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Il sesso esasperato e spogliato dei sentimenti non è che un gioco autodistruttivo

di Francesco Lamendola - 28/08/2012


Il 30 agosto del 1970, nell’esclusivo quartiere romano Parioli, ebbe luogo un triplice delitto, destinato ad alimentare discussioni, polemiche, curiosità morbose nel pubblico italiano, che ne avrebbe parlato per settimane: il delitto di Via Puccini.

Un marchese di quarantatre anni, ricchissimo, Camillo Casati Stampa di Soncino, uccise la moglie quarantunenne, Anna Fallarino, e il venticinquenne amante di lei, Massimo Minorenti, con il suo fucile da caccia; poi rivolse l’arma contro se stesso e si tolse la vita. Pareva il classico delitto passionale che fa la delizia della stampa scandalistica e solletica irresistibilmente gli istinti pruriginosi dei lettori; in compenso, sembrava fin troppo chiaro nelle sue dinamiche, quasi banale. La marchesa era una donna bellissima e decisamente disinibita, come mostravano le foto subito apparse nelle edizioni speciali, che la ritraevano in bikini mozzafiato e in pose più che provocanti; ed era ancora niente rispetto a quel che si sarebbe visto poi, quando cominciarono a trapelare le foto “proibite” che il marito le aveva scattato, a centinaia, in un crescendo sconcertante. Pareva fin troppo logico che una donna così avesse avuto un amante; e che il marito, a un certo punto, pazzo di gelosia, avesse reagito. Era tutto molto semplice, non c’era alcun mistero.

Ben presto, però, le prime voci indiscrete cominciarono a trapelare, delineando un quadro molto più complesso e ambiguo del solito triangolo. Innanzitutto, il giovane amante non era l’unico, anzi, era solo l’ultimo di una lunghissima processione; in secondo luogo, era stato proprio il marito a gettarlo nelle braccia della moglie, spinto da incontenibile voyeurismo; in terzo luogo, come si apprese a poco a poco e come, alla fine, fu evidente, il marchese era vittima di una vera e propria ossessione erotica: voleva che sua moglie facesse l’amore con dei perfetti sconosciuti (e sconosciute), dei bagnini, dei soldati, anche delle prostitute, tutte persone che egli pagava generosamente per assistere, eccitandosi, ai loro amplessi sfrenati. Solo che, a un certo punto, il gioco - evidentemente - doveva essergli sfuggito di mano.

Che cosa era successo? La donna, una arrampicatrice sociale che lo aveva sposato per i suoi soldi, strappandolo alla precedente moglie (matrimonio opportunamente annullato dalla Sacra Rota), ma che poi, sembra, se ne era realmente innamorata, lo aveva posto davanti a un autentico ricatto: si era presentata insieme al ragazzo e aveva preteso un radicale mutamento; stanca di quella vita, gli aveva chiesto di non farla più giacere con chiunque, minacciandolo di denuncia. Insomma un ricatto, rafforzato dalla richiesta di una bella somma di denaro, per sé e per l’altro, in cambio del loro silenzio; altrimenti lo avrebbe denunciato e gli avrebbe distrutto la reputazione.

Si era creduto che la bella signora, dopo tanti amorazzi, avesse finalmente trovato l’amore vero fra le braccia di quel bel giovanotto; niente affatto: lui era un banale gigolò, uno studente squattrinato non alieno dal ricatto (anche se l’idea era stata di lei) e Anna non se n’era per niente innamorata, lo vedeva anzi, impietosamente, esattamente come era in realtà, un po’ squallido e arrivista; semplicemente, era stanca di subire le perversioni del marito e voleva assicurarsi una vita tranquilla e serena, senza dimenticarsi dell’aspetto finanziario, lei che aveva lottato tanto per assicurarsi il benessere e la posizione sociale.

Ma quando il marchese si vide davanti i due, che, con sua sorpresa, erano stati amanti anche a sua insaputa e, quindi, fuori dal suo controllo, e quando udì le parole della donna, che aveva sempre considerato una docile marionetta nelle sue mani, parole che mostravano una volontà indipendente dalla sua, come tutti i paranoici non sopportò che la manipolazione a danno degli altri fosse finita così bruscamente, togliendogli quel senso di onnipotenza e minacciando, per giunta, di privarlo, in futuro, di quelle emozioni proibite cui s’era assuefatto come a una droga, in dosi sempre maggiori.

