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Il vento gonfia le vele della Storia

di Stenio Solinas - 17/09/2012


"Le barche si perdono a terra" è un elogio nostalgico delle vecchie rotte. E una filosofia dell'andar per mare


Fra i diversi modi di andare per mare - agonistico, turistico, professionale, esibizionistico - il più congeniale al mio è quello di Arturo Pérez-Reverte (Le barche si perdono a terra, Marco Tropea, pagg.

323, euro 15). Pérez-Reverte è un marinaio fatto e finito e il sottoscritto un mozzo peraltro ciuccio, ma il sentimento è lo stesso e se lo dovessi riassumere con una formula parlerei di disagio per la modernità. Una barca a vela in navigazione nel Mediterraneo ti dà l'impressione di navigare nel passato e quindi nella storia, ha a che fare con la civiltà e la cultura di cui siamo fatti. Le rotte, i venti, le costellazioni rimangono immutate e, al netto delle strumentazioni elettroniche, identica è la manualità che governa il timone e le vele e la sensazione illusoria di piegare la natura alla tua volontà mista alla consapevolezza che in mare non si è mai sicuri e quindi è meglio essere umili. Lì dove la quotidianità della vita impone sulla terraferma i suoi ritmi artificiali e i suoi riti, il mare non contempla frettolose scorciatoie né tantomeno giustifica l'approssimazione, la furbizia, l'inganno. Di fronte alla sua grandiosità, siamo ancora più consapevoli della nostra fragilità e però, nell'affrontarla su un «pezzo di legno» dalle dimensioni modeste, c'è l'orgoglio di chi mette in campo intelligenza, coraggio, sopportazione, resistenza per confrontarsi con qualcosa più grande di lui.

Rispetto alle arti e ai mestieri non servili delle società tradizionali, prima cioè che la rivoluzione industriale modificasse completamente il nostro orizzonte, la marineria a vela è forse l'unica che abbia mantenuto un'intima corrispondenza con il proprio passato: parla ancora lo stesso linguaggio, si muove all'interno degli stessi confini, conserva gli stessi codici comportamentali. Permette a chi la pratica di sentirsi ancora «l'unico comandante dopo Dio», lo affranca, sia pure temporaneamente, dagli obblighi che la società ti impone. Se a ciò si aggiunge, come è il caso di Pérez-Reverte, la scrittura come professione, ovvero l'ultima forma di aristocrazia rimasta, l'essere signori di se stessi, il risultato è quello di un esule nel mare della modernità, a disagio nel proprio tempo perché non è il suo, non gli appartiene. Ci convive, ma non lo ama.

In Le barche si perdono a terra c'è una frase rivelatrice, quando l'autore manifesta la propria preferenza per Stendhal rispetto a Flaubert. Non è una gara fra due grandi scrittori, è qualcosa di più sottile e ha a che fare con una visione del mondo. Gli eroi di Stendhal sono eccentrici rispetto all'epoca in cui vivono, sempre in ritardo sul tempo che sarebbe dovuto essere il loro. Vogliono la poesia e la grande impresa quando va di moda la prosa e la routine. Vivono in un universo fantastico e solo a loro comprensibile, imbecilli tanto quanto i flaubertiani Bouvard e Pecuchet, il farmacista Homais e quell'oca di Madame Bovary, ma divinamente imbecilli per ansia di avventura.

L'avventura è l'architrave su cui si regge l'estetica e, se si vuole, l'etica di Pérez-Reverte, e senza mare, senza barche, senza uomini liberi, sarebbe come monca. L'Odissea da un lato, Moby Dick dall'altro, indicano un principio e una fine, la nostalgia e l'ossessione, il ritorno a casa e la caccia senza fine, il senso del limite e la catastrofe in agguato... Gli «eroi stanchi» che animano i suoi romanzi sono tali perché hanno in loro la consapevolezza dell'autore, l'usura delle speranze e delle illusioni, lo sguardo malinconico di chi guardando il futuro non vede altro che il proprio passato. La loro vittoria consiste ormai solo nel resistere, mantenere le posizioni, morire sul posto.

In Le barche si perdono a terra invettive e polemiche hanno una parte non trascurabile. I bersagli sono la sciatteria e la volgarità, la devastazione delle coste e lo sfruttamento dissennato del mare, il frastuono e l'esibizionismo, la cecità della burocrazia, il linguaggio biforcuto della politica senza più onore, la scomparsa di uno stile che per chi ama il mare è al mare connaturato. «L'inesplicabile misantropia, prossima a volte alla crudeltà» di cui parla nell'introduzione al libro Jacinto Antón, che pure fa parte della cerchia degli amici di Pérez-Reverte, a me, che a quella cerchia sono estraneo, appare invece comprensibilissima e si lega al discorso da cui siamo partiti. Il disagio nei confronti del proprio tempo è una ferita sempre aperta e ogni giorno che passa si porta via qualcosa che abbiamo amato. Torneremo in quel porticciolo dove anni prima una semplice locanda ci regalò la felicità e troveremo al suo posto una marina da yacht e un cattivo ristorante superlusso; un approdo solitario diverrà un concentrato di imbarcazioni spetezzanti; un'alba e un tramonto intinti di silenzio verranno rovinati da qualche zumzumzum a tutto volume... Sempre più luoghi, abitudini, consuetudini che furono nostri subiscono l'umiliazione e/o la distruzione del nuovo di massa che avanza e che si impone. Accerchiati, non ci arrendiamo, ma ciò che prima era indifferenza e poi ironico disprezzo, immancabilmente diventa odio. Siamo sempre di meno, siamo sempre più soli, abbiamo sempre meno vie di fuga.

La letteratura è ancora una di queste e in Le barche si perdono a terra il lettore ne troverà quanta ne vuole, da Melville a O'Brien, da Dumas a Conrad, a Stevenson. Avventurosa, avendo il mare a fare da catalizzatore, e insieme metafora di una condizione umana dove sono ancora codici premoderni a fare da spartiacque: la lealtà, l'amicizia, la parola data, il sentimento dell'onore, la sacrosanta vendetta... Al suo fianco c'è la storia, nell'unica dimensione che realmente ci interessi, individuale e fattuale, né economicistica né materiale. Storie di uomini e di imprese, di eroismi e di vigliaccherie. Anche qui il mare, che poi è il Mare nostrum, il Mediterraneo, ha la sua parte più importante, perché non c'è tratto di costa, isola, scoglio che non rimandi a un'epica, un nome, una battaglia, una poesia. Si veleggia cullati dall'onda del Tempo, immersi e persi in un immobile presente. La vita è qui. Tornati a terra ci attende la sua caricatura.