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Le trappole della Rete

di Stefano D’Andrea - 04/09/2012

Fonte: Appello al Popolo

 



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Ogni strumento apporta una utilità o crea una possibilità e al tempo stesso arreca danni o comunque cagiona perdite: l’esempio paradigmatico è il telefono, che quando venne introdotto consentì agevoli contatti con la persona lontana ma spinse ben presto ad abbandonare la scrittura di lettere: l’uomo che telefona non è necessariamente migliore dell’uomo che scrive lettere. La rete di internet non si sottrae alla regola generale. Nessuno può contestare che la rete consente di reperire informazioni  che altrimenti non avremmo avuto e di conoscere riflessioni che altrimenti non avremmo mai letto. La rete ha permesso, non soltanto in Italia, di organizzare partiti politici – è il caso del movimento cinque stelle o dei diversi partiti dei pirati. Perciò essa è anche mezzo organizzativo, oltre che mezzo di diffusione di informazioni e riflessioni estranee al pensiero unico (nelle due versioni di sinistra e di destra, comprese le varianti della sinistra e della destra radicali).

Tuttavia, queste indubbie potenzialità della rete non devono spingere verso il disinteresse per le trappole che la rete tende e nelle quali si cade facilmente. La prima trappola consiste nell’indurre il navigante a credere che coloro che sono in possesso di una determinata notizia o che accolgono un preciso punto di vista morale o politico o una interpretazione storica o una proposta di politica economica siano molti di più di quanti sono effettivamente. La chiamerei la trappola dell’illusione quantitativa. E’ una trappola che la rete tende per sua natura. Tutti i pesci che amano un determinato cibo, ossia tutti gli utenti che si interessano di alcuni temi o che vanno in cerca di posizioni eterodosse intorno a una certa materia – per esempio la sovranità monetaria, economica o politica o i temi connessi alla decrescita -, sono attirati, per il funzionamento di internet, in un preciso “luogo” o meglio tratto, più o meno ampio, della rete. Quanti sono i siti di “controinformazione” (uso una parola che non amo, soltanto in ragione della sua diffusione) o di “controriflessione” che occupano quel luogo? Tutto sommato sono pochi e comunque non molti. Accade così che un gruppo di siti o di pagine facebook sia frequentato in gran parte dalle medesime persone. Quindi un sito avrà mille contatti giornalieri, un altro duemila, un altro tremila e un altro ancora seimila; ma le persone che approfondiscono quotidianamente il tema principale di questo gruppo di siti non sono dodicimila (mille più duemila, più tremila più seimila), bensì sei o settemila al giorno e verosimilmente dieci-dodicimila a settimana. Ma la trappola consiste in altro e segnatamente nel fatto che quei siti e quelle pagine facebook sono frequentati da pochissimi sostenitori della linea dominante. In calce agli articoli si accumulano commenti, talvolta a decine, tutti favorevoli a una nuova linea politica, a una deversa politica economica, a una diversa politica energetica, a una diversa collocazione geopolitica dell’Italia. Frequentando quotidianamente quei siti, nei quali si dileggiano e denigrano con strafottenza le concrete e reali decisioni o affermazioni di politici, economisti e giornalisti mainstream, si finisce per avere l’impressione di appartenere a una minoranza non così poco numerosa come si credeva. Non solo. Dinanzi al fatto che, sia pure lentamente, i siti di controinformazione e controriflessione aumentano e così pure i frequentatori di quei siti, si ha l’impressione di appartenere a un movimento politico in grande crescita o che comunque si sta diffondendo in misura maggiore di come effettivamente si va diffondendo.

La verità è che la rete aggrega e segrega; riunisce i pesci che amano un determinato cibo in un tratto di rete e così separa quei pesci dai tanti altri che si nutrono di altri cibi. L’illusione quantitativa non riguarda soltanto il numero di persone che aderirebbero a una nuova dottrina e sosterrebbero politiche economiche alternative alla linea dominante, riguarda anche e soprattutto il livello di disperazione, di rabbia e di contestazione; la disponibilità a ribellioni, ad invadere piazze e città, a partecipare a occupazioni illegittime. Frequentando taluni siti o alcuni gruppi facebook si scopre che migliaia di persone scagliano quotidianamente offese, insulti,  e frasi di rabbia contro i politici. Si ha come l’impressione che esistano centinaia di migliaia di ribelli. Si è indotti inizialmente a credere che coloro che si esprimono su quei siti siano rappresentativi di un modo di essere molto diffuso.  Tuttavia, quando fuori dalla rete si parla con le persone comuni, al bar, in incontri occasionali con vecchi amici, durante incontri lavorativi o professionali o sotto l’ombrellone, ci si avvede che al massimo una persona su cento rivela quella rabbia, quella perdita di controllo, quella volontà ribelle. Coloro che parlano della crisi sono molti di più. Moltissimi commercianti, molti imprenditori, tutti i disoccupati e molti lavoratori precari. Salvo alcune eccezioni, non lo fanno tuttavia con ossessione. Nella maggior parte dei casi si tratta di uno degli argomenti di conversazione. Soltanto una parte degli ossessionati è persuasa che si debba uscire dalla crisi con scelte politiche innovative, che segnino un netto distacco dalle politiche fino ad ora seguite. Molti, infatti, sono convinti che il sistema si riprenderà tra qualche anno o magari tra un paio di anni; non pochi accettano l’idea che la crisi sia un costo da pagare e che poi si ripartirà. Alcuni dicono che la crisi farà bene, perché è nei momenti difficili che le persone di valore si fanno valere. Altri dichiarano di non capire le ragioni delle diffuse difficoltà economiche. Moltissimi sparano la sentenza risolutiva: se facessero pagare le tasse a tutti….; se licenziassero tutti gli statali che non lavorano…..; se eliminassero gli intralci burocratici…..; se abbassassero le imposte a un livello accettabile….. Si tratta di un gruppo molto nutrito, per il quale la soluzione è in fondo agevole, salvo il fatto che chi è al governo non avrebbe interesse a prenderla. Ma le persone che, pur avvertendo una qualche perdita economica, o invece non subendo alcun effetto negativo della crisi, si disinteressano alla crisi e non parlano di euro e unione europea più di una volta, per venti minuti, ogni due settimane sono di gran lunga la maggioranza.

La rete è dunque utile per scoprire informazioni e riflessioni. Ma poi va utilizzata per uscirne: per organizzare un’associazione o movimento o partito di persone che militino nelle cittadine e nelle città italiane. Portare la “controinformazione” e la “controriflessione” fuori dalla rete è già militare. Organizzare volontà politiche collettive, che si esprimano e agiscano fuori dalle catacombe di internet, e che diffondano controinformazioni e controriflessioni al fine di fare proseliti ed ingrandire l’esercito dei militanti è ancora meglio.  L’obbiettivo è sacrosanto ma non così facile da realizzare. La rete, infatti, tende un’altra trappola: dà la dipendenza[...]