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"Troppa finanza fa male". Lo strano studio del Fmi

di Andrea Degl'Innocenti - 03/07/2012


Un rapporto del Fondo monetario internazionale nota che i paesi che hanno sviluppato un settore del credito privato eccessivamente grande rispetto al Pil, come l'Islanda prima del 2008, hanno accusato maggiormente la crisi economica. Una verità evidente, che stona nella bocca di un ente tanto conservatore. A meno che non abbia lo scopo di avallare le strategie europee di austerità.


Fondo monetario internazionale
Uno studio del Fondo monetario internazionale mette in discussione il dogma della finanza. Ma dietro potrebbero esserci strategie politiche ben precise

All'inizio, nel leggere la notizia, sono sobbalzato sulla sedia. Il Fondo monetario internazionale che pubblica un rapporto in cui ammette che “troppa finanza danneggia l'economia”. Ma come, mi dicevo, proprio loro che si sono fatti ormai da diversi anni promotori del modello di sviluppo neoliberista che è stato la causa principale della “finanziarizzazione dell'economia” fanno retromarcia e puntano il dito contro ciò che fino a ieri osannavano. Ma tant'è - pensavo – il fatto che alla fine se ne siano accorti anche loro non fa altro che confermare quanto scontata e lapalissiana sia questa verità.

In effetti, scorrendo le pagine dei giornali online mi accorgevo che in molti avevano adottato la mia stessa istintiva lettura. “Usurai divisi: troppa finanza fa male” titolava Rinascita, in un articolo che iniziava con questa frase: “Il bue che dice cornuto all’asina o in alternativa le lacrime di coccodrillo. Queste le metafore che danno il senso dell’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale”.

Ma approfondendo la questione, leggendo il rapporto, la mia prospettiva è cambiata. Lo studio, intitolato “Too much finance?”, si concentra soprattutto sul credito del settore privato. Ovvero il credito concesso dagli istituti bancari a cittadini o imprese. Ne emerge che i paesi in cui il credito al settore privato si è gonfiato troppo sono anche quelli che hanno avvertito maggiormente la crisi.

Nel dettaglio sono stati analizzati i dati macroeconomici relativi a 64 stati nel cinquantennio che va dal 1960 al 2010. A partire dal 2006 tutti questi paesi avevano un credito al settore privato che superava il 50 per cento del Pil; 27 di essi lo avevano di oltre il 90 per cento del Pil; 17 oltre il 113 per cento. Il record spettava all'Islanda, il cui credito privato arrivava a ricoprire il 260 del Pil. Non a caso proprio l'Islanda è stato nel 2008 il primo paese ad essere travolto dalla crisi scatenata dai mutui subprime statunitensi.

Sulla veridicità delle affermazioni dei tre studiosi dell'Fmi c'è molto poco da contestare. È evidente che una bolla speculativa o un'eccessiva circolazione di credito vada a danneggiare l'economia reale. Soprattutto in assenza di leggi che aggancino il credito alla produzione o lo vincolino al lavoro.

Ciò che non comprendevo era il perché di questa affermazione. Che fosse frutto di un vero ripensamento? Difficile da parte di un ente che da anni si è specializzato nel negare l'evidenza. Allora quale poteva essere il motivo? Forse aveva qualcosa a che fare con le nuove strategie politico-economiche dell'Europa? In effetti condannare l'eccessivo credito ai privati significa anche avallare indirettamente le strategie di austerità che sono parte integrante degli attuali piani “anti-crisi” europei. Assieme alle solite privatizzazioni, smantellamento dello stato sociale, etc.

Uno studio che afferma che troppo credito ai privati fa male, insomma, può essere in questo momento storico un'ulteriore arma nelle mani dei poteri forti per dire che dunque è provato che l'unica via d'uscita dalla crisi è l'austerità. Se la condanna del troppo credito fosse stata allargata a tutto il sistema finanziario, se cioè si fosse detto che la finanza ha smesso da tempo di essere quel punto di incontro fra chi ha denaro in eccesso da investire e chi ha bisogno di credito per avviare un'attività; se vi si affermasse che essa è diventata un enorme contenitore che ruba risorse a chi avrebbe realmente necessità di credito per svolgere attività produttive, allora l'analisi avrebbe uno spessore diverso.

Ma lo studio si ferma nel punto in cui è più funzionale al sistema. Fa capire fra le righe che la crisi attuale è soprattutto dovuta all'eccesso di credito, e che dunque una contrazione del credito come quella voluta dalla Ue sarà solo salutare all'economia. Ciò che non si dice è che una contrazione del credito porta automaticamente anche al fallimento delle piccole e medie imprese e dunque ad una concentrazione delle ricchezze ancora maggiore.

Insomma, sul fatto che la finanza è stata e resta uno dei problemi principali della società attuale non vi sono dubbi. Ma a volte persino le verità più scontate possono trasformarsi in armi pericolose nelle mani del potere sbagliato.