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La guerra delle parole contro la civiltà siriana

di Alessia Lai - 02/10/2012



 
La Siria resiste all’assalto dei mercenari prezzolati, dei fanatici salafiti, al voltafaccia degli alleati regionali e tutto questo è intollerabile.
I soldi spesi per finanziare questa aggressione mascherata da rivolta, per distruggere i simboli di ciò che la Siria rappresenta, sono tanti.
Iniziano ad essere troppi in mancanza di risultati. Ora provano a colpire i simboli che in Siria rappresentano la cultura e la convivenza: riducono in cenere il suk di Aleppo, gli sgherri delle petromorachie. Ma chi manovra sta lontano, nel luogo per eccellenza privo di storia: sono quelli che hanno spianato Babilonia per far atterrare i cargo che portavano armi e invasori in Iraq, quelli che hanno depredato il museo di Baghdad. Solo per andare a frugare nella storia recentissima. Ora, per interposta persona, cercano di cancellare la storia siriana distruggendo il suo patrimonio culturale millenario e inestimabile. Barbarie che oggi si fa forte di esecutori invasati, corruttori dell’Islam che non possono comprendere quanta grazia ha dato all’umanità la civiltà siriana. Ma Damasco resiste e frammenti di verità riescono ad uscire dai confini delle piccola e forte Siria. Qualcosa arriva a mettere in dubbio la versione fornita da giornalisti più attenti al conto in banca che alla verità.
E per questo, per tutta risposta, l’accerchiamento mediatico diventa ancora più forte. Così la tv satellitare al Arabiya, in prima linea nella costruzione della realtà virtuale siriana, ieri ha parlato di un documento esclusivo col quale si dimostrerebbe che è stato il presidente siriano Bashar al Assad e non l’opposizione ad ordinare l’attentato condotto lo scorso 10 marzo contro il complesso dei servizi segreti siriani di Qazzaz, nel quale sono morte 55 persone. Si tratterebbe di istruzioni precise e sottoscritte da membri dell’intelligence siriana con le quali si suggerisce di “di organizzare le esplosioni di Qazzaz, sacrificando centinaia di cittadini e agenti di basso rango delle forze di sicurezza pur di convincere la comunità internazionale”. Nello stesso giorno, il quotidiano The Times, citando presunti rapporti d’intelligence occidentali, parla di frizioni tra la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei e il capo della forza d’elite al-Quds Qassem Suleimani sull’opportunità di continuare a inviare aiuti alla Siria, visto che finora non hanno portato alla sconfitta dei ribelli. In una sola mossa The Times accusa Teheran di fornire armi e denari ad Assad e paventa un cambio di fronte.
Da un lato conferma ai consumatori d’informazione i finanziamenti iraniani alla Siria, dall’altro insinua nei siriani stessi il dubbio che Teheran sia pronta a un cambio di fronte. In pochi riusciranno a distinguere tra insinuazioni e notizie, tutto finisce in un calderone nel quale prevale il sapore più forte, quello veicolato dai media mainstream. Le certezze vengono da altre parti, e dimostrano ancora una volta che la Siria è il fronte più avanzato di uno scontro tutto interno al Vicino e Medio Oriente alimentato dalle potenze occidentali: il governo saudita ha informato ieri quello egiziano di non voler partecipare alla riunioni del Gruppo di contatto sulla Siria, composto da Egitto, Iran, Turchia e Arabia Saudita, per la presenza dei rappresentanti iraniani. Fonti diplomatiche egiziane hanno riferito al quotidiano quwaitiano al Rai al Amm, che “Riad non è soddisfatta dell’iniziativa promossa dal presidente egiziano Mohammed Morsi di dare vita ad un quartetto, per via della presenza dell’Iran. Per questo all’ultima riunione, che si tenuta la scorsa settimana a Il Cairo, era assente un rappresentante saudita”. Nel frattempo i sauditi collaborano attivamente con l’ex alleato di Damasco, oggi grande accusatore, Erdoğan, annunciando la costruzione di un campo per i profughi siriani in Turchia vicino al confine, nella provincia di Kilis. L’ipotesi che si tratterà in realtà di un campo d’addestramento per miliziani non è purtroppo campata per aria. Il ruolo delle monarchie arabe nel conflitto siriano è oramai riconosciuto, ma abitualmente viene derubricato a un particolare del quadro generale. In realtà il ruolo dei Paesi del Golfo, sunniti salafiti, alleati di Washington, è di primo piano. Il governo yemenita ne sa qualcosa, visto che avrebbe respinto di recente l’offerta di acquistare armi al posto loro da inviare ai ribelli siriani. Il giornale yemenita al Oula, citando fonti del governo di Sana’a, ha infatti rivelato ieri di una proposta proveniente delle autorità dei paesi del Golfo, di acquistare per conto loro nuove armi provenienti dalla Russia da far arrivare ai gruppi che operano in Siria.