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Decrescita e pienezza di vita

di Paolo Bartolini - 31/10/2012



La decrescita suscita - forse per un’ambiguità connaturata al termine stesso, sempre bisognoso di aggettivi che ne precisino il senso (decrescita guidata, decrescita felice, decrescita serena e conviviale, ecc.) - frequenti incomprensioni da parte dell’opinione pubblica. Eppure, oggi più che mai, sarebbe necessario cogliere il messaggio profondo che la teoria decrescista lancia al mondo globalizzato e, in particolare, al continente europeo.  Il problema, a ben vedere, è quello di uno slogan che si definisce in negativo, difficile da associare spontaneamente ad un miglioramento di vita. Parlare di civiltà del limite e della misura ci sembra un modo più efficace per esprimere, con un’immagine, la società che vorremmo, una società centrata sulla persona e sulle relazioni umane, dunque liberata dal comandamento della crescita infinita degli scambi di mercato e del prodotto interno lordo. Per andare in questa direzione il concetto di decrescita, paradossalmente, può esserci in parte d’aiuto, in parte d’inciampo.
E questo perché, almeno entro certi limiti (ecco il limite che torna nei suoi risvolti più salutari), ciò che “cresce” è stato, per gli uomini di ogni tempo, qualcosa di radicalmente positivo, simbolo di ricchezza di vita.
Ecco quindi che salta all’occhio un’interessante affinità, tutta da sviluppare, tra la teoria della decrescita e le intuizioni millenarie della filosofia antica e di molte religioni.
Coniugare il senso del limite con la pienezza di vita, la rinuncia consapevole con il ben-vivir, tutto questo è prioritario e può essere compreso subito anche da larghe masse di individui, le stesse che – non ci stupisce affatto – hanno abbandonato le utopie politiche degli ultimi due secoli, ma coltivano ancora una fiducia profonda nei cammini sapienziali che consolano l’anima e offrono subito, qui ed ora, vie praticabili di liberazione dalle catene del nonsenso confezionato per noi dal capitalismo globale e dai suoi sacerdoti.
Riflettevo su questi temi leggendo un bel libro del noto biblista Alberto Maggi, intitolato “Parabole come pietre” (Cittadella Editore, 2009).
Nell’illustrare il significato della parabola del seminatore (Mc 4,1-20) l’autore si sofferma sul potere del denaro, che impedisce all’uomo di accogliere la parola di Cristo (dunque di Dio), così come il terreno infestato dai rovi e dalle erbacce soffoca il germoglio nascente.
Maggi dichiara: “Con queste immagini Gesù avverte delle nefaste conseguenze alle quali vanno incontro quanti vedono nell’ottenimento della ricchezza l’unica soluzione ai loro problemi esistenziali. La ricchezza non soddisfa mai l’uomo, ma al contrario suscita in lui nuovi desideri ed esigenze che lo fanno continuamente sentire in preoccupazioni economiche, in un circolo vizioso che non avrà mai fine” (pag.22).
Ma si noti infine che, quando il seme gettato dal seminatore cade nella terra buona, esso dà frutto “producendo trenta per uno, sessanta per uno, cento per uno”. Ecco dunque che Maggi può aggiungere: “Il terreno ideale per la crescita del seme è quello con la terra buona, senza ostacoli (rocce, rovi) che impediscano lo sviluppo della pianta. In questa terra il frutto è assicurato e la crescita progressiva e continua (trenta…sessanta…cento) realizza l’uomo portandolo al massimo del suo sviluppo” (pag.23).
La pienezza di vita è, da sempre, un potenziamento delle nostre possibilità umane, una crescita psicologica e spirituale innanzitutto. La questione, quindi, è se questa crescita sia realizzabile in una società dell’accumulazione economica, o se invece tra le due vi sia ormai una definitiva incompatibilità.
In questa prospettiva parlare di decrescita quantitativa è inscindibile rispetto alla promozione di una crescita qualitativa opposta e complementare.
Noi vogliamo che crescano i beni relazionali, la cura dei bambini e degli anziani, i consumi intelligenti, l’estensione delle aree verdi, i diritti del lavoro, delle donne, di tutti i cittadini.
La misura che dobbiamo promuovere è dunque il punto di incontro tra la decrescita dell’economia di mercato e lo sviluppo pacifico del potenziale umano.
Tutto questo in nome di un Equilibrio da ritrovare e difendere, prima che la psiche individuale e collettiva precipiti definitivamente nella follia della guerra di tutti contro tutti.