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La dissimulazione della controtradizione

di Andrea Antonacci - 11/07/2012

 


 

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Come è noto, gli esiti del Vaticano II – tra i quali l’emersione dei cosiddetti “movimenti ecclesiali”, spesso favorita da una ecclesiologia e da una antropologia fallace – sono stati spesso ambigui.  Ci si potrebbe chiedere, a buon diritto, se non sia il caso di cominciare a convertire al cattolicesimo, oltre ai cdd. “atei devoti”, gli stessi “cattolici occidentalisti” (collusi con i “poteri forti”: forse essi non hanno mai letto le “Beatitudini”).  Ci pare, infatti, che oggi il pericolo maggiore provenga da “destra”, ossia da chi difende contemporaneamente la “libertà religiosa” ed attacca il “relativismo”, chi addita ad esempio sia San Pio X ma anche Paolo VI e Giovanni Paolo II, chi considera con devozione l’orripilante “rito romano ordinario” e quello “straordinario” [sic]: chi, in pratica, è sempre pronto, anche per questa sua posizione “conciliare” e molto italianamente “conciliante”, a saltare sul carro del “vincitore”. In particolare, la figura di Giovanni Paolo II pare intoccabile: eppure, egli si è reso responsabile, oltre che del completamento della devastazione liturgica in ambito latino, di svariate profanazioni compiute nei suoi rocamboleschi viaggi, dell’introduzione dei cdd. “misteri luminosi” nel Rosario (dato dalla Vergine a S. Domenico: un “papa mariano” sarebbe un papa che “corregge” la Vergine!?), della tesi dell’”Antica Alleanza mai revocata” e quindi del riconoscimento diplomatico di Israele (quando si dice “teologia politica”!), del nuovo “concordato” con lo stato italiano e di una dubbia “politica” nei confronti di miserabili di ogni risma, ascesi fino ad altissimi livelli nella gerarchia della Chiesa durante il suo pontificato (da ultimo, si ricordi anche la sua palesemente falsa interpretazione dell’ultima parte del “terzo segreto di Fatima”, “svelato” nel 2000). Ad ogni buon conto, il problema, da circa cinquanta anni a questa parte, è che l’obbedienza dovuta al papa (ed alla Chiesa), che in tempi ordinari costituisce un elemento naturale del cattolicesimo, implica l’accettazione di numerose contraddizioni (in termini, oltre che rispetto alla Tradizione) ed anche, talora, di autentiche empietà: rimaniamo di sasso, ad esempio, quando apprendiamo che, secondo il documento della CEI “L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica” (31 maggio 1996), “[…] il tabernacolo per la riserva eucaristica [sic] deve essere unico e [che] l’altare della celebrazione non può ospitare la custodia eucaristica” (corsivi nostri: altro che continuità tra Vaticano II e Tradizione!); inoltre, dal trono più alto è giunta ultimamente la ennesima reiterazione di codesta stravaganza antropolatrica, molto à la page negli ultimi 45 anni: “[Ogni persona]… non dovrebbe incontrare ostacoli se volesse, eventualmente, aderire ad un’altra religione o non professarne alcuna” (Benedetto XVI,” Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace per l’anno 2011”; il nostro corsivo è volto ad evidenziare come con Benedetto XVI si sia passati ad un ulteriore livello della “libertà religiosa”, che contempla quell’amore degli atei che non era almeno così manifesto nel precedente papa).

Tristi e sgomenti, ci pare ovvio che quella appena descritta sia una nuova religione, cui, in coscienza e sulla base del criterio oggettivo della Tradizione cattolica, non possiamo (e non vogliamo) aderire. Praticamente, il cattolico postconciliare, “di destra” o “di sinistra”, considera la Chiesa come un partito e la religione alla stregua della politica, in quanto tale adattabile (e ormai quasi interamente adattata) al mondo; pure, il più pericoloso nemico della Chiesa, come è risaputo, è situato al suo stesso interno, e non dà segno alcuno di volerLa abbandonare. A ben guardare, il problema, oggi, non sono tanto le altre religioni, ma il mondo postmoderno: che ha abolito la trasmissione, e quindi il senso (anche dal punto di vista etimologico), della tradizione, sia familiare che sociale ed ecclesiastica. L’individuo di Occidente è oggi un atomo scisso da sé. Tutto ciò ha generato la noia, il caos e quella “libertà di scelta” che viene quasi universalmente presentata come progresso, ma che in realtà è una forma ultima della disgregazione interiore, che a sua volta costituisce la precipua nota della modernità quale rifiuto della vita autentica (di qui gli innumerevoli artifici del mondo contemporaneo). Da un altro punto di vista, parrebbe anche che, in questi ultimi tempi, si stia riproducendo quasi ciclicamente la situazione “primordiale” del “piccolo resto” che caratterizzò la Chiesa degli esordi. Se l’eclissi dell’autorità divinamente costituita ha prodotto il caos, che è, per le forze della sovversione, la vittoria, riteniamo di poter concludere che, in buona misura, una delle sue “epifanie”, la “politicizzazione” della religione – con la conseguente disgregazione in “correnti” della Chiesa, e la terribile, onnipervasiva profanazione del sacro – è quel “fumo di Satana” che addirittura Paolo VI denunciò (29/6/1972). Si tratta di essere onesti e coerenti: il cattolicesimo conciliare è un artificioso coacervo di idee ambigue, eccentriche e contraddittorie, peraltro già in stato di avanzata decomposizione. Tutto ciò ha una causa precisa, facilmente individuabile: e non si tratta certo degli ipocriti distinguo avanzati e difesi, contro l’evidenza, da molti scribacchini di regime. Se le situazioni fossero minimamente comparabili, si potrebbe dire che si è compiuto un paradosso, in certo senso analogo a quanto si verifica spesso in certe amare “commedie all’italiana”: il katéchon, senza neppure rendersene conto, pare aver abdicato al proprio ruolo, e, tutto intento a “dialogare” con chiunque, sembra quasi compiaciuto del disastro che egli stesso ha contribuito a determinare.