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Obama reloaded, vittoria genuina oppure teatro totale?

di Roberto Quaglia - 21/11/2012

Fonte: Roberto.info



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Chiamatemi matto, ma io non riesco proprio più a crederci. È come quando guardi un film, che fai finta che quello che succede sullo schermo sia vero, altrimenti non te lo riesci a godere. Un film è brutto quando non è più in grado di convincerti che quello che succede potrebbe essere vero. Quando il processo di “sospensione dell’incredulità” non è più possibile. Il giudizio è del tutto soggettivo, e guardando certi b-movies di rara inverosimiglianza c’è gente che tuttavia ci crede, si appassiona e si commuove mentre altri li vedono con altro occhio e si sbellicano di risate oppure si annoiano.

Quindi chiamatemi pure matto, ma al teatrino delle elezioni americane io non riesco più a crederci. Ma nemmeno un po’. Sì, lo so cosa pensate, e chi ci crede più mai del tutto? Il problema non sta in quel “tutto” che ormai ha perso ampie quote di pubblico, il problema sta in quel “poco” in cui comunemente ancora si crede.

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Guardando fra i commenti dei miei contatti facebook direi che si possa ragionevolmente dividere il pubblico di questo spettacolo in creduloni, credulini, scetticini e quasi nessuno scettico.

I creduloni sono quelli che si bevono la messinscena tutta d’un fiato, si cullano nell’appagante credenza che gli Stati Uniti siano una “grande nazione democratica” e si rallegrano a dismisura della vittoria di Obama il Salvifico. Curiosamente, ma non troppo, nessuno fra i miei oltre 1000 contatti facebook si è rammaricato della sconfitta di Romney.

I credulini sono quelli che si sono resi conto che il gioco è viziato, che in realtà chiunque avesse vinto il vero vincitore sarebbe comunque stato il mondo torbido delle banche d’affari di Wall Street ed il complesso militar-industriale che hanno finanziato entrambi i candidati e che quindi li controllano, pur tuttavia si rallegrano anch’essi a dismisura della vittoria di Obama il Meno Peggio. Molti di costoro si rendono perfettamente conto delle orribili cose compiute da Obama nei quattro anni già passati alla presidenza, ma sono consapevoli che Romney avrebbe fatto assai di peggio. Quindi viva Obama, nella loro mente tornato miracolosamente virtuoso nel paragone con l’orribile alternativa che avrebbe potuto toccarci (anche se non siamo americani, la politica americana è pure cosa nostra, visto che sue conseguenze si riflettono anche sulle nostre vite – in effetti non si capisce bene perché i cittadini dell’intero occidente non abbiano il diritto di voto alle presidenziali americane).

Gli scetticini (come Massimo Fini, che ha scritto un ottimo articoletto sulle elezioni americane) sono quelli che si sono resi conto che la democrazia americana è ormai solo un mito, i due candidati sono soltanto due pupazzi e che chiunque avesse vinto, la politica americana seguente sarebbe stata esattamente la stessa. Per questo non si rallegrano della vittoria di Obama, oppure se ne rallegrano in misura minimale proprio perché Romney fa intimamente davvero angoscia ed al cuore non si comanda. Tuttavia, essi credono ancora qualcosa – e ciò fa di essi degli scettici imperfetti – e cioè che ci siano state delle elezioni e che Obama le abbia vinte.

Gli scettici sono quelli che hanno iniziato a dubitare anche di questo ultimo apparente dato di fatto, che iniziano a considerarlo come l’eventuale ennesima (l’ultima?) artefatta illusione destinata a dissolversi come già tante altre. Gli scettici sono quelli che ormai non riescono più neanche a dirsi del tutto sicuri che in America ci sia stata una vera e propria elezione. Quelli che non riescono a dribblare il sospetto che tutto, proprio tutto in questo processo abbia seguito quello che appare come un visibile copione. Essi si considerano scettici, altri probabilmente li considerano paranoici, o “complottisti” – la parola magica con cui oggi si scacciano dalla propria mente i fantasmi e le ansie generate dagli eretici contemporanei. Ma attenzione: l’autentico scettico non dichiara: “sono sicuro che sia tutta solo una messiscena!”. Il vero scettico piuttosto afferma: “non posso dirmi sicuro che non sia tutta una messinscena” – che è ben altra cosa. Ovvero, c’è qualcosa nella realtà che mi viene presentata che non mi convince più del tutto, e quindi sono costretto a dubitarne. Il quadro complessivo ha un qualcosa di talmente stonato che non lo si riesce più a prendere completamente sul serio. Balzare alle convinzioni opposte (“è solo una messinscena!”) è un errore intellettuale frequente, frutto dell’abitudine ad un sistema di pensiero dualistico, per non dire manicheo. Ma ignorare il dubbio non si deve, se si ha la forza di una certa onestà intellettuale.

