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La Birmania dei guerrieri Karen

di Ettore Mo - 09/07/2012

Al centro della guerra più lunga del mondo

Da decenni la battagliera minoranza etnica si oppone al governo. Sulle montagne dell'Est uomini armati e bambini denutriti

Un guerrigliero Karen (Baldelli)Un guerrigliero Karen (Baldelli)
KAW LA MEE (Birmania) - Nella regione della Birmania in cui mi trovo (così almeno si chiamava quello Stato prima che, nel 1989, fosse ribattezzato Myanmar dalla giunta militare tuttora al governo) è in corso un conflitto armato che viene considerato la più lunga guerra civile del mondo. Le iniziative, fatte da ambo le parti, per bloccare l'attività bellica non hanno avuto esito. Tutte le proposte di «cessate il fuoco» dai primi anni Sessanta ad oggi, sono state annullate.

C'è un villaggio, in Birmania, dove vivono una quarantina di famiglie e che si chiama Little Verona: il nome non si ispira al capolavoro shakespeariano di «Giulietta e Romeo» ma al sostegno e al contributo che gli italiani hanno dato per la ricostruzione di un paese ridotto in polvere da un'onda di criminali. Ed è proprio lì che abbiamo fatto conoscenza coi dolori e le vicissitudini dei Karen, uno dei più tragici e tormentati gruppi etnici della zona.

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Sia subito chiaro che i Karen (la cui percentuale è attorno al 7% della popolazione birmana, numero assai difficile da verificare) hanno un ruolo predominante nel Paese fin da 1949, un anno dopo l'indipendenza dall'impero britannico. La Birmania è un intrico di più di cento gruppi etnico-linguistici in permanente dissidio tra loro, che si possono dividere in due fazioni: la prima sommariamente schierata con la giunta militare, la seconda composta dai gruppi che invece intendono mantenere la propria identità.

Piove a dirotto e le strade di montagna che dobbiamo percorrere per arrivare in quel misterioso e arcigno paesaggio che è l'eremo dei Karen sono tutte una melma di fango dove le ruote del trattore, su cui Luigi e io siamo accovacciati, girano disperatamente a vuoto. I cinque soldati di scorta che ci hanno accollato per badare alla nostra incolumità sghignazzano felici come scolaretti in libera uscita, mentre uno mi avverte di stare tranquillo: «Mister, no problem». L'incontro con i partigiani della Birmania avviene in un remoto villaggio lungo il confine thailandese nord-occidentale ed è lì, tra le elucubrazioni un po' enigmatiche del nostro interprete, che cerchiamo di capire quanto sia avvenuto in questa estrema landa del mondo dopo l'ultimo conflitto mondiale.

Verso la metà degli anni Novanta, a causa di conflitti armati, decine di migliaia di Karen vivevano nei campi-profughi lungo la frontiera thailandese-birmana, mentre circa due milioni di immigrati dalla Birmania avevano trovato lavoro (sottopagati) nel Paese vicino. Scomodi e sospettati, questi Karen, di discendenza tibetano-buddista, conversavano in dodici dialetti diversi, ma la vita era difficile, precaria, per cui sbarcano in Thailandia in cerca di lavoro mentre a Yangon la Knu (Karen national Union) si pone a capo del Movimento nazionalista.

Un villaggio dei Karen (Baldelli)Un villaggio dei Karen (Baldelli)
Nel 1962 il regime militare, nel tentativo di eliminare le «identità culturali e politiche non birmane», mette al bando nelle scuole l'insegnamento di lingue non nazionali e l'idioma dei Karen scompare dai programmi. Da allora c'è stato un devastante peggioramento socioeconomico nel Paese (comprese le aree abitate dai Karen). Secondo statistiche ritenute attendibili, il 32 per cento della popolazione vive sotto il livello di povertà, mentre un altro dato angoscioso informa che un terzo dei bambini sotto i cinque anni è affetto da malnutrizione.

Nel nostro viaggio verso l'eremo dei guerriglieri Karen in territorio birmano arriviamo in un villaggio appollaiato sotto la montagna dove vivono 29 famiglie, 150 persone in tutto (40 sono i bambini che frequentano la scuola). «I governativi qui non sono mai arrivati. Forse sapevano che non avrebbero avuto una buona accoglienza - dice il sindaco Ta Koh, 56 anni -. Noi Karen abbiamo fatto la rivoluzione nel 1964».

Pochi passi più sopra c'è il villaggio di Kaw La Mee dove il primo cittadino racconta di quei «bastardi» di governativi che uccidevano «i nostri uomini» o li sottoponevano ai lavori forzati «mentre davano fuoco alle nostre povere case», distruggendo interi abitati. «Io sono un militare. Ho sotto il mio comando i battaglioni 201 e 102».

Come punirà i governativi che si sono resi colpevoli di tante atrocità? «Se avessi la possibilità - dice un uomo che vuole restare anonimo - li ripagherei con la stessa moneta, la stessa ferocia. Con quello», aggiunge, indicando un fucile con il cannocchiale appeso alla parete.

Anche un altro gruppo etnico molto consistente, quello dei Kachin (60 mila persone sparse su un vastissimo territorio al confine della Cina settentrionale), sta vivendo l'amara esperienza dei Karen, anch'esso alla ricerca di un'autentica autonomia. Pure qui il rimpatrio volontario della gente costretta ad abbandonare i propri villaggi è molto lento. Perché nessuno si illude di trovare condizioni socioeconomiche e politiche migliori di quelle che s'era lascato anni fa alle spalle. Nonostante la recente liberazione di alcuni detenuti politici, non c'è per ora alcuna garanzia che il regime di Yangon intenda davvero concedere uguali diritti e uguali opportunità ai dissidenti delle comunità etniche non birmane.

Birmania, vite da rifugiati Birmania, vite da rifugiati     Birmania, vite da rifugiati     Birmania, vite da rifugiati     Birmania, vite da rifugiati     Birmania, vite da rifugiati

«Il governo della Birmania - apprendo da un quotidiano locale - è il solo regime al mondo a disseminare mine antiuomo che in 10 anni avrebbero causato la morte e il ferimento di migliaia di persone». Ne ho avuto conferma visitando un centro di riabilitazione a Mae La, in Thailandia, dove la maggior parte dei ricoverati aveva perso le gambe, le braccia e anche gli occhi saltando in aria. Però qui t'informavano che alla semina delle mine avevano provveduto in uguale misura anche i Karen e i Kachin.




Ettore Mo