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Credere a Madre Natura o a Mr Wizard?

di Richard Heinberg - 02/07/2012

   
   

Proprio quando pensavate che il clima bizzarro e gli oceani in pericolo avrebbero dovuto spronare noi tutti a spremerci le meningi per ridurre l’impatto dell’umanità su questo piccolo pianeta che chiamiamo casa, ecco che il Breakthrough Institute propone una “soluzione” degna dell’Army Corps of Engineers americana (n.d.t.: equivalente al Genio militare italiano): “Noi l’abbiamo incasinato, quindi noi dobbiamo occuparcene.”
In poche parole, questo è quanto. La maggior parte dei geoscienziati concorda sul fatto che l’attività umana stia opprimendo i sistemi naturali.

Mentre le civilizzazioni si sono sviluppate in condizioni planetarie che sono state predominanti sino all’ultima Era Glaciale, periodo conosciuto come Olocene, sembra che noi umani stiamo spingendo la terra verso un “nuovo equilibrio” attraverso le crescenti emissioni di carbonio, deforestazione, acidificazione degli oceani, e un lunghissimo assortimento d’impatti globali. I geoscienziati concordano nel chiamare questo nuovo periodo “Antropocene”, per sottolineare che, attualmente, i sistemi terrestri si modellano sostanzialmente sull’attività umana.

Stando così le cose, che fare? Rifuggire il nostro nuovo ruolo di ricostruttori del mondo o esercitarlo? Preservare il pianeta o vestire i panni del geoingegnere?

Un certo numero di persone riconosce che l’approccio “geoingegneristico” sia stato codificato in una scuola di pensiero conosciuta come neoambientalismo. Ed è qui che il Breakthrough Institute entra in gioco. Il suo nuovo rapporto “The Planetary Boundaries Hypothesis: A Review of the Evidence” (n.d.t.: “L’ipotesi dei confini planetari: una dimostrazione”) respinge la struttura concettuale (basata su principi ambientali largamente condivisi) recentemente adottata dall’ONU e dalle principali ONG, quali Oxfam e WWF. Tale struttura, chiamata “ipotesi” dal Breakthrough Institute, fissa dei limiti per nove variabili principali: il cambiamento climatico, i cambiamenti d’uso della terra, la perdita della biodiversità, i livelli d’azoto, l’uso dell’acqua potabile, l’inquinamento da aereosol, l’inquinamento chimico, l’acidificazione degli oceani e il buco dell’ozono. Tali variabili costituiscono uno “spazio operativo sicuro per l’umanità”.

Secondo i neoambientalisti, la struttura dei confini planetari è problematica poiché gli umani possono controllare la Terra soltanto buttandosi a capofitto su alcune di queste variabili, soprattutto l’uso della terra, progettandola per farla diventare… beh, qualsiasi cosa vogliamo che diventi. Nel rapporto del Breakthrough, quindi, si afferma che “fatta la mirabile eccezione per il clima, non ci sono molte ragioni per credere che altre condizioni che hanno caratterizzato l’Olocene siano particolarmente importanti per il benessere materiale dell’uomo”. Ecco. Questo dà all’umanità un ampio spazio di manovra, quindi adesso mettiamoci al lavoro e vediamo cosa possiamo ottenere da quest’accozzaglia di rocce, acqua e atmosfera.

Gli argomenti tecnici contenuti nel rapporto necessitano un approfondimento altrove; solo un esempio tuttavia merita un minimo accenno: gli autori affermano, apparentemente impassibili, che la perdita della biodiversità non è soggetta a punti critici. Tale conclusione è così in contrasto con la letteratura scientifica dedicata alla ricerca che uno non sa da dove cominciare. Tuttavia, il senso filosofico di base del Breakthrough Institute e dei suoi alleati necessita una risposta breve e diretta.