Prima di andare incontro a suo tragico destino, Anna affidò una lettera in busta chiusa alla cugina-nipote Mariateresa, più tardi divenuta medico chirurgo e autrice di una biografia della sua parente, in cui raccontava gli elementi essenziali della sua vita matrimoniale e annunciava l’intenzione di porre il marito davanti a un aut-aut.

Ne riportiamo i passaggi salienti, eliminando solo i particolari ripetitivi o quelli decisamente più sgradevoli (da: Mariateresa Fiumanò, «La marchesa Casati», Villorba, Treviso, Edizioni Anordest, 2010, pp. 155-64):

 

«… Ho i soldi, le ville, le pellicce, i gioielli e le invidie degli altri, , ma, credimi, non sono la ricchezza e la nobiltà, come mi pensavo, che donano la felicità.

Io volevo a tutti i costi poter condurre una vita di lusso, ma mi credevo che sarebbe stata una vita normale con una famiglia regolare e dei figli e sono stata sfortunata.

Sarei stata felice solo se fossi stata amata in maniera normale. Camillo ha cercato di convincermi del contrario. Lui mi dice che il suo amore per me aumenta e si sublima quando mi vede scopare con altri, uomini o donne che siano, gli vanno bene entrambi i sessi, purché sia lui a scegliere i candidati. […] Un modo d’amare trasgressivo e moderno lo chiama lui. […] Da questo modo di pensare e di agire si denota la superiorità di classe, mi ha fatto notare. […]

Nei primissimi tempi della nostra unione mi era sembrato divertente scambiare i partner con altre copie o amoreggiare davanti a Camillo con dei bei ragazzi, oppure con delle belle donne. Lui, comunque, preferisce vedermi con i maschi, dice che gli fa provare una maggiore esaltazione. Certe volte, non posso mentire, mi è anche piaciuto, e anche adesso non mi dispiace in assoluto, ma la faccenda troppo ripetuta è degenerata. Che cosa non abbiamo fatto! Le se invenzioni e le sue proposte all’inizio mi affascinavano. Andava alla ricerca di prostitute oppure di donne disinvolte alle quali faceva la corte per abbindolarle e pi portarmele a casa infilandomele nel letto. […]

Non ti sto a dire che cosa pretende che noi facciamo, roba da chiodi… e io che, nonostante le sue capricciose e variabili richieste, non mi sono mai ribellata e che continuavo a volergli bene sperando che potesse cambiare. Che idiota che sono! […]

Prima il nostro era un allegro e singolare passatempo che lui proponeva e al quale io dovevo partecipare e capitava ogni tanto. Ora invece mi tocca accontentarlo due, tre volte a settimana. Inoltre da quando mi hanno fatta la diagnosi di sterilità pretende che io abbuia sempre rapporti non protetti perché lo sperma di altri uomini ha su di lui un potere afrodisiaco. Non sempre, credimi, è piacevole sentirsi spruzzare in vagina il liquido di uomini sconosciuti che a volte nemmeno mi piacciono!” Mi fa sentire sporca, usata, sfruttata, mi fa sentire una merda, una nullità. E, dopo, lui non vuole che mi lavi subito e mi lascia con quel luridume in corpo finché non arriviamo a casa dove mi fa stendere sul letto e mi esamina. […]

Non ho più pace, sono sfinita, non ce la faccio più. Mi pare di essere diventata la peggio delle peggio mignotte. Non me ne importa più niente di niente di fare la trasgressiva, e pensare che quando mi sono messa con Camillo io lo amavo da impazzire, sul serio! E anche adesso che mi ha fatto e mi fa passare le pene dell’inferno io lo amo. […]

Massimo è stato uno dei tanti anche se nei primi tempi si era preso una cotta per me. Che carino è stato al principio! Mi mandava fiori, letterine con i cuoricini e mi ha regalato il disco a 45 giti di Modugno “La lontananza”, la canzone che fa: La lontananza sai è come il vento, che fa dimenticare chi s’ama, io che credevo d’essere il più forte mi sono illuso di dimenticare e invece sono qui a ricordare, a ricordare te”. Per un paio di mesi l’ho fatto suonare ininterrottamente.

