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Identità e felicità nei tempi moderni. L’uomo contemporaneo ha perso ogni identità con l’esistente

di Marcello Frigeri - 30/05/2012

Fonte: liberacritica



In un periodo storico come il nostro, dove non vi sono più certezze politiche, economiche e ora anche religiose, riprendo un discorso a me caro: la contrapposizione tra la modernità, nata dopo l’illuminismo, e i regimi assolutistici pre-industriali e pre-illuministici, quando gli uomini non erano considerati cittadini ma sudditi ed erano privi dei diritti politici – che sono il fulcro del progresso politico moderno –. Da tempo ci siamo lasciati alle spalle un mondo feudale aspro, fortemente ingiusto e con rigide subordinazioni gerarchiche, con la prospettiva di trovare serenità e concretezza sotto i regimi democratici e capitalistici, che dei diritti umani sono stati, e sono ancora, un vessillo esportatore.

È nella modernità, nella sua ricerca infinita dello sfiorare Dio con un dito, ovvero il tentativo di agguantare la perfezione ed il benessere in ogni suo campo (medico, sociale, politico, sportivo, scientifico), che ha reso l’uomo moderno, a suo dire, migliore di tutti quelli delle epoche precedenti. Un tempo, infatti, ci si accontentava di ciò che si aveva, e bastava la sufficienza per rendere un uomo, se non felice, quantomeno sereno. Oggi la modernità ha capovolto questa aspettativa: accontentarsi non è una caratteristica della società industriale, che proprio perché tale ha bisogno continuamente di migliorarsi, di accrescere il suo bottino (ma in natura la crescita infinita non esiste) e di allargare gli orizzonti della conoscenza umana. La staticità e l’immobilismo sono concezioni fuori dalla natura industriale, ed è il dinamismo il nuovo Dio. Questa concezione dell’essere umano è un prodotto dell’illuminismo, che come spiega il termine stesso, ha uno scopo ben preciso: rischiarare tutto ciò che all’uomo non è chiaro; si tratta dunque di sondare e vivisezionare la realtà che ci circonda, per comprendere ogni singolo mistero di questa terra e oltre – dall’astronomia alla medicina, dalla natura al modus operandi dell’individuo stesso -. Nulla, insomma, deve avere angoli d’ombra, perché la ragione è spinta da un desiderio insaziabile di conoscenza.

Ma raggiunto e superato il nuovo millennio, dopo tre secoli di feroce industrialismo che ha reso la Terra schiava dell’uomo consumatore, viviamo ancora in un mondo moderno incerto nelle sue fondamenta: come detto, politica, religione ed economia, oggi, hanno perso ogni principio di sicurezza. Possiamo dunque pensare che la grande battaglia dell’illuminismo, che tutto doveva illuminare e rendere limpido, non sia stata vinta? E se così fosse, dobbiamo individuarne i motivi: la perfezione – ovvero Dio – è un qualcosa che in natura non esiste, e dunque non potrà mai essere agguantata. Allora, tornando alla contrapposizione tra Ancien Regime e mondo industriale, è proprio vero che l’uomo moderno, fatto di progresso e di tecnologia, è l’evoluzione, e dunque il miglioramento, di ciò che era l’uomo-suddito al tempo dell’ancien regime?

Quel che vedo in prima analisi è che il contadino dell’ancien regime, pur vivendo in un mondo aspro e dominato dai prepotenti, ingiusto nella sua concezione di giustizia, possedeva rispetto a noi una sorta di coerenza etica con il mondo che abitava. Non è infatti sbagliato sostenere che l’uomo moderno e post illuminista si sia divincolato da ciò che realmente è: un essere della Natura, vivente in un mondo che sembra non far più parte del suo esistente. L’uomo tecnologico, infatti, è sempre più ciò che ha e sempre meno ciò che è. Circondati dai beni di consumo quale il cellulare, la televisione, la macchina, il computer, l’orologio e altri innumerevoli gadgets, siamo stati drogati e allontanati, prima dall’esistenza naturale, poi da noi stessi. Vi è meno contatto umano rispetto ad un tempo, proprio perché il cellulare o la televisione hanno ristretto questo campo, e di conseguenza ne hanno condizionato l’esistenza, riempiendola di individualismo becero.

