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Anno 2020: inizia l'era delle guerre dell'acqua

di Luca Francesco Vismara - 17/07/2012

Anno 2020: inizia l’era delle Water Wars

Secondo il report pubblicato dall’Intelligence Community Assessment sulla Water Security, le guerre del futuro saranno quelle per la conquista dell’oro blu, bene primario sempre meno accessibile e fruibile. L’acqua assumerà un valore geostrategico di primissimo piano che modificherà inevitabilmente i rapporti tra attori statali favorendo un nuovo corso delle Relazioni Internazionali. Quali saranno le strategie messe in atto dagli attori statali?

 

Un nuovo scenario di minaccia globale: i limiti della Water Global Security statunitense

Il Report redatto dall’ICA su richiesta del Segretario di Stato Hillary Clinton e del Dipartimento di Stato americano sembrerebbe mettere in luce una nuova sfida “domestica” in termini di water-security per gli Usa. La scarsità d’acqua potabile dei prossimi anni risulta essere una minaccia globale che ridefinirà le principali strategie geo-politiche degli attori statali in un mondo sempre più tendente al multi-polarismo, nel quale essi rimarranno uno dei principali protagonisti indiscussi dell’arena internazionale. Non va dimenticato il ruolo delle organizzazioni internazionali: esse potranno giocare una partita fondamentale se poste a stretto contatto con gli Stati: un’azione comune e sinergica istituirebbe le basi per la creazione di un’agenda di governance sul problema della sicurezza in termini di scarsità d’acqua che rappresenti una vera risposta multivello.

Le minacce del mondo odierno si configurano inevitabilmente come globali poichè l’assetto a più poli, interconnessi in uno spazio sempre più globalizzante, rende impensabile una risposta che non coinvolga la totalità degli attori internazionali. La vecchia Realpolitik novecentesca lascia inevitabilmente spazio ad una forma di cooperazione internazionale sempre più stretta che si fonda ancora una volta sulla sovranità quale concetto chiave e punto di partenza, lungi dall’essere scomparsa come i suoi detrattori sostengono. In quest’epoca il termine Multipolarità significa che lo sforzo multilaterale-collettivo, e non solo quello dell’ormai ex egemone americano, divengono la chiave per affrontare le sfide del futuro. Attentati contro dighe, conflitti innescati da siccità, inondazioni come armi di ricatto e soprattutto eserciti pronti a battersi per il controllo di acqua dolce risultano essere scenari possibili enumerati nel report in questione.

I problemi legati al consumo, alla qualità, all’accesso e alla fruizione dell’acqua potabile ad essi collegati, incideranno non solo sugli interessi americani ma avranno un forte impatto sulle strategie future di tutti gli attori statuali. Ecco dunque il perché diviene interessante comprendere quanto sia possibile e auspicabile l’elaborazione di una forma di sicurezza contro il venir meno di fonti d’acqua potabile che si configuri come “sicurezza globale”, ossia risposta globale efficace alla carenza d’acqua; essa per essere tale deve tenere conto in primis della complessità della tematica in questione.

Questo report, infatti, si focalizza eccessivamente sul venir meno del bene primario acqua e sulle tecniche per preservarlo non tenendo conto di tematiche ad esse collegate in chiave di sicurezza come terrorismo e mercato. Risulta molto complesso ipotizzare oggi quali saranno i giocatori coinvolti in questo nuovo gioco: chi saranno i protagonisti? Quali le regole? Compiranno forse nuovi attori non-statali sulla scena internazionale, i quali ricorrerebbero a mezzi legati all’uso del terrore al fine di accaparrarsi le fonti d’acqua giocando un ruolo strategico-ricattatorio o forse saranno gli Stati stessi a fronteggiarsi più o meno apertamente inaugurando un nuovo ciclo di guerre?