Qualche volta abbiamo fatto l’amore noi due soli in albergo o a casa di un suo amico, oppure sull’isola di nascosto senza che Camillo lo sapesse. Mi pareva di essere tornata adolescente, sarà perché io una vera adolescenza spensierata non l’ho mai avuta, ma non mi sono mai illusa. […]

Ma come si dice ogni bel gioco dura poco e anche il gioco dei fidanzatini fra noi si è esaurito presto, ma me lo sono tenuto in caldo e a portata di mano per un mio preciso disegno. Ho i piedi ben piantati per terra e so che al giovanotto piace stare con le persone altolocate del gran giro, come lo chiama lui, per arraffare quanto più gli è possibile dalle signore ricche e generose. […]

Lui verrà con me da mio marito quando andrò a parlargli. Il ragazzo ha partecipato a delle porcherie e ha assistito a parte dei traffici e dei soprusi schifosi che ho dovuto subire in questi ultimi mesi e il marchese, che lo sa, vedendolo abbozzerà. Non sarà nemmeno necessario che Massimo apra bocca. […] Io parlerò, io lo ricatterò e mio marito sarà obbligato a tirar fuori parecchi soldi. Le soluzioni potrebbero essere due. Se Camillo lo volesse, io sarei disposta a restare con lui, perché, nonostante tutto, lo amo ancora e non ho mai smesso di amarlo, ma voglio liberarmi definitivamente dalle sue perversioni. […] Se invece s’incaponisse e decidesse di liquidarmi definitivamente, io voglio una casa per conto mio, voglio una cospicua rendita mensile e soprattutto non voglio più assoggettarmi a fare tutto ciò che mi ordina di fare. Certe cose brutte con me se le deve scordare, se ne trovasse un’altra!

Pensa che ti ripensa ho elaborato un mio piano che non può fallire. Nel caso si dovesse rifiutare di accontentarmi lo minaccerò di rivelare le sue perversioni pubblicamente con il testimone che mi sono trovata e, se ci sarà bisogno, metterò di mezzo e in moto anche tuo padre [vicequestore di polizia] i carabinieri, la magistratura, tutto quanto mi sarà possibile. Fino ad ora quell’uomo mi ha sottovalutata, ma io, se voglio, ho tantissimi risorse cui attingere per farmi valere e sostenere! […]

Come si fa a vivere se non si possiede più niente? E a mammà, chi ci penserà? Lei si sta facendo vecchia e è pur sempre mia madre! E io, io che farò? Adesso ho quarantun anni, mi mantengo in splendida forma e qualcuno prima o poi lo troverò, ancora valgo qualcosa e non sarà certo lo sbarbatello che tutti credono il mio amante a mantenermi. Massimo è disposto a dire e a testimoniare, quando servirà, quanto gli chiedo. Non è uno stupido, ha capito che da questa faccenda ci potrà ricavare un bel gruzzoletto e ne ha bisogno. […] Adesso come non mai sono arrivata alla convinzione che lui non stia tanto bene con la testa e che la sua situazione mentale stia peggiorando. […]

Adesso desidero solamente ridiventare libera da costrizioni e riconquistare la dignità che ho perso in questi anni. Peccato che nel matrimonio non mi è andata come mi aspettavo, ma le ultime cose che lui mi ha obbligato a fare pochi giorni prima che arrivassimo sull’isola [di Zannone, nelle Ponziane] e poi anche qui hanno rappresentato le classiche gocce che fanno traboccare il vaso e ho capito che non so che farmene di un amore così devastante e avvilente.»

 

Questa lettera-confessione, destinata a essere aperta solo se fosse accaduto «qualcosa di grosso» (un presentimento?), che fa ora la sua comparsa a quarant’anni di distanza dal delitto, getta una vivida luce sul carattere dei protagonisti di quella vicenda e ci consente di mettere a fuoco, assai meglio di quanto non fosse possibile all’epoca, le loro motivazioni profonde, nonché di svolgere qualche riflessione psicologica di ordine generale.