Il viaggio

Si dirà che la comunicazione, uno dei simboli del modernismo, abbia agito in senso inverso a quanto sostenuto sin qui, accelerando i contatti umani. Oggi, infatti, siamo in grado di arrivare dall’altra parte del mondo in poche ore. Ma è questo uno dei più grandi inganni della modernità. Oggi il mondo intero è alla nostra portata grazie al treno, alla macchina e all’aereo, mentre un tempo ci si muoveva a piedi o a cavallo, ed in una giornata si copriva lo spazio massimo di 20 chilometri. La velocità dei mezzi di comunicazione ha reso il mondo più piccolo, più ristretto e soffocante, privando l’uomo del piacere del viaggio, dell’avventura e della scoperta. Privando, in sostanza, l’uomo moderno del contatto con la terra sulla quale viaggia. Ciò che resta di un tragitto tra un punto A ed un punto B, imprigionati tra le lamiere degli autoveicoli, è semplicemente il pensare di arrivare nel minor tempo. L’uomo dell’ancien regime aveva dinanzi un mondo sterminato e sconosciuto, che a cavallo o a piedi aveva il piacere di vivere: una natura che cambiava faccia ed un villaggio che mutava architettura. Il viaggio non li faceva padroni del tempo, ma esistenti della natura.

Il lavoro

Il mondo dell’ancien regime era caratterizzato dalle piccole dimensioni, fatto di villaggi dove tutti si conoscevano e in cui l’esistenza ruotava attorno agli amati, ai familiari e alle istituzioni. Tutto era stabile nel suo circolo di vita: la casa, l’aia, la taverna, la chiesa, il negozio dell’artigiano ed il fabbro. Ogni cosa faceva parte di un mondo conosciuto e vissuto sin dai primi anni di vita. Il lavoro, poi, aveva un principio umanizzante che nell’epoca industriale è andato completamente perduto: il rapporto tra lavoratore e prodotto del suo lavoro. Mentre il processo industriale è nato per creare, in modo meccanico e ripetitivo, un prodotto attraverso marchingegni computerizzati avvalendosi in secondo piano dell’uomo (che non è più soggetto del lavoro, ma oggetto lui stesso del processo industriale), nel periodo preindustriale non c’era oggetto che non portasse l’impronta di colui che l’aveva fatto. Anche il più semplice e il più inutile utensile, attraverso qualche fronzolo o fregio, arrecava la firma di chi l’aveva creato. Erano l’amore per il proprio lavoro e l’orgoglio per le proprie abilità, che infondevano all’uomo lavoratore, all’artigiano come al contadino, un valore che nessun operaio della contemporanei industriale, schiavo della catena di montaggio, potrà mai vantare.

Il riconoscersi parte di un mondo

Gli esempi di contatto tra la natura dell’esistente umano, tra la natura che ci circonda, e l’uomo dell’ancien regime sono infiniti, e non tutti possono essere inseriti. Ma possiamo sostenere con forza che l’uomo moderno, tecnologico, industriale e devoto al progresso, sia riuscito a smacchiare per intero la propria identità con l’esistente. Esempio ultimo ne è la disarmonia creata dal potere tecnologico tra l’uomo e i mezzi di cui dispone. Tutti, oggi, sanno pigiare il telecomando per accendere la televisione, anche il più ruvido, analfabeta e bruto tra gli uomini. Ma soltanto gli uomini di scienza sanno come far funzionare un telecomando. Chiunque può prendere l’aereo e viaggiare per il mondo, ma nessuno saprebbe come farlo funzionare – o come crearlo -. Un portacenere di plastica è un prodotto elementare, ma nessuno ne conosce il processo di lavorazione. Scriveva Weber, il primo ad accorgersi del paradosso: “Chiunque di noi viaggi in tram non ha la minima idea di come la vettura riesca a mettersi in moto”. Insomma: viviamo passivamente in un mondo tecnologico di cui però non vantiamo nessuna conoscenza. Siamo estranei nella realtà in cui viviamo. Un tempo, invece, si era ben più analfabeti rispetto ad oggi – che non vuol dire ignoranti -, ma si aveva la consapevolezza dell’esistente. E comunque l’analfabetismo dell’ancien regime nulla aveva a che vedere con quello moderno. Esso, al tempo, significava unicamente ignoranza e incultura, perché lo studio era di diritto alle elite. Non era dunque un fenomeno puramente negativo, perché dovuto all’impossibilità della propria classe. Ciò, tuttavia, non ostacolava la conoscenza del mondo, e dei suoi processi naturali,  all’uomo medio e barbaro dell’ancien regime. L’analfabetismo odierno è sintomo sì di non cultura, ma è anche caratteristica di chi vive in una società che ha perso ogni contatto con il suo esistente