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L'Europa divisa da pregiudizi

di Franco Cardini - 11/09/2012




Dev'esser proprio vero che non tutto il male vien per nuocere. Non so se ci avete fatto caso, ma la crisi economico- finanziaria in Europa ha avuto l’inatteso eppur non sgradevole effetto secondario di risvegliare interessi culturali e intellettuali ai quali francamente, almeno nell’opinione pubblica italiana, eravamo disabituati. Al principio dell’estate, il Meridione europeo (i paesi mediterranei, insomma) è stato attraversato da una specie di fiammata d’orgoglio classico, ellenico e quindi antigermanico. Ci si sono messi anche i fondali marini dello Ionio, che dopo i bronzi di Riace ci hanno regalato un’altra meraviglia archeologica. E allora giù contro l’uggiosa, brumosa, gotica e magari anche un po’ nazista austerità dei nordici…
Era francamente uno schema un po’ grossolano. Eppure, le dicotomie e le opposizioni frontali hanno il loro fascino: ed entro certi limiti funzionano.
C’era da aspettarsi la controffensiva: che è arrivata un po’ lentamente, ma si è fatta sentire con tutto il suo pedante peso teutonico. Dal Nordeuropa, e soprattutto dalla Germania (ma anche dall’Inghilterra) ci hanno risposto per le rime, cambiando scenario storico e sostituendo all’antichità e al romanticismo l’età della Riforma: con l’obiettivo di spiegare perché lo scarso rigore, l’approssimazione, in fondo la disonestà travestita da ottimismo e da lassismo, arrivino sempre e ancora dai paesi cattolici come la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e l’Italia (a parte la Grecia: ma gli ortodossi in fondo sono una specie di cattolici un po’ troppo orientali, e tra Otto e Novecento hanno avuto dei re di cattolica stirpe bavarese…), mentre la sobrietà, l’onestà, il rigore, sono piuttosto virtù protestanti e difatti Germania e Inghilterra ne rifulgerebbero.
Ci sarebbe di che sorridere, specie quando ci viene ricordato che in tedesco la stessa parola, Schuld, indica ‘colpa’ e ‘debito’: ci sarebbe da obiettare che è ben povera una cultura secondo la quale l’unica tipo di vero reato, perfino di peccato, è quello di esser lenti o cattivi pagatori. Ma quando Stephan Richter, direttore di ‘Globalist’, afferma che «un eccesso di cattolicesimo danneggia la salute fiscale delle nazioni», allora signori miei non si scherza più. Cerchiamo di mettere anche storicamente i puntini sulle ‘i’.
Non furono solo la riforma calvinista (non quella luterana) a instradare l’Europa sulla via del rigore: la controriforma cattolica lo fece in modo non meno deciso. Intanto, mentre il protestantesimo gettava anche le basi per una drastica riduzione in senso individualistico della solidarietà sociale, si avviava in tutta Europa il processo di secolarizzazione: dal Cinquecento in poi tutta la religione cominciò progressivamente a perdere importanza nel continente. Il rigorismo economico e fiscale non meno del moralismo individuale poterono essere nell’Europa settentrionale anche sostenute dalle Chiese (ch’erano, non dimentichiamo, esse stesse di stato): ma in tutto il continente fu la costruzione dello stato moderno, attraverso illuminismo e poi restaurazione, a condurre al modello della sobrietà e dell’onestà come ideale del funzionario: e qui la Germania in parte protestante, la Gran Bretagna in parte anglicana e l’impero austroungarico quasi totalmente cattolico fornirono tre variabili sostanzialmente concordi di una severità e di un’austerità venute poi meno in seguito alla ‘religione del profitto’ di radice senza dubbio calvinista, ma alimentata dal turbocapitalismo e dal ‘libero gioco‘delle borse.
È stata la vecchia morale dell’onestà, della sobrietà e del risparmio, ch’era cattolica non meno che protestante, a saltare negli ultimi decenni: ridicolizzata prima, dimenticata poi, rimpianta solo adesso che l’abbiamo distrutta. È stato il cattivo uso dello stesso benessere economico a determinare la situazione in cui ci siamo trovati, dopo decenni di speculazioni e d’inseguimento del mito dell’arricchimento di massa. I supposti vizi cattolici e le non meno supposte virtù protestanti non c’entrano nulla.