Quando si parla di terrorismo lo si accosta spesso troppo facilmente alla figura dei terroristi in carne ed ossa, fanatici di movimenti religioso-armati. Se invece fossero Stati sovrani,le cui riserve d’acqua giacciono su zone “calde” di confine quali Israele e Palestina, a dover lottare per accaparrarsi tali fonti d’oro blu? Se allo stesso modo si creassero situazioni di conflitti statali a causa di fiumi appartenenti a più paesi (Nilo)? Ciò che risulta evidentemente è che, al di là dell’identità dei protagonisti, controllare i bacini d’acqua dolce significa creare zone di crisi che si espandono a macchia d’olio. Non solo, esercitare una forma di controllo influenzerebbe un futuro mercato dell’acqua più volatile dell’odierno “mercato degli idrocarburi”. Un mercato connotato da forti oscillazioni dei prezzi in mano dunque a coloro che detengono l’oro blu.

Non solo: oltre alla creazione di questo mercato di nicchia, la diminuzione delle riserve idriche significa un crollo verticale del mercato alimentare con la conseguente perdita di posti di lavoro, crisi nelle performances economiche riferite al mercato energetico e idro-energetico, e ciò obbliga gli Stati a ridefinire i propri interessi geo-politici. “Piccole” crisi regionali potrebbero trasformarsi in cassa di risonanza per una crisi globale.

Il collegamento tra uso delle fonti d’acqua, terrorismo e mercato pone dunque ulteriori riflessioni che gli Stati farebbero bene a tenere a mente. Il report, inoltre, pecca nel focalizzarsi sul ruolo preminente e ancora egemone degli Usa poichè l’architettura delle relazioni internazionali tende verso la direzione opposta. Questo documento rimane intriso di una nostalgica visione unipolare che non è utile ai fini di comprendere come si possa parlare di water global security. Sarebbe stato interessante impostare il report secondo una grammatica differente: ossia quale apporto Washington sarà in grado di fornire in un mondo multipolare che pretende una risposta globale al problema?

Al contrario gli Usa sembrerebbero intenzionati a operare su un doppio binario: da un lato sfruttando questo scenario nefasto come una ”occasione” al fine di massimizzare economicamente i propri interessi geo-economici e dall’altro aiutare i propri alleati regionali in termini di water security. Il report non elenca nello specifico chi siano i beneficiari di una politica che intende esportare il know-how americano in termini di management dell’acqua per aiutare questi “alleati” e, contemporaneamente, beneficiarne economicamente e in termini di soft power.

Un limite rimane evidente: gli Usa rischiano di focalizzarsi sui soli interessi individuali dimenticando la portata globale del problema. Non sarebbe stato forse opportuno dimenticarsi per un attimo di Rogue States o “imperi del male e concertare anche con questi ultimi delle linee guida che possano salvare l’umanità da questa nuova minaccia? Comprendere il quadro generale significa elaborare una adeguata risposta alle problematiche sopra-citate che sia internazionale e coinvolga la totalità degli Stati.

Quali strategie dovrebbero seguire e quali interessi perseguiranno i principali attori statali?

La strategia preferibile che gli attori statali dovrebbero porre in essere necessita dell’adozione di misure concrete sul piano internazionale che si traducano in una cooperazione rafforzata di tipo intergovernativo. Un’agenda di politica estera dunque che sia multilaterale e allo stesso tempo multilivello. Il primo termine fa riferimento alla creazione di forum di dialogo, summit e conferenze sempre più frequenti atta a favorire lo sviluppo di linee guida di politica estera concertate e comuni alla risoluzione di tali problematiche quale base per una azione incisiva; per quanto riguarda il piano multilivello coinvolgere i “nuovi” attori non statali delle scena internazionale, tra i quali la società civile influente nei processi di decision making. Quest’ultima, lungi dall’essere globale, riveste tuttavia un ruolo non trascurabile poiché sempre più all’attenzione dei singoli Stati; se coesa al suo interno è in grado di esprimere dissenso o assenso divenendo anch’esso un attore che non può essere ignorato totalmente quando si ha a che fare con decisioni politiche.