Ragioniamo un po’. A parte i creduloni più naif, nessun individuo pensante in realtà più crede alla effettività della democrazia americana, alla rappresentazione disneyana che ne viene comunemente data dai mass media. Si dice che in teoria chiunque là possa diventare presidente, ma si sa che in pratica gli unici due soggetti politici effettivi sono i democratici e i repubblicani, i cui candidati alla presidenza sono finanziati da quelle medesime potenze economiche (banche, multinazionali, complesso militar-industriale) che poi ne decreteranno più o meno in toto le scelte politiche. Ormai si sa benissimo che a governare negli Stati Uniti non sono i presidenti, ma le forze economiche ad essi retrostanti, che sono più o meno esattamente le stesse per entrambi gli schieramenti. Se il presidente-burattino appena appena devia dal copione gli capita minimo minimo uno scandalo Lewinsky tra i piedi (d’altra parte a Clinton la Lewinsky deve essersi bene accucciata proprio fra i piedi) e per sgarri più grandi piuttosto che la Lewinsky ti mandano un Oswald. Il meccanismo è perfettamente oliato e funzionante. Con l’eccezione di un’unica variabile lasciata al caso: il testa o croce delle elezioni che ogni quattro anni decreta quale sia il pupazzo che intratterrà il pubblico nel giro di giostra successivo. Il testa o croce che decreterà se ad accedere alla pubblica mangiatoia è di volta in volta il turno dell’apparato democratico o di quello repubblicano. Già, proprio di testa o croce si tratta, visto che ormai le elezioni si giocano tutte sul filo di lana ed una manciata di voci cambia l’esito di un’elezione. E difatti, guardando alla storia, vediamo che democratici e repubblicani hanno regnato più o meno in eguale misura. Da Clinton in poi, addirittura con perfetta e simmetrica divisione del trono, con scambio regolare dei rispettivi ruoli ogni otto anni. La domanda che sorge spontanea a questo punto è: visto che i fatti dimostrano come i due contendenti ormai si siano divisi la torta esattamente a metà, che bisogno c’è ancora di votare? Pragmaticamente parlando, le elezioni sono solo un fastidio, un elemento di aleatorietà che non giova ad una programmazione di lungo termine, alle agende decennali o pluridecennali messe a punto nei circoli nascosti del vero potere, dove ovviamente non si limita la pianificazione delle strategie di un impero in crisi ai striminziti piani quadriennali dei cicli presidenziali. È vero che chiunque vinca, la politica degli Stati Uniti non muta, tuttavia qualsiasi imprevisto cambio di apparato, ancorché meramente cosmetico, è tuttavia un inutile stress, qualche granello di sabbia nel meccanismo di un’agenda  politica  preparata con grandissima cura. Non sarebbe meglio fare a meno di questo fastidio? Visto che il rito delle elezioni è tuttavia ancora indispensabile per tenere vivo il mito della democrazia, anzi, esso serve ormai soltanto a questo, perché non agire coerentemente di conseguenza rimovendone l’inutile aleatorietà all’utile scopo di ottimizzarne l’efficacia per la platea più vasta del mondo intero su cui si ha influenza?

Questo spiegherebbe come mai per lo meno dal 2000 in poi la storia delle elezioni in USA ha assunto i caratteri di uno sceneggiato televisivo di assoluta prevedibilità. Guardando bene si vede come a turno, democratici e repubblicani abbiano eccelso sì l’uno nell’arte di vincere, ma l’altro nell’arte di perdere – la quale cosa dovrebbe iniziare a destarci qualche sospetto. Nel 2000 il democratico Al Gore decise di avere perso, nonostante egli avesse preso più voti di Bush ed avrebbe potuto reclamare la presidenza semplicemente impuntandosi sul riconteggio manuale dei voti in Florida, dove ci erano stati evidenti brogli a suo svantaggio. Nel 2004 di nuovo i democratici fecero di tutto per perdere con John Kerry, candidato debole, debolissimo, che anche di fronte a clamorosi e comprovati brogli che favorirono Bush “ammise la sconfitta” anziché esigere un riconteggio dei voti in Ohio che con tutta probabilità gli avrebbe garantito la Casa Bianca. Nel 2008 fu turno dei repubblicani a fare di tutto per perdere candidando John McCain, malaticcio veterano di guerra pluri-operato al cuore il quale prometteva più guerre ancora dell’ormai globalmente odiatissimo Bush (bomb, bomb, bomb Iran! – canticchiava in pubblico) mentre su Obama si consumava la più straordinaria e geniale opera di creazione di eroe salvifico mai vista. Nel 2012, per sfidare un Obama con sempre meno consenso fra gli elettori che egli ha tradito (più guerre anziché pace, aumento del 13% del budget del Pentagono, un ammasso di denaro nell’ordine del prodotto nazionale lordo statunitense regalato alle banche di Wall Street, licenza di uccidere cittadini americani senza processo, ulteriore riduzione dei diritti civili fondamentali) i repubblicani non riescono a trovare di meglio che l’alquanto impresentabile Mitt Romney, un ricco elusore fiscale che subito si distingue per i suoi strali contro i poveri, e tra una gaffe e l’altra minaccia nientemeno che Cina e Russia, in prospettiva teatri di guerra leggermente più impegnativi di quelli che i fans di Obama hanno imparato ad accettare di buon grado.

