Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Etica comunitaria, progresso e rivoluzione (II parte)

Etica comunitaria, progresso e rivoluzione (II parte)

di Costanzo Preve - Luigi Tedeschi - 30/05/2012

       

 

 

Quando si enunciano i principi della filosofia comunitarista, non si può omettere il riferimento a forme comunitarie di organizzazione sociale della Grecia classica e dell’età medioevale, cioè delle società premoderne. Ma contrapporre il comunitarismo al capitalismo come una dialettica di opposizione tra modernità e antimodernità ha oggi un senso? Si comprende facilmente come la riproposizione della società premoderna al modernismo capitalista sarebbe un anacronismo storico. E’ tuttavia di attualità la critica al pensiero moderno, quale fondamento veritativo quale di falsi miti, quali l’individualismo liberale assoluto, il dogma della scienza economica, del libero mercato che distribuisce ricchezza attraverso la mano invisibile, l’adeguamento necessario della cultura alla realtà economico - sociale dell’esistente. Si è più volte affermato che se il capitalismo è la conseguenza del “disincantamento del mondo”, occorrerebbe allora procedere ad un “reincantamento del mondo” per pervenire alla fuoriuscita dal capitalismo. Come interpretare questo possibile reincantamento, in un mondo ormai quasi del tutto secolarizzato, privo di miti unificanti, verità trascendenti, metafisiche filosofiche, svuotato cioè di ogni pensiero critico non compatibile con i dogmi delle verità scientifiche, delle dottrine economiche, delle scienze sociali? Se non si vuole confidare in improbabili fughe mistiche di carattere trascendente, e impossibili revivals dei miti ideologici, occorre orientare il pensiero critico verso altre prospettive. Occorre dunque, dopo aver sfrondato il pensiero dell’ideologismo del presente, vagliare criticamente quali esigenze, quali aspirazioni, quali orientamenti di carattere culturale e politico emergono dalla realtà sociale del presente storico, e quindi quali concetti filosofici e quali vision ipolitiche possono essere proposte attualmente. In tale contesto è ovvio il richiamo alla metafisica filosofica idealista dei secoli scorsi. Potremo allora valutare con obiettività quali verità filosofiche sono sopravvissute all’opera di sistematica demolizione del divenire storico. Il compito della nostra azione è di carattere etico prima che politico, in un contesto europeo che, al contrario delle altre culture, ha vissuto integralmente la modernità e ne costata oggi la sua inevitabile decadenza.

 

Tratterò nell’ordine tre argomenti: natura della democrazia antica, natura della democrazia medioevale, ed infine ragioni dell’attualità della metafisica idealista.

Luciano Canfora è un brillante antichista italiano, specialista in “smascheramenti”. Così come ha smascherato in nodo convincente il mito del falso papiro di Artemidoro, che solo cretini patentati come i burocrati della regione Piemonte potevano comprare a peso d’(artemid)oro, e come ha smascherato l’eccessiva demonizzazione della figura di Stalin. (il baffuto georgiano è stato il solo modo con cui la classe più storicamente incapace della storia universale, quella operaia, salariata e proletaria, ha potuto arrivare al poter, anche solo per due generazioni), nello steso modo in due libri consecutivi ha “smascherato” il mito della democrazia ateniese. In realtà, si trattò sempre e soltanto della dittatura aristocratica della famiglia degli Alcmeonidi, coperta da tecniche di manipolazione assembleare e da finanziamenti imperialistici.

Questa volta, però, lo staliniano barese collaboratore del Corriere della Sera ha smascherato male. Dal momento che la stragrande maggioranza dei reperti trasmessici dall’antichità è composta da critici della democrazia, e questo sia in greco antico che in latino, è facilissimo inanellare opportune citazioni che parlano di tirannia della maggioranza, demagogia dei sicofanti, eccetera. Inoltre, anche i bambini sanno che c’erano gli schiavi e le donne erano discriminate, ma soltanto pochi adulti esperti sanno che il modo di produzione schiavistico nell’antica Atene non era affatto dominante (lo divenne soltanto in età ellenistica), ma ad Atene prevaleva uno specifico modo di produzione di piccoli produttori indipendenti.

Ebbene, lo smascheratore non tiene conto del fatto che logos, prima di voler dire linguaggio, ragione e pensiero, voleva dire calcolo (loghizomai), ed in particolare calcolo sociale comunitario della giusta misura della ripartizione del potere e della distribuzione delle ricchezze. E la democrazia antica (trascuro qui per brevità i pur necessari ricchissimi particolari, fra cui l’equilibrio della territorialità economica dei vari demi di costa, pianura e montagna) era, appunto la gestione politica del modo in cui si riproduceva economicamente l’insieme della polis. Il contrario, insomma, dell’attuale passaggio dal Bunga Bunga al Banca Banca.

Il comune medievale, pur all’interno della prevalenza di un modo di produzione diversissimo (il modo di produzione feudale), era anch’esso strutturato per il controllo della produzione collettiva comunitaria.  Nato come comune in prevalenza signorile (comune consolare), poi presto evoluto in senso commerciale con il taglio podestarile delle torri, assunse presto la forma corporativa delle collegialità delle arti professionali. Certo, proseguiva la feroce lotta di classe fra arti maggiori ed arti minori (qui parlo solo di Firenze come prima parlavo solo di Atene), ma in ogni caso permaneva il controllo popolare, e quindi democratico, sulla riproduzione economica complessiva della comunità.

Bene, facciamola corta. Non si tratta qui di idealizzare, ma soltanto dì non condurre lo smascheramento fino al punto nichilistico di non riuscire più a distinguere dove non c’era ancora lo spread ma c’erano ancora invece embrioni di autogoverno politico e di autogestione economica. Non si tratta di restaurare ciò che è irreversibilmente passato e non potrà certamente più ritornare. Chi mi accusasse di questo avrebbe vittoria facile, ma io gliela concedo subito tutta, perché non è questo che voglio o ritengo possibile. Semplicemente, voglio ribadire la tesi attualissima che non c’è democrazia quando forze economiche oscure ed incontrollabili determinano in modo pressoché esclusivo la riproduzione sociale, svuotando ogni sovranità ed ogni rappresentanza.

 In quanto all’idealismo classico tedesco, anche in questo caso non si tratta di tornare al quarantennio 1790-1830. Chi come me ha insegnato filosofia per quaranta anni lo sa perfettamente. Si tratta di ribadire che mentre nella storia delle scienze esistono soglie di irreversibilità (non si torna al geocentrismo o al fissismo delle specie), nella storia della filosofia non esistono soglie di irreversibilità, e Platone continua ad essere più attuale di Wittgenstein e Hegel di Nietzsche. Dunque non credete a quelli che vi parlano di attualità o di inattualità come se fossero parametri fisici e chimici. Chi proclama inattuale e superato (come se fossimo in autostrada) l’idealismo classico tedesco, oltre a dare di Hegel una lettura “manicomiale” (il termine è di Remo Bodei), intende sopratutto squalificare l’idea di verità filosofica come ideazione distinta dalla certezza scientifica e dell’autenticità artistica. Non fatevi infinocchiare da chi in questa congiuntura ha il monopolio delle pagine culturali per radical chic.