Se queste potrebbero essere alcune linee guida per una buona governance, non sempre esse sono seguite alla lettera. Gli attori statali molto spesso nel loro dialogo multilaterale affrontano un problema partendo da presupposti differenti che presuppongono soluzioni differenti; ne consegue una non facile armonizzazione delle parti che si trasformi in una linea di azione comune. E non sempre la si raggiunge. Spesso le risposte internazionali corrispondono a interessi di una delle parti in causa. Gli Stati non sono certo irrazionali e passivi ma si comportano spesso come massimizzatori di profitto. Proprio come le grandi imprese sono interessati al guadagno; l’agenda di politica internazionale secondo questa visione si contraddistingue per un approccio fortemente egoistico dell’attore in causa.

Se questo è storicamente innegabile, quali sono le strategie e gli interessi in gioco per quanto riguarda la water security del 2020? Gli interessi particolari rimangono fondamentali, o si segue la strada della promozione di strategie comuni? La risposta non risulta affatto semplice poiché le politiche di nuova generazione in materia di water security sono ancora in via di definizione; tuttavia per alcuni attori statali gli interessi geopolitici risultano prioritari mentre per altri si preferisce impostare una linea politica comune. Gli Stati in cui si trovano le risorse idriche principalmente a rischio, ovvero Egitto, Sudan, Turchia, Iraq, Israele e Siria, nei prossimi dieci anni vedranno il loro peso politico e diplomatico aumentare in maniera esponenziale poiché dovranno garantire la preservazione di bacini d’acqua ancora più strategici. Per massimizzare il loro peso strategico dovranno in primis accantonare i propri contenziosi politico-geografici; solo così potranno giocare un ruolo importante nel processo di risoluzione delle situazioni di potenziale conflitto summenzionate.

Sembra tuttavia difficile ipotizzare che un peso politico maggiore possa tradursi in un nuovo corso di diplomazia forte e indipendente; ad oggi, infatti, non è immaginabile che queste medie potenze regionali possano affrancarsi dalla politica delle cosiddette grandi potenze quali Usa o Russia che tenteranno di preservare ed estendere i propri interessi in tali zone. L’apporto delle grandi potenze (le cui conoscenze e tecnologie rimangono all’avanguardia) rimane tuttavia decisivo per far fronte a un problema,che come ribadito a più riprese, non è solo regionale ma globale. Se questi Stati decideranno di sedere a un tavolo e prediligeranno un approccio cooperativo alla sfida che si troveranno ad affrontare ecco che ne beneficeranno non solo le potenze in cui scorrono i bacini d’acqua “strategici” ma essi stessi.

Sebbene la minaccia coinvolga il futuro dell’umanità, gli Usa, secondo quanto menzionato nel report, perseguiranno una politica che non si focalizzi solo sulle possibili soluzioni al problema; la stessa parte conclusiva è dedicata al come massimizzarne i benefici esportando il modello americano di water management. Sembrerebbe dunque che il documento affronti il problema non focalizzandosi esclusivamente su di esso ma su componenti economiche di opportunità e massimizzazione dei benefici economici. Da un lato si cerca di capire perchè e in che modo la sicurezza globale sia in pericolo e dall’altro non si trascura come salvaguardare i rapporti inter-statali con i propri alleati soprattutto nelle zone critiche fornendo la tecnologia americana. Va da sé, la politica estera americana guarderà con interesse ai suoi rapporti futuri con Egitto, Sudan e Turchia, Iraq, Israele e Siria. Washington tenterà di esercitare il suo ruolo di potenza egemone esportando il proprio modello di water management e valorizzando l’hard power economico americano. L’idea è fornire supporto e know–how a quegli Stati che non possiedono le capacità tecniche per prevenire il venir meno delle esigue riserve d’acqua. Attraverso la vendita della propria tecnologia otterrebbe così un profitto economico evidente; lo stesso soft power americano traducibile nell’apprezzamento del modello di esportazione americano ne gioverebbe.