romney-obama-sumoDa questo momento in poi la corsa presidenziale assume i tratti degli stessi esatti stereotipi che riempiono così tanti film di Hollywood. Non passa giorno senza che escano sui mass media informazioni che fanno rabbrividire tutto il mondo al solo pensiero di doversi cuccare Romney come prossimo presidente degli Stati Uniti. Viene così per contrasto ristrutturata e rinnovata l’immagine del deludente/traditore Obama, restituendogli quel mistico ruolo salvifico che gli guadagnò la prima elezione (ed il primo premio Nobel). Obama eletto la prima volta per salvarci da Bush, e la seconda volta per salvarci da Romney.

obama-delusoMa come in qualsiasi produzione hollywoodiana il Buono deve attraversare una fase di difficoltà in cui pare debba soccombere, ed allora ecco il “Buono” Obama andare al primo confronto pubblico televisivo con Romney e prendersi metaforicamente una saccata di botte, uscendone mesto, pesto e sconfitto – pathos e sconforto avvolgono quindi subito il pubblico di gran parte del mondo, messo di fronte all’improvvisa concreta probabilità di una vittoria del “Cattivo” Romney. Nei telegiornali di tutto il globo Obama viene mostrato sulle televisione di tutto il mondo con l’espressione trista della sconfitta sul volto, e come in una certa fase di così tanti film d’azione la vittoria del Buono sembra un obiettivo irraggiungibile. Ma nel successivo confronto ecco la rivincita del Buono che, sfoderando gli artigli, restituisce la pariglia al Cattivo con gli interessi.

Quando infine Obama vince, l’irrazionale gioia e tripudio del pubblico internazionale è incontenibile. In effetti, se negli Stati Uniti il pubblico era diviso tra Obama e Romney, il resto del mondo appare in buona misura schierato a favore di Obama, non fosse altro che perché non promette le guerre che poi comunque farà. Mai come prima lo spettacolo elettorale americano appare come un grande show destinato a vendere il marchio della “grande democrazia americana” alla platea del mondo intero – prima ancora che al pubblico interno.

Devo ammettere che ho più o meno creduto anch’io come tutti a questa narrazione senza farmi troppe domande, fino a quando la narrazione non mi è apparsa per quello che è difficile negare che sia: innanzitutto una narrazione. Che per coincidenza ricalca gli stereotipi di troppi produzioni hollywoodiane già viste. Questo significa che la narrazione è falsa? No, ripeto che saltare subito a conclusioni opposte alle proprie credenze incrinate non è una cosa intelligente da fare. Però una “zoomatina” su alcuni fatti che dovrebbero dare da riflettere ce la possiamo concedere, e poi eventualmente trarremo le nostre conclusioni.

 

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Primo fatto: Se i repubblicani avessero davvero voluto vincere queste elezioni sarebbe loro bastato candidare Ron Paul.

Percepito in America come “il candidato del popolo di Internet” (un po’ come Grillo da noi, anche se Ron Paul per moltissimi versi è agli antipodi di Grillo) Ron Paul avrebbe con tutta probabilità fatto il botto.

Ma non essendo egli apparentemente il burattino che gli altri sono, è stato grandemente marginalizzato e oscurato (anche e soprattutto dai network televisivi durante le primarie).