Il marchese è un voyeurista ossessivo con marcati tratti paranoidi; animato da una forte componente omosessuale (pare che non solo guardasse, ma anche partecipasse alle orge sessuali con altri uomini), si direbbe che non riuscisse ad avere con la moglie dei normali rapporti sessuali, se è vero che, fin dalla prima notte di nozze, pretese che ella si concedesse, sotto i suoi occhi, a un perfetto sconosciuto. Per poterla possedere, a quel che pare, aveva bisogno di un transfert: poteva farlo solo per il tramite, per così dire, di una terza persona, uomo o donna che fosse, ma preferibilmente uomo. Molte cose fanno pensare che la sua affettività soffrisse di un blocco nei confronti della figura materna e che nella procace moglie cercasse un sostituto della figura materna, che però, ovviamente, non poteva penetrare in maniera “normale”. Anche il fatto che egli abbia spinto la donna a sottoporsi a un paio di operazioni di chirurgia estetica per ingrandire il seno (pratica, allora, tutt’altro che frequente come lo è divenuta oggi) andrebbe nella direzione di una fissazione erotica di matrice edipica, se è vero che un seno molto grande richiama il seno materno nella fase dell’allattamento ed è un elemento rassicurante nei confronti del maschio che soffre di qualche problema di identità sessuale.

Se non che, questa moglie-amante-madre-prostituta, sempre più seducente e sempre più provocante, non poteva che ingigantire ed esacerbare i suoi fantasmi, nel tempo stesso che, per un altro aspetto, li tranquillizzava o, almeno, li anestetizzava, facendolo sentire iper-virile e quasi onnipotente; per cui egli era costretto a raddoppiare e triplicare i suoi sforzi per soggiogarla e dominarla, ma anche e soprattutto per umiliarla. Il fatto che lei non potesse lavarsi dopo aver consumato i suoi rapporti promiscui e che dovesse sottoporsi ad un minuzioso esame da parte di lui, esame i cui penosi particolari abbiamo risparmiato al lettore, la dice lunga sul fatto che egli, per poterla amare, aveva bisogno di disprezzarla, di svilirla, di oltraggiarla; e che il suo amore, insomma, altro non era che un astuto travestimento dell’odio, un odio feroce e tanto più potenzialmente distruttivo, quanto meno era riconosciuto come tale.

Del giovane amante non vale la pena di parlare: è una figura ben poco interessante dal punto di vista psicologico; un opportunista senza scrupoli che, a un certo punto, si è trovato preso in un gioco molto più grande di lui, alla mercé di due volontà molto più forti della sua e di due intelligenze molto più agguerrite. È stato una vittima, in tutti i sensi: il suo corpo fu ritrovato in un angolo della stanza, dietro un mobile: evidentemente aveva tentativo di fuggire ed era stato abbattuto con un colpo solo alla testa, come una preda inerme (ricordiamo che il marchese era un appassionato e quasi brutale cacciatore, aduso a sbattere addosso alla moglie la selvaggina uccisa). Non aveva neanche tentato di reagire, eppure fisicamente sarebbe stato in grado di farlo: mentre l’assassino sparava alla moglie, uccidendola, egli avrebbe avuto, almeno in teoria, la possibilità di balzargli addosso e disarmarlo. Sembra che la donna lo abbia condotto inconsapevolmente al macello, come una vittima designata, anche se, in fondo, pressoché casuale. Al suo posto avrebbe potuto esserci chiunque delle decine di uomini e donne che erano stati a letto con la marchesa, scelti e diretti come burattini dalla personalità patologica del marito.

Quanto a lei, Anna Fallarino, la donna di modeste origini (non povera, come fu detto dalla stampa di allora) che era riuscita a sposare un uomo non brutto, nobile, ricco e abbastanza giovane (aveva solo due anni più di lei), dalla sua confessione emerge uno strano e significativo impasto di franchezza e dissimulazione, di ingenuità e cinismo, di cupidigia e povertà umana. Non si riesce a capire fino a che punto ella avesse piena consapevolezza della situazione in cui era venuta a mettersi e non si riesce a capire nemmeno se le sue proteste di volere una vita diversa e normale fossero sincere, o fino a che punto lo fossero. Lei stessa ammette che, all’inizio, il gioco erotico impostole dal marito le era piaciuto; ed è un fatto che una giovane moglie che si sente imporre dal consorte di consumare un rapporto sessuale col primo che capita, sotto gli occhi di lui e a poche ore dalle nozze, se davvero è così desiderosa di normalità come Anna racconta di sé, avrebbe dovuto ritrarsi inorridita fin da quella prima volta, anche a costo di compromettere il matrimonio. Del resto, ormai era sposata: aveva raggiunto quel che voleva. Anche se fosse stata allontanata, avrebbe ottenuto in ogni caso una congrua liquidazione, tale da sistemarsi una volta per tutte. Invece aveva accettato, così, su due piedi: e, da quel momento, aveva sempre detto di sì. A tutto, anche ai rapporti non protetti, anche ai rapporti omosessuali, e sempre col marito che guardava, sbavava, fotografava e, spesso, interveniva a sua volta, ma solo in un secondo tempo.

