Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Nucleare: la mediazione iraniana

Nucleare: la mediazione iraniana

di Michele Paris - 26/09/2012

 
    

Con il presidente iraniano Ahmadinejad giunto questa settimana a New York per partecipare all’annuale riunione dell’Assemblea Generale dell’ONU, la questione del programma nucleare di Teheran è tornata al centro del dibattito internazionale proprio mentre i protagonisti del negoziato diplomatico stanno lavorando ad un probabile nuovo incontro da tenersi nelle prossime settimane.

Se i vertici della Repubblica Islamica continuano a mostrare chiari segnali di disponibilità al dialogo, le loro controparti, con Washington in testa, non sembrano però realmente interessate al raggiungimento di un accordo, come ha ulteriormente confermato una recente intervista al rappresentante dell’Iran presso l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).

La discussione pubblicata lunedì dall’agenzia di stampa IPS News tra il giornalista investigativo americano, Gareth Porter, e Ali Asghar Soltanieh rappresenta una delle rare occasioni offerte dai media occidentali di prestare attenzione alla versione iraniana su una delle questioni diplomatiche più manipolate e distorte a fini politici degli ultimi anni.

Parlando dell’incontro del 19 settembre scorso a Istanbul tra il capo della diplomazia UE, Catherine Ashton, e il numero uno dei negoziatori iraniani, Saeed Jalili, Soltanieh ha rivelato che il suo paese si è nuovamente offerto di accettare una delle principali richieste dei cosiddetti P5+1 (USA, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania), cioè quella di sospendere il processo di arricchimento dell’uranio al 20%. Questo livello risulta lontano dal 90% considerato necessario per l’impiego dell’uranio a fini bellici, anche se tecnicamente quest’ultima soglia appare facilmente raggiungibile a partire dall’arricchimento al 20%.

Come ci si aspetterebbe in una qualsiasi normale trattativa, la proposta di Teheran presentata nella metropoli turca prevede ovviamente in cambio alcune concessioni, tra cui in primo luogo l’allentamento o la cancellazione delle pesanti sanzioni economiche imposte all’Iran in questi anni.

Come ha sottolineato Gareth Porter, la proposta iraniana era stata più volte riportata dai giornali durante i precedenti incontri ma è stata per la prima volta confermata lunedì da un esponente di alto livello del regime iraniano. Sia a Istanbul a maggio che a Baghdad a giugno, così, i delegati di Teheran avevano prospettato un’interruzione volontaria del ciclo di arricchimento dell’uranio al 20%, ma i P5+1 sono risultati irremovibili sulla contropartita da offrire.

Con Washington in testa, in entrambe le occasioni venne infatti chiesto all’Iran di sottomettersi senza condizioni al volere occidentale. L’arricchimento al 20% andava perciò sospeso incondizionatamente e, solo in un secondo momento, la discussione avrebbe potuto concentrarsi su un graduale allentamento delle sanzioni.

Un secondo punto che rivela la sostanziale malafede dei governi occidentali e, in parte, anche dell’AIEA nelle trattative sul nucleare con l’Iran, si deduce inoltre da un’altra richiesta che Soltanieh sostiene di aver sottoposto a Lady Ashton durante il più recente vertice. Essa riguarda le accuse rivolte a Teheran di avere appunto utilizzato il proprio programma nucleare a fini militari. L’AIEA basa queste accuse su documenti di intelligence di Stati Uniti e di altri paesi, finora mai mostrati ai rappresentanti della Repubblica Islamica che, invece, vorrebbero avere a disposizione, così da poter formulare una risposta adeguata.

L’AIEA, tuttavia, non intende fare concessioni su questo punto e, come sostiene Soltanieh, i suoi emissari nei mesi scorsi sono andati vicini a cedere sulla condivisione dei documenti per poi ritrattare all’ultimo momento. Questo cambio di rotta è avvenuto con ogni probabilità in seguito alle pressioni degli Stati Uniti, forse preoccupati per la possibile pubblicazione di materiale che rivelerebbe come le accuse all’Iran di aver lavorato alla produzione di armi nucleari siano prive di fondamento.

