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Siria: USA contro Russia

di Michele Paris - 14/06/2012

Con l’aggravarsi del conflitto in Siria e il sempre più probabile fallimento del piano diplomatico promosso dall’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, gli Stati Uniti e i loro alleati in Europa e nel modo arabo stanno moltiplicando gli sforzi per giungere ad un intervento armato esterno che porti alla rimozione del presidente Bashar al-Assad.

Negli ultimi giorni, i toni da Washington hanno fatto segnare un ulteriore innalzamento soprattutto contro il principale alleato di Damasco, la Russia, mentre continuano parallelamente ad emergere resoconti su alcuni dei più recenti episodi di violenza che smentiscono le ricostruzioni dell’opposizione al regime, quasi sempre accettate integralmente dai media e dai governi occidentali.

Fallito il tentativo di convincere Mosca ad appoggiare un piano di transizione pacifica in Siria, gli USA sembrano tornati in fretta ad affrontare a muso duro la Russia, accusando il Cremlino di essere il principale ostacolo ad una risoluzione del conflitto nel paese mediorientale. Infatti, martedì il Segretario di Stato, Hillary Clinton, parlando al fianco del presidente israeliano Shimon Peres presso la Brookings Institution di Washington, ha accusato la Russia di rifornire il regime di Assad con elicotteri da combattimento che verrebbero utilizzati per la repressione della rivolta.

La Clinton ha sostenuto di aver sollevato la questione delle forniture militari con il governo russo, il quale però avrebbe risposto che gli equipaggiamenti spediti a Damasco non vengono impiegati nel conflitto interno. Quest’ultima posizione di Mosca era stata espressa qualche giorno fa direttamente dal presidente Putin durante la sua visita a Berlino, ma per il capo della diplomazia USA sarebbe “sfacciatamente falsa”.

Le forniture di armi dalla Russia alla Siria avvengono peraltro in conformità di contratti già sottoscritti e dunque perfettamente legali. Come ha affermato il numero due della compagnia russa pubblica produttrice di armi, Rosoboronexport, citato dall’agenzia di stampa RIA Novosti martedì a Parigi, “nessuno può accusare la Russia di violare le regole sul commercio di armamenti fissate dalla comunità internazionale”.

Le accuse rivolte dagli Stati Uniti a Mosca vengono puntualmente amplificate dai media che a loro volta sottolineano come la vendita di armi, ancorché legale, contribuisca ad inasprire il clima internazionale, rendendo più complicata una risoluzione diplomatica della crisi siriana. Ciò che invece Hillary Clinton non ha detto è che, se anche gli elicotteri da combattimento di fabbricazione russa vengono impiegati dalle forze di sicurezza di Assad, segnando così un’escalation nell’uso della forza da parte del regime, ciò avviene in conseguenza dell’aumentata aggressività delle opposizioni armate.

I gruppi ribelli hanno infatti potuto espandere notevolmente le proprie azioni nell’ultimo periodo proprio grazie a massicce forniture di armi, a cominciare da potenti missili anticarro, provenienti in gran parte dalla Turchia e grazie all’appoggio finanziario di Arabia Saudita e Qatar con la supervisione di Washington. La Turchia continua in realtà ad affermare di limitarsi a fornire solo aiuti umanitari ai ribelli siriani.

Tuttavia, come confermano svariate testimonianze, Ankara fornisce da tempo armi e addestramento a gruppi come il “Libero Esercito della Siria” e rappresenta una delle voci più critiche nei confronti di Damasco. Questo genere di forniture militari, in ogni caso, non disturbano il Segretario di Stato americano, anche se sono di fatto il principale motivo del deterioramento della situazione in Siria.

