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Cinque regole fondamentali

di Miguel Martinez - 26/08/2012


cinque regole 20120825


Un libro pubblicato ai tempi della DDR, autori Dieter Dreetz, Klaus Gessner e Heinz Sperling, Bewaffnete Kämpfe in Deutschland 1918-1923. Kleine Militargeschichte (“Lotte armate in Germania 1918-1923 – Breve storia militare”).

A pagina 8, trovo i consigli che Lenin dava appena prima della rivoluzione d’Ottobre:

1. Mai giocare con l’insurrezione, ma se la si inizia, bisogna sapere andare fino in fondo

2. Nel luogo e momento decisivo, occorre concentrare una grande superiorità di forze, altrimenti il nemico, che è meglio addestrato e organizzato, annienterà gli insorti

3. Appena iniziata l’insurrezione, bisogna agire con la massima determinazione e prendere l’offensiva in ogni circostanza e senza condizioni. Mettersi sulla difensiva è la morte della rivolta armata

4. Ci si deve sforzare di cogliere il nemico di sopresa nel momento in cui le sue forze sono disperse

5. Occorre ottenere ogni giorno (e se si tratta di una città, potremmo dire addirittura ogni ora) successi anche piccoli, in modo da mantenere ferma la superiorità morale

Ora, c’è qualcosa di inaccettabile oggi in queste parole. Se non altro perché, se l’avversario le viene a sapere, non solo ti accuserà di machiavellismo, ma prenderà anche le necessarie contromisure.

Meglio dirsele in privato.

Solo che oggi, almeno per la maggior parte di noi, il privato non esiste più: ogni affermazione strategica è quindi non solo indicibile, ma anche impensabile.

Ne risulta la caduta di ogni progetto, salvo di quelli che godono in qualche misura del diritto alla riservatezza – cioè i progetti di chi possiede già il potere, che si tratti di imprese o dell’apparato militare e securitario globale, dove discorsi alla Lenin se ne fanno tutti i giorni.

Ma per quanto il discorso di Lenin possa sembrare oggi inaccettabile – e quindi quasi criminale -, non c’è dubbio che Lenin avesse ragione. Ammesso e non concesso che si cerchi di vincere per fare qualcosa, la strada è quella. Lo dimostra il successo della rivoluzione che Lenin con quelle parole stava preparando.

Solo un progetto strategico può tenere testa a un progetto strategico: pensiamo alle milioni di persone che nel 2003 sono scese in piazza, in tutto il mondo, per prevenire la guerra contro l’Iraq, appoggiati all’epoca, e con tutti i sondaggi d’opinione al mondo, fuori dagli USA, dalla parte loro. Il progetto strategico dell’attacco all’Iraq non è stato ritardato di mezz’ora da tutto questo moralistico e pittoresco agitarsi non strategico.

La ragione militare, cioè la lucida analisi dei fatti al fine di scoprire il calcolo corretto per volgerli dalla propria parte, è sempre vincente sul sentimento.

E possiamo guardare quasi tutto il movimento dell’Occidente, dal Cinquecento in poi – i geometri, i tattici, gli educatori, gli inventori, i riformatori, i rivoluzionari, gli imprenditori – come un’applicazione della ragione militare al mondo.

Però è interessante notare come le parole di Lenin siano state pubblicate, come se fossero una ricetta sicura, nella DDR nell’anno 1988. Cioè ad appena un anno dalla disintegrazione dello Stato che le affermava.

Si potrebbe dire che le cose stiano così: chi prende il mondo a cornate, calibrando bene ogni colpo, vince sempre contro le buone intenzioni.

Ma i colpi che mena causano tante di quelle imprevedibili fratture e inimmaginabili conseguenze, da vanificare sempre le vittorie, perché queste si trasformano in qualcosa che non ha più nulla a che vedere con l’intenzione originale.