Sull’opportunità di permettere all’Iran di accedere ai documenti di intelligence usati dall’AIEA aveva insistito più volte anche l’ex direttore dell’agenzia, Mohamed ElBaradei, il quale nella sua biografia “L’età dell’inganno” afferma che la mancata condivisione con Teheran di questo materiale equivale ad “accusare una persona senza rivelare quali siano le accuse mossegli contro”.

Infine, Soltanieh ha elencato un’altra più che ragionevole richiesta sottoposta all’AIEA, cioè che le questioni oggetto di negoziati, sulle quali l’Iran ha fornito risposte adeguate, vengano considerate concluse una volta per tutte. L’AIEA, al contrario, intende riservarsi la possibilità di riaprire tali questioni in qualsiasi momento anche se sono già state risolte. Questa facoltà, sostiene legittimamente Soltanieh, potrebbe di fatto comportare il prolungamento all’infinito dell’indagine sul nucleare iraniano.

L’intervista a Soltanieh, in definitiva, sembra confermare il desiderio del regime di Teheran di giungere ad una soluzione negoziata della questione nucleare, anche se l’Iran intende ottenere questo risultato senza soccombere agli inaccettabili diktat occidentali e mantenendo in vita il proprio programma civile, considerato del tutto legittimo in quanto il paese è firmatario del Trattato di Non Proliferazione.

Da un lato, insomma, la Repubblica Islamica vuole liberarsi delle sanzioni che stanno causando gravi danni alla propria economia, mentre dall’altro sente di poter mantenere un certo spazio di manovra, dal momento che il paese appare tutt’altro che isolato, a differenza di quanto sostengono media e governi occidentali. L’Iran, infatti, nonostante gli ostacoli continua ad esportare petrolio anche a paesi vicini a Washington, come l’India, e sul piano diplomatico ha incassato recentemente il sostegno al proprio programma nucleare dei 120 governi facenti parte del Movimento dei Paesi Non Allineati, riunitisi proprio a Teheran a fine agosto.

Toni relativamente concilianti sono stati espressi in questi giorni anche dal presidente Ahmadinejad a New York in varie interviste rilasciate ai media americani. In merito alla questione nucleare, Ahmadinejad ha sostanzialmente attribuito a Israele la responsabilità dell’innalzamento delle tensioni in Medio Oriente delle ultime settimane attorno ad un possibile attacco militare contro Teheran. Allo stesso tempo ha ribadito che il suo paese rimane disponibile a trattare con gli Stati Uniti, anche se le varie amministrazioni americane succedutesi in questi anni hanno perso ogni occasione per migliorare i rapporti con l’Iran.

Ahmadinejad ha poi confermato ancora una volta che il programma nucleare del suo paese ha esclusivamente scopi pacifici, mentre ha respinto le minacce di un’aggressione israeliana, la cui retorica guerrafondaia non sembra preoccupare più di tanto il regime di Teheran.

Da parte statunitense, invece, l’arrivo a New York di Ahmadinejad è stato accolto con l’annuncio di nuove misure punitive. Lunedì, infatti, il Dipartimento del Tesoro ha ufficialmente collegato la compagnia petrolifera di stato iraniana, National Iranian Oil Company (NIOC), ai Guardiani della Rivoluzione.

Dal momento che questi ultimi sono da tempo bersaglio di sanzioni unilaterali USA, la decisione permetterà al governo di Washington di prendere provvedimenti contro quelle banche che continueranno ad intrattenere rapporti d’affari con la NIOC.

La motivazione ufficiale del provvedimento è stata spiegata dalle parole farneticanti del deputato democratico Howard Berman, membro della commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti, secondo il quale “le transazioni petrolifere con la NIOC vanno a rafforzare il ruolo dei Guardiani della Rivoluzione nel programma nucleare militare iraniano e nel sostenere attività terroristiche”.