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Cosa significa essere un sunnita filo-governativo ed abitare ad Homs

di Pierangela Zanzottera - 09/07/2012

Fonte: informarexresistere


Se le minoranze religiose sono prese di mira dai ribelli perché considerati in toto sostenitori del regime, in quanto rappresentante – e, di conseguenza, naturale protettore delle minoranze – non meno eclatante è il caso dei sunniti che non vogliono uniformarsi all’idea di cambio di governo.

“Dopo che l’esercito ha liberato Bab ‘Amr, molti dei terroristi che sono riusciti a fuggire si sono rifugiati a Khaldiya dove stanno cercando di creare una nuova roccaforte e da allora la nostra vita è diventata un incubo ad occhi aperti”, a parlare è M.S., un sunnita di Homs, che abitava la zona centro-nord della città ed è un sostenitore del governo siriano, costretto a fuggire dalla città e rifugiarsi da parenti al nord Paese.

Il suo racconto su quanto sta accadendo in quel quartiere è esemplare della natura di questi armati: “i terroristi bussano alle nostre porte e pretendono il nostro aiuto, dicono che siamo fratelli nella religione e che per questo dobbiamo essere solidali, occupano le nostre case, non hanno rispetto per donne, anziani o bambini, chi non segue i loro ordini viene prelevato dalla propria casa, portato nei loro nascondigli, torturato, massacrato e poi, davanti alle telecamere, pianto come martire ucciso dall’esercito criminale di al-Assad.

Così è successo anche a mio fratello.

Potete immaginare voi che cosa significa vedere in tv le immagini del proprio fratello orrendamente sfigurato, avvolto nel lenzuolo bianco (come vuole il rito islamico) e con il corpo bagnato dalle lacrime ipocrite di chi poco prima lo aveva brutalmente fatto a brandelli? Vederlo in tv con la certezza di non poterlo onorare?

Vederlo attraverso il filtro dello schermo e volerlo solo abbracciare, gridando al mondo questi sono i tuoi assassini, noi la tua famiglia che ti ama?

E’ un dolore straziante e incomprensibile a chi non l’ha provato, che lascia senza parole. Ora mi trovo ad invidiare chi può piangere sui propri morti e a sperare che ai miei figli possa essere concesso un tale privilegio.

Ogni giorno vissuto a Homs, è un giorno in più donatoci da Dio, ma è anche un giorno passato nel terrore che possa accaderci quanto successo a mio fratello e a tanti vicini e amici. I terroristi arrivano, armati, usano ogni abitazione del quartiere come se fosse di loro proprietà, pretendono che le nostre mogli e madri preparino loro del cibo se hanno fame, che gli si offra un letto e un riparo al bisogno, che si offrano i tetti delle nostre abitazioni per i loro lanciarazzi da sparare contro al-Zahra e le altre zone filogovernative, che i loro cecchini buchino le mura delle nostre case, che le distruggano all’occorrenza per inscenare un bombardamento dell’esercito.

Chi tra i nostri giovani è esperto di informatica viene sfruttato con le sue conoscenze, ognuno deve mettere a disposizione la propria professione e abilità, e chi non ne possiede nessuna, può sempre offrire la propria vita e quella dei familiari per la causa.

Come è successo a un nostro vicino, a ogni loro manifestazione, gli emissari incaricati arrivano nel suo negozio costringendo con la forza ad abbassare la saracinesca, poi vanno a bussare alla porta di casa per obbligare i figli a infoltire le fila delle loro proteste e loro supinamente abbassano il capo, chiudono il negozio, chiamano i figli e tutti insieme partecipano ai cortei.

E’ l’unica assicurazione che hanno per non morire, almeno fino a nuovo ordine, almeno fino a quando la loro vita sarà ritenuta di qualche utilità da questi barbari, almeno fino a quando non si paleserà una qualche occasione di fuga.” Poi aggiunge commosso e provato: “Certo che, dopo aver passato una vita di lavoro e sacrifici per costruire un futuro migliore per i figli, ora che sono grandi, avrei preferito lasciar loro un’altra eredità.

Noi che abbiamo faticato per rendere questo paese migliore ci troviamo ora invasi da dei folli che pensano solo a distruggerlo. Non posso biasimare i tanti che cedono ai loro ricatti pur di veder salva la vita di chi si ama, pur di riuscire a mantenere intatta la casa e di preservare almeno un poco ancora di quotidianità, per quanto costruita possa essere.

Io sono fortunato, sono riuscito a fuggire vivo da quell’inferno di morte, anche se ho perduto tutto: famiglia, casa, lavoro, serenità, ma mi resta mi mio amor proprio e quello per il mio paese. Questo di certo nessun criminale me lo potrà mai levare.”

 

Intervista, raccolta di testimonianze , traduzione ed edizione dell’articolo

a cura di

Pierangela Zanzottera