Dice che si sentiva peggio di una prostituta; e ciò può essere vero: ma siamo certi che ciò la facesse star male, oppure vi trovava una sorta di abietta gratificazione? Il linguaggio che usa, i vocaboli che adopera, non danno l’idea di una vergogna sincera, né di una franca presa di coscienza: sembra che giochi, che reciti la parte di un film a luci rosse. Sembra più compiaciuta che disgustata; è probabile che le due cose fossero entrambe presenti nel suo animo. Del resto, sappiamo da varie fonti, a cominciare dalla testimonianza della cugina - una persona che le voleva bene - che ella era una incontenibile esibizionista: godeva nel mostrarsi, nel provocare, nell’eccitare il prossimo, anche e soprattutto gli sconosciuti, e sempre con la massima finzione di naturalezza, con la stessa consumata abilità di falsa ingenua. Per esempio, usciva dall’acqua lasciando che un capezzolo facesse capolino fuori dal costume; oppure indossava vestiti trasparenti e misurava l’effetto che ciò faceva ai portieri degli alberghi. Una persona desiderosa di figli e di normalità adotta queste strategie nel suo matrimonio?

Il fatto è che i figli non venivano e non potevano venire; e questo, forse, è stato l’elemento decisivo che ha spinto lui, sempre di più, sulla china del voyeurismo compulsivo, e lei su quella dell’opportunismo e del cinismo. Lui aveva bisogno di emozioni sempre più forti, per sopportare la propria impotenza, la propria omosessualità latente, il proprio rapporto di amore-odio con la moglie; lei aveva bisogno di assecondarlo per non perdere lussi e divertimenti, che si riteneva in diritto di conservare, dopo aver lottato così duramente per conquistarli. Da giovane aveva anche tentato la carriera cinematografica, sicura di sfondare, ma aveva fallito miseramente: una comparsata in un film di Totò era stata la sua prima e unica prova di attrice; per caso aveva trovato il modo di avvicinare il marchese, ma sapeva benissimo che, una volta espulsa dal bel mondo del’aristocrazia romana, non avrebbe potuto rientrarvi mai più. Che si possa vivere anche in maniera modesta, per esempio lavorando, ma senza dover arrossire nel guardarsi allo specchio, a quanto pare non lo aveva mai preso in considerazione.

Lo dimostra il modo in cui decise, alla fine, di affrontare suo marito. Una donna che abbia rispetto di se stessa esige un cambiamento da parte del marito che la sottopone a pratiche umilianti, ma non chiede soldi; che fosse tuttora innamorata del marito, questo lo scrive nella lettera e vuole che la cugina le creda, ma forse lei stessa è la prima a non crederci. Una donna innamorata non parla di soldi, dopo aver subito per anni le peggiori angherie. E non chiama a darle man forte un amante in funzione di ricattatore del marito: un simile pensiero le farebbe orrore. Quanto alla preoccupazione per la vecchiaia di “mammà”, è una bugia pietosa che racconta a se stessa per vestire di panni rispettabili un comportamento totalmente amorale. È difficile guardarsi dentro senza finzioni, quando ciò che si vedrebbe è così sporco.

E questa, forse, è la morale che si può ricavare da tutta questa storia: il dovere della franchezza rigorosa, esigente, nei confronti di se stessi. Se ci si racconta un sacco di storie, non si procede per la via dritta, ma si imboccano fatalmente le vie traverse, ambigue e scivolose.

La seconda lezione che si può trarre è che il sesso, spogliato dell’affettività, diventa una droga, una ossessione, un gioco fine a se stesso, che prende la mano a chi crede di condurlo e che lo porta dove forse non vorrebbe e non avrebbe mai creduto.

La terza, infine, è che i soldi, di per sé, non hanno mai reso felice nessuno: può sembrare una conclusione banale, eppure, se ci si guarda intorno e si segue anche distrattamente la cronaca quotidiana, perfino negli ambiti in apparenza più lontani, come la politica, ci si accorge che non lo è affatto.