Negli ultimi decenni, la stragrande maggioranza delle azioni umane ha avuto un impatto sul pianeta, danneggiando sia altre specie (come la pesca eccessiva e la deforestazione) che le generazioni umane a venire (attraverso il cambiamento climatico, la diminuzione della superficie arabile e l’esaurimento delle risorse). Molti sono stati riscattati dalla povertà in poco tempo, è vero, e pochi sono stati resi incredibilmente ricchi, ma in un modo non sostenibile. Qualsiasi sforzo volto a farsi carico del destino della Terra, di modo che questo costituisca un vero e proprio beneficio a lungo termine, si basa sulla supposizione che l’uomo possegga la conoscenza, la comprensione, la saggezza e la coordinazione politica necessarie perché lo sforzo avvenga con successo.

In realtà non siamo così dotati.

Tuttavia, i neoambientalisti sostengono che non abbiamo altra scelta che tentare. Siamo già andati troppo lontano: che sia stato per un piano prestabilito o per puro caso, siamo diventati i padroni del pianeta. Non possiamo rinunciare a questo ruolo adesso, solo per la sentimentalità di un’immagine idealizzata della natura così com’era. Dobbiamo mantenere la crescita economica massimizzando la produttività della Terra. Se reagissimo a questo periodo storico semplicemente conservando e proteggendo gli ecosistemi e riducendo la popolazione e il consumo, volteremmo le spalle al nostro potenziale evolutivo.

Sfortunatamente, questa linea di pensiero non considera del tutto la realtà. Il fatto è che la popolazione e il consumo diminuiranno, che ci piaccia o no. È stato comprovato che l’umanità ha già superato la capacità di carico a lungo termine della biosfera: siamo riusciti a farlo diminuendo le risorse rinnovabili a dei ritmi di gran lunga superiori al rinnovamento naturale, nonché estraendo e usando le risorse non rinnovabili in quantità esorbitanti, rendendole scarse per le future generazioni. Negli ultimi decenni, tutto questo diminuire ed estrarre è stato incitato da un irripetibile sussidio energetico fornito dai combustibili fossili, le cui alta qualità e convenienza sono scomparse. Al contempo, gli impatti ambientali negativi stanno crescendo al punto da incominciare a porre un freno alla produzione economica. Non esiste uno scenario credibile nel quale la popolazione e il consumo possano continuare a crescere ancora per molto; infatti, una generale contrazione dell’economia mondiale sembra inaugurare il decennio che ci aspetta.

L’unica domanda che ci poniamo è come gestiremo la contrazione. È il nocciolo della questione: non ci chiediamo come gestiremo il pianeta, ma come gestiremo noi stessi. Mentre la nostra economia si adatta ai limiti reali delle risorse, pescheremo persino l’ultimo pesce selvatico rimasto nell’oceano e abbatteremo l’ultimo albero secolare, lasciando la biosfera in uno stato di esaurimento e rovina, cosicché la nostra discendenza vivrà in una miseria perenne? Oppure possiamo indietreggiare dal nostro apogeo di consumo con un minimo di grazia e dignità, preservando e forse addirittura ricostituendo gli ecosistemi lungo il nostro cammino? Dobbiamo impegnarci in quest’ultimo senso. Abbiamo un obbligo morale non solo nei confronti delle altre specie, ma anche dei nostri figli e nipoti.

Leggendo il rapporto di Breakthrough, uno non può fare a meno di pensare al capitano Achab e all’equipaggio dello sventurato Pequod. È il pianeta Terra o Moby Dick? Commetteremmo un suicidio collettivo lanciandoci all’inseguimento della crescita economica, animata sempre più da un’ossessione prometeica che non conosce limiti né confini?

Fortunatamente esistono altri romanzi e altri miti dai quali trarre ispirazione per i nostri precetti.

Richard Heinberg, senior fellow del Post Carbon Institute, è l’autore di dieci libri tra cui La Festa è Finita, Peak Everything: Waking Up to the Century of Declines e The End of Growth, che verrà presto pubblicato. Il rinomato Richard Heinberg è considerato uno dei comunicatori più efficaci del mondo per quanto riguarda l’urgente necessità di transizione dai combustibili fossili.

Fonte: www.postcarbon.org
Link: http://www.postcarbon.org/blog-post/967408-who-do-you-trust-mother-nature

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELISA BERTELLI