pensare.

Proviamo ora ad estendere questa riflessione all’ambito delle religioni, dell’arte, della società, del costume, della moda, del cinema, della televisione e perfino all’ambito della scienza (checché se ne dica, anche gli scienziati formulano le loro teorie in base a presupposti che non sono rigorosamente e astrattamente avulsi da preferenze e inclinazioni di carattere filosofico, estetico, religioso), e si avrà un quadro più ampio e significativo dell’odierno conformismo di massa e della difficoltà di incontrare delle persone veramente libere.

Per essere veramente liberi, infatti, bisogna avere il coraggio di sfidare il pensiero dominante, e non per finta, come fa il conformista di massa, ma sul serio, quando cioè la cosa appare scomoda e richiede una certa dose di audacia e di fermezza; bisogna, inoltre, saper respingere il ricatto sociale e, sovente, anche affettivo, che sta sempre in agguato.

Ciascuno di noi vive in una rete di relazioni umane, familiari, professionali, culturali, di partito, di religione, eccetera: ebbene, essere veramente liberi significa mettere a repentaglio tale appartenenza, perché la massa degli altri, i non liberi o i finti liberi, non esiteranno a scomunicare, emarginare o espellere colui che si rifiuta di sottomettersi all’indirizzo dominante.

Ad esempio, per un vecchio militante comunista, sarà affettivamente penoso assumere le difese di una posizione che gli sembrasse moralmente giusta, ma che potrebbe venire interpretata come un cedimento a idee o sentimenti di destra; i suoi amici lo guarderanno con stupore e incredulità.

Egli dovrà dare delle spiegazioni; dovrà giustificarsi; e, se le sue ragioni non appariranno convincenti, finirà per trovarsi isolato, guardato con diffidenza, con sospetto, forse addirittura con una certa dose di commiserazione o di disprezzo. Potrà essere censurato e perfino espulso dal partito, cioè dalla sezione in cui ha militato per tutta la vita: il costo psicologico che egli dovrà pagare, anche in termini di amicizia e di affettività, sarà salatissimo.

Essere liberi significa non aver paura di tutto questo: e non sono davvero molte le persone che possiedono una tale tempra. Tutti desiderano piacere, essere approvati e accettati dagli altri, almeno nella cerchia ristretta in cui vivono; tutti hanno bisogno di calore umano e a nessuno sorride l’idea di potersi trovare, dalla sera alla mattina, cacciati di casa.

Eppure questo è l’unico modo di essere liberi: non aver paura del ricatto; essere sempre pronti, con la valigia già preparata, a lasciare la propria casa, le proprie abitudini, i propri amici, e ad affrontare l’avventura della solitudine, fisica, psicologica e morale.

Qui si vede chi possiede la stoffa dell’alpinista, che ama le vette e non teme la solitudine, anzi, gode degli immensi silenzi e delle vaste distese deserte, perché in essi ritempra il proprio spirito, e l’abitante delle bassure, abituato all’afa e alla ressa di un mondo rumoroso e sovraffollato, dove la continua vicinanza degli altri trasmette un senso di sicurezza del quale, per quanto effimero, non saprebbero fare a meno.

Non è che la persona libera debba essere per forza, sempre e comunque, un Bastian contrario: tale non è la persona libera, ma il dandy, lo snob, il narcisista compulsivo. La persona libera si espone alla disapprovazione altrui quando ciò le sembra assolutamente necessario per rispettare il proprio senso di giustizia e la propria ricerca della verità; non lo fa volentieri, non assume pose declamatorie, non ostenta inutilmente quel che pensa o quel che sente: semplicemente, non si nasconde nella massa, non tace davanti al ricatto, ma si fa avanti in tutta semplicità e con la perfetta coscienza di stare facendo ciò che ritiene moralmente necessario.

Non sarà capita; non sarà rispettata; le si attribuiranno intenzioni oblique, inconfessabili secondi fini; ed è inevitabile che così accada: ciascuno giudica gli altri e le loro azioni, secondo il proprio metro e secondo il proprio orizzonte esistenziale: il meschino vede ovunque la meschinità, il furbo vede ovunque la furbizia - ovunque, beninteso, ma sempre e solo negli altri, mai o solo eccezionalmente in se stesso.

E questo è un ulteriore ricatto, al quale la persona libera deve saper resistere: l’altrui sospetto di stare facendo un doppio gioco, un gioco interessato; di essere guidata non da limpide intenzioni, ma da chissà quale tornaconto personale.

Vi sono persone abbastanza coraggiose da osar sfidare l’atteggiamento dominante, anche da parte dei propri amici o compagni di partito; ma che esitano e vacillano davanti alla prospettiva di essere giudicate subdole, meschine e interessate.

Eppure, chi ha trovato in se stesso le ragioni per amare la verità, troverà anche il coraggio per vincere quest’ultima battaglia, per quanto difficile essa sia: la battaglia contro il proprio amor proprio, quando esso viene fatto dipendere dal giudizio altrui.

Il coraggioso potrà essere accusato di viltà, e tuttavia dovrà restare insensibile a tale accusa; l’onesto potrà essere sospettato di disonestà, eppure dovrà saper restare indifferente, per quanto gli ribollisca il sangue, per quanto tutto il suo essere gridi e si ribelli davanti all’affronto di un simile sospetto. E quello che più gli brucerà, sarà di vedersi così accusato o sospettato proprio dalle persone a lui più care, proprio da quelle con le quali ha condiviso tanti anni della sua vita, tante speranze, tanti sogni.

Come Lancillotto, nel romanzo di Chrétien de Troyes, trova il coraggio di salire sulla carretta dei condannati a morte, affrontando un terribile disonore, soltanto per amore di Ginevra, così l’uomo libero, per amore della verità e della giustizia, non arretra davanti al giudizio degli altri e proclama a viso aperto quel che pensa, accettandone le conseguenze.

Vivremmo tutti meglio, se il pungiglione velenoso del conformismo venisse strappato mediante una pratica generalizzata della libertà. Ma è bene non farsi illusioni e accontentarsi di coltivare ciascuno in se stesso la pianta della libertà, nutrendola di costante amore per la verità, la bontà e la bellezza.