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Il Decreto Sviluppo del governo Monti

di Francesco Mario Agnoli - 18/06/2012

Evidentemente  anche Mario Monti e i suoi supertecnici ministri  si sono resi conto di non potere più tergiversare e hanno varato  il Decreto Sviluppo che  dovrebbe dare  finalmente concretezza al mantra “crescita-crescita” ossessivamente ripetuto, fino ad oggi con  opposti esiti da Palazzo Ghigi e dal Quirinale.

  A sette mesi di distanza  dall'attribuzione del laticlavio senatoriale  e dall'insediamento, quindi a metà strada  (se non vi saranno inattesi incidenti di percorso o altri “colpetti di Stato”) del suo mandato di governo, Monti  ha capito che  né l'appoggio dei grandi mezzi d'informazione né il patrocinio senza condizioni di Napolitano possono  più  impedire il bilancio del suo operato da parte di un'opinione pubblica resa tutt'altro che accomodante  dal pagamento della prima rata IMU e dalla consapevolezza che la seconda sarà più esosa sicché perfino la prima casa, quella che la Costituzione vorrebbe assicurata a tutti, sarà colpita come mai avvenuto in precedenza.  In ogni caso  un bilancio tutt'altro che arduo da stilare  dal momento che esiste un indiscutibile termine  di confronto. Se il Bilderberg-man  ha intrapreso il compito di  strappare l'Italia dalla situazione disperata  in cui l'aveva precipitata il governo del bunga-bunga a fine novembre 2011  non occorre essere geni della finanza per valutare  cosa a metà giugno 2012 sia  cambiato rispetto a quella data.

   Il risultato del giudizio è necessariamente impietoso per   tecnici di governo anche trascurando  l'errore, tutto sommato marginale pur se  drammatico per chi ne è vittima, del conteggio degli “esodati”. ribassati  da 390.000 a 65.000.  Lo spread dei bot e dei btp rispetto ai bond tedeschi è sempre prossimo a quota 500 (ai tempi del bunga-bunga bastavano e avanzavano 300 punti, perché  i partiti di opposizione, Repubblica, i più accreditati opinionisti dessero per scontato lo sprofondamento dell'Italia nel baratro), nonostante le tasse e i presunti tagli ai costi della  politica il debito pubblico ha continuato a crescere e la recessione a galoppare. Non si tratta di chiacchiere,  ma  di dati Istat, che evidenziano un calo della spesa delle famiglie italiane nel primo trimestre del 2012  del 2,4% rispetto al primo trimestre del 2011 e dell'1% rispetto all'ultimo. Su base annua i dati sono  drammatici: se per i beni non durevoli (la spesa quotidiana) il calo è del 2,3%, quello per i beni durevoli è addirittura a due cifre (-11,8%).  La più importante associazione dei consumatori, il Codacons, li ha commentati, attribuendo il crollo dei consumi in primo luogo all'aumento dell'Iva e “alle troppe tasse che hanno colpito gli italiani indipendentemente dalla loro capacità contributiva". Il Codacons ritiene che la situazione fosse già drammatica, perché fin  dall'arrivo dell'euro nel 2002 salari e pensioni non sono state salvaguardati dall'aumento del costo della vita, ma - conclude -  "le manovre hanno dato il colpo di grazia”.

   A tutto questo i tecnocrati fino ad oggi possono solo contrapporre  un'ipotesi (“senza di noi le cose sarebbero andate  peggio”) e il  recupero da parte dell'Italia in sede europeo del prestigio perduto col governo del bunga-bunga. Purtroppo per Monti e i suoi ministri le ipotesi  non sono dimostrabili e richiedono atti di fede   a questo punto  non  più ammissibili. Quanto al prestigio è evidente che i poteri europei che lo hanno imposto non possono non avere un occhio di riguardo per il “loro uomo” tanto più che, una volta screditato, incontrerebbe enormi e forse insuperabili difficoltà a portare a termine il compito (qualche che sia)   affidatogli. Tuttavia non è per nulla certo che questo maggior prestigio giovi  all'Italia e agli italiani.

   Adesso  a raddrizzare la barca giunge il Decreto Sviluppo che dovrebbe immettere nell'economia reale la consistente cifra  di 70-80 miliardi,  solo in minima parte di provenienza pubblica, perché il grosso proverrà, secondo quanto assicura il ministro Passera, principale autore del Decreto,  dai privati,  rassicurati e sollecitati dalle  agevolazioni (ad es. le nuove costruzioni saranno esenti dall'IMU per tre anni)   e dalla prospettiva di buoni utili  dai loro investimenti. Dal momento che crisi e recessione ricadono a danno non dei politici e dei tecnocrati, ma degli italiani si può compiere  un  atto di fiducia  e, per quanto improbabile lo si ritenga, sforzarsi di credere  che questa volta il mantra “crescita-crescita”  troverà  riscontro nella realtà.  Uno sforzo non facile  dal momento che proprio il ministro Passera nel presentare la sua creatura ha imprudentemente aggiunto che fino ad  oggi “non c'è stato nessun decreto senza una forte componente di contributo alla crescita”. Non resta allora che augurare al Decreto Sviluppo un destino diverso dai precedenti, che in luogo di crescita hanno prodotto recessione.