La Russia, al contrario, sembrerebbe aver compreso come la mancanza di acqua possa portare a conflitti armati e guerre anche tra Stati vicini; sente da vicino l’importanza della minaccia poiché possiede una della riserve più grandi al mondo in termini di “fresh water” che tuttavia non usa efficientemente per la mancanza di un sistema di water management all’avanguardia. La strategia russa per il 2020 mira a favorire l’ammodernamento del proprio sistema di approvvigionamento di risorse idriche evitando gli sprechi attraverso una politica di razionalizzazione. Mosca di concerto con i paesi del blocco BRICS durante il summit di Nuova Delhi di quest’anno ha ribadito l’importanza del capitolo “stabilità sicurezza e crescita”. In particolare, ha ribadito che l’adozione di politiche coerenti e meccanismi per la gestione condivisa delle risorse idriche sono necessarie per prevenire l’insorgere di conflitti relativi alle risorse idriche.

Se gli Usa sembrano intenzionati a risolvere il problema preservando in primis i propri interessi e successivamente coordinandosi con gli altri attori, la Russia e i BRICS vorrebbero promuovere maggiori e più numerosi accordi regionali per preservare le riserve d’acqua dolce giocando la carta della cooperazione “rafforzata” non solo all’interno del blocco ma a livello multilaterale. Soluzione che il report americano non ritiene la più sicura poiché secondo questa tesi invece che fungere da freno tali accordi per la gestione comune delle risorse d’acqua aumenterebbero le dispute e le frizioni tra Stati portando a un risultato simile al terrorismo come arma brandita dallo Stato.

L’Unione Europea in particolare ha tentato di definire una propria water strategy a partire dalla dichiarazione ministeriale del secondo World Water Forum dell’anno 2000 fino a quelle degli anni più recenti come il forum di Istanbul del 2009, puntando l’attenzione sulle 5 dimensioni della sicurezza: preservare l’ecosistema dai continui cambiamenti climatici (environmental security), evitare che la scarsità d’acqua sia fattore disgregante per la società (social and societal security), preservare i beni pubblici e i mercati delle commodities (economic security), proteggere il mercato alimentare (food security), assicurare uno standard adeguato in termini di salute e qualità della vita (health and livehood security). Questi punti ancora in agenda insieme sono tutt’ora in via di definizione. Ciò che si può dire per certo è che alcuni risultati sono stati conseguiti all’interno dell’Ue. Il concetto di water security è divenuto prioritario nell’agenda Ue (basti pensare che ogni anno si tiene un Water forum e che la European Water Partnership ha coordinato i lavori della quinta edizione del World Water Forum), si è preso coscienza del fatto che la forte connessione tra acqua energia e cambiamento climatico necessitano di una risposta forte comune.

Come avvicinarsi al 2020? Una conclusione

Il problema della scarsità delle riserve d’acqua che presumibilmente modificherà i rapporti interstatali si configura come globale e presuppone una risposta globale. E’ innegabile che “l’oro blu” sia un bene sempre più primario e dunque debba essere salvaguardato. I cambiamenti climatici, la cattiva gestione delle risorse d’acqua dolce e i continui sprechi sono alcune motivazioni alla base dalla scarsità di bacini d’acqua potabile. L’ideale dunque è avvicinarsi al problema con un approccio step by step che sia internazionalmente funzionale all’implementazione di misure a livello interno. Per fare questo gli Stati sono i protagonisti e attori primari insieme alle organizzazioni internazionali. Essi, di concerto, dovranno impostare un dialogo che sia il più possibile cooperativo, poiché solo attraverso il venir meno di interessi particolari si può porre le basi per una nuova politica di sicurezza in termini di water security.


NOTE:
Luca Francesco Vismara è dottore magistrale in Relazioni internazionali.