L’aggravamento del conflitto è stato certificato in qualche modo anche dall’ONU proprio l’altro giorno, quando il responsabile delle operazioni di peacekeeping, Hervé Ladsous, ha definito ciò che accade in Siria come una vera e propria guerra civile. Membri dell’amministrazione Obama e i funzionari dell’ONU condividono ormai la tesi di una guerra di natura settaria tra la minoranza alauita (sciita) filo-Assad e l’opposizione sunnita. Tale scenario contraddice perciò la caratterizzazione proposta dai media e dai governi occidentali, secondo i quali quello in corso nel paese sarebbe uno scontro tra un regime dittatoriale e un’opposizione che si batte per la democrazia.

Con inquietanti affinità con l’Iraq del dopo Saddam Hussein e, come ha significativamente messo in luce qualche giorno fa il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, con il conflitto nella ex Yugoslavia, in Siria l’occidente sta infiammando lo scontro settario per i propri obiettivi strategici, cioè per gettare il paese nel caos e favorire un intervento armato che metta fine al regime di Assad.

Che la situazione sul campo in Siria sia più complessa di quanto non traspaia dalle versioni ufficiali è stato confermato anche da un reportage da Damasco di Rainer Hermann del giornale tedesco conservatore Frankfurter Allgemeine apparso il 7 giugno scorso (“Abermals Massaker in Syrien”). L’articolo è un’indagine sulle responsabilità del massacro di Houla, nel quale il 25 maggio sono stati uccisi più di cento civili, tra cui decine di donne e bambini, e che ha scatenato l’indignazione della comunità internazionale.

Al contrario di quanto affermato dai governi occidentali che, pur senza prove evidenti, avevano attribuito la responsabilità dell’accaduto interamente al regime o alle milizie Shabiha ad esso affiliate, l’investigazione del reporter del Frankfurter Allgemeine, basata su interviste con testimoni oculari, conferma in sostanza la tesi di Assad e cioè che la strage sarebbe stata commessa dai ribelli armati.

Il massacro sarebbe avvenuto in seguito ad un violento scontro a fuoco dopo un attacco di un gruppo di opposizione contro postazioni dell’esercito regolare appena fuori la città di Houla, a maggioranza sunnita, impiegato per proteggere alcuni villaggi popolati da sciiti. Secondo il giornalista tedesco, in questo scenario decine di civili di fede sciita e altri recentemente convertiti e ritenuti collaboratori del regime sarebbero stati sterminati dai ribelli sunniti.

Subito dopo i fatti, gli autori della strage hanno postato sul web filmati delle vittime, indicate come civili di fede sunnita, producendo una valanga di condanne contro Assad in tutto il mondo. Con perfetto tempismo, le violenze di Houla hanno preceduto di poche ore la già programmata visita di Kofi Annan a Damasco, rendendo ancora più complicati i negoziati per l’implementazione del piano di pace.

Le modalità del massacro, eseguito con sgozzamenti e colpi di arma da fuoco da distanza ravvicinata, coincidono inoltre con quanto riportato precedentemente da un altro giornale tedesco, Der Spiegel, il quale lo scorso marzo aveva pubblicato un’indagine sugli abusi commessi dai membri del Libero Esercito della Siria ai danni di presunte spie del regime e soldati catturati

Il reportage del Frankfurter Allgemeine non è stato praticamente citato dai principali media occidentali, pronti invece a ripetere senza alcun riscontro il quotidiano bilancio delle vittime della repressione del regime riportato dai gruppi di opposizione di stanza all’estero e finanziati dalle monarchie assolute del Golfo Persico, come il londinese Osservatorio Siriano per i Diritti Umani.

Se dovesse corrispondere al vero, quanto scritto dal giornale tedesco solleverebbe dunque preoccupanti interrogativi sulle responsabilità degli Stati Uniti e dei loro alleati nei fatti che hanno gettato la Siria nel caos, dal momento che, come conferma il sostegno garantito in termini economici, di armamenti e di addestramento, questi governi sono infatti, con ogni probabilità, perfettamente a conoscenza delle operazioni condotte dai ribelli nel conflitto contro il regime di Bashar al-Assad.