La Siria e le memorie di Colin Powell
di Francesco Mario Agnoli - 11/06/2012
Incurante delle testimonianze provenienti da tutte le Chiese cristiane della Siria Mrs. Hillary Clinton, l'ineffabile Segretario di Stato Usa, insiste nel proclamare che la strage di bambini a Hula è opera del tiranno Assad. E del suo governo.
Peccato per lei che quasi in contemporanea la casa editrice Harper-Collins abbia pubblicato “It worked for me. In life and leadership”, l'autobiografia di Colin Powell, il predecessore della Clinton, che il 6 febbraio 2003 si presentò (come ricorda Franco Cardini in un bell' articolo appena pubblicato da “Europa”) al Consiglio di sicurezza dell’Onu munito di provette, grafici, foto satellitari, registrazioni telefoniche e slides per dimostrare la veridicità di quanto già dall'anno prima andava proclamando a tutto il mondo il presidente George W. Bush jr. a proposito del possesso di armi di distruzioni di massa, batteriologiche e nucleari, da parte dell'Iraq di Saddam Hussein.
Adesso, a dieci anni di distanza, nella sua autobiografia Powell rivela quasi ufficialmente ciò che in realtà già tutti sanno (ma sembrano avere dimenticato vista la fiducia che continuano a riporre nelle notizie che giungono da Wasihington), cioè che Bush decise l’aggressione da solo, senza neppur consultare il “National Security Council”. Soprattutto confessa di essersi, lui, prestato a mettere in gioco la sua credibilità di buon soldato (era stato - ricorda Cardini - capo di stato maggiore interforze durante la prima guerra del Golfo) – per avallare di fronte all'opinione pubblica mondiale le dichiarazioni del suo presidente, attribuendogli così quella credibilità che, già all'epoca, di suo non possedeva.
Franco Cardini, da quel gentiluomo che è, commenta “Onore al vecchio soldato pentito, che confessa la sua menzogna e se ne vergogna. Lo ha fatto con un ritardo di dieci anni: ma meglio tardi che mai” Personalmente, pensando a quanto ne è seguito, alle centinaia di migliaia di morti (fra i quali una elevatissima percentuale di bambini, che avevano tutta la voglia e tutto il diritto di vivere, esattamente come quelli, siriani, di Hula), alle sofferenze (tuttora in corso) di un popolo intero, mi sento tentato di condividere l'opinione di chi, in “rete”, ha parlato di confessioni di un criminale di guerra.
In ogni caso, ciò che importa non è se si tratti del pentimento di un onorevole vecchio soldato o di un criminale di guerra (tanto è certo che non verrà mai processato), ma che questo pentimento ci faccia riflettere sulla attendibilità delle notizie e perfino degli apparenti documenti provenienti in genere dall'amministrazione statunitense e in particolare dai suoi Segretari di Stato. Tanto più oggi, quando la situazione in Medio Oriente torna ad assomigliare terribilmente a quella del 2002-2003. Come scrive Franco Cardini, a conclusione del suo scritto (non per nulla titolato “La fabbrica della guerra”): “La preparazione mediatica di un nuovo conflitto è alle porte: e le tecniche di persuasione-disinformazione sembrano analoghe a quelle di dieci anni fa”.
In Italia, dove contano molto l'ideologia e, nonostante tutto, il partito, certamente non mancherà qualche “democrat” pronto a sottilizzare e a ricordare che George W. Bush era repubblicano mentre tanto Obama quanto la Clinton (già in predicato per la candidatura presidenziale nel 2016) sono democratici. Basterà ricordargli che la politica estera americana nella sostanza, nella scelta fra pace e guerra, non è mai stata influenzata dall'avvicendarsi dei presidenti di diversa origine partitica, e che Obama aveva promesso ai suoi elettori l'immediato ritiro dall'Afghanistan delle truppe, che invece ha aumentato e, quattro anni dopo, sono ancora là? In ogni caso, qualche settimana prima dell'elezione un Colin Powell non ancora pentito dichiarò che avrebbe votato per Obama.