Secondo fatto: Se Romney avesse davvero voluto vincere, avrebbe avuto un’arma fenomenale a disposizione. Il certificato di nascita falso di Obama, pubblicato in bella e sfacciata vista sul sito ufficiale della Casa Bianca sin da aprile 2011. Se non ci credete, cliccate qui per scaricarne il PDF direttamente dal sito della Casa Bianca ed apritelo con Adobe Illustrator. Vi saranno così visibili i “layer” della contraffazione e se non ci capite nulla chiedete il parere di un informatico (meglio due o tre per non correre rischi, alcuni di quelli che spopolano sul web tirandosela da genio o non capiscono un cazzo o vi prenderebbe soltanto per il culo). Scrissi già in dettaglio di questa curiosa faccenda un anno e mezzo fa e chi voglia approfondire qui può leggersi tutto il mio articolo di allora. Vi è da anni una polemica in America sull’esatto luogo di nascita di Obama, poiché se non fosse nato su territorio americano non avrebbe diritto a diventare presidente. Dopo anni di rifiuti, finalmente Obama accettò di pubblicare sul sito della Casa Bianca il suo certificato di nascita. Falso. Gli americani non avrebbero mai perdonato ad un presidente una cosa del genere. Anche soltanto lo scandalo e la polemica sarebbero stati sufficienti a spostare i voti necessari verso il candidato repubblicano. Giocandosi quella carta nel modo e nel momento più opportuno, Romney avrebbe avuto la quasi-certezza matematica di vincere. E se di quel certificato falso ne siamo a conoscenza noi sui nostri umili blog da un anno e mezzo, state pur certi che sa tutto anche Romney. In un mondo che certo non bada a lesinare colpi bassi, Romney ha evitato di calare il suo asso vincente, ne consegue logicamente che la sua intenzione di vincere era soggetta a dei limiti. Punto e basta. Il repubblicano Donald Trump aveva a suo tempo blandamente suggerito che se ne verificasse l’autenticità, quando esso era stato reso pubblico, ma in seguito evitò di tornare sull’argomento. Qualcuno gli diede un consiglio che egli non poté rifiutare? Soffermarci sulle ragioni per cui quel certificato falso è stato effettuato, è stato confezionato così male, è stato pubblicato e mai rimosso dal sito della Casa Bianca ci porterebbe troppo lontano dal nostro tema.

Terzo fatto: Gran parte dei voti delle elezioni americane sono effettuati con macchine elettroniche ritenute generalmente non affidabili. È ormai assodato e ben documentato che nelle elezioni passate si verificarono proprio per questo brogli notevoli. Come già disse a suo tempo “baffone” Stalin: “Chi vota, non decide niente. Chi conta i voti decide tutto.” Ed oggi i voti vengono contati da un sistema informatico nel quale in moltissimi in America non hanno alcuna fiducia. Il Wall Street Journal ha pure pubblicato un articolo dal titolo “Questa elezione verrà rubata?” rammentando pure la lunga tradizione americana nell’effettuare brogli. Se a fare il “complottista” ora ci si mette anche il Wall Street Journal, capirete come siamo messi male.

Sul chi eventualmente controlli queste macchine ne sappiamo poco – così come non sappiamo nulla di chi e come esattamente sia in grado di manipolarle. Ma sappiamo che alcuni dei risultati elettorali sono incompatibili con un processo di votazione pulito. È già saltato fuori che nell’Ohio – uno degli stati dove si sono decise le elezioni – ci sarebbero un centinaio di distretti o circoscrizioni elettorali dove Obama ha preso il 100% dei voti e Romney praticamente nessuno, una cosa impossibile anche nelle più rigide dittature. Come ciliegina sulla torta calza alla perfezione la notizia che i governatori di Texas, Iowa ed Ohio hanno vietato agli osservatori internazionali dell’OCSE di effettuare controlli nella regolarità nello svolgimento delle elezioni, giungendo a minacciare di arrestarli se si avvicinano a meno di trenta metri dai seggi. Se una cose del giorno fosse mai accaduta in Russia – levati cielo! Ma trattandosi degli USA, per i pennivendoli nostrani questa non è una notizia significativa.

Se quindi non facciamo parte dei creduloni più ingenui ed accettiamo l’idea ormai diffusa che la democrazia in America (e non solo in America) si sia ridotta ad una farsa, a pura teatralità ornata di mantra di vuota retorica democraticheggiante, dobbiamo anche prendere in considerazione l’idea che il sistema di votazione elettronico possa probabilmente venire utilizzato per indirizzare la farsa di volta in volta nella direzione più opportuna. Tutte le recenti elezioni si sono svolte sul filo di lana di un paio di punti percentuali di differenza al massimo, ed alcune si sono addirittura decise per una manciata di voti. In altre parole una sorta di sistematico testa o croce, un’aleatorietà che stona con l’impostazione solidamente pragmatica delle elite statunitensi. O decidiamo una volta per tutte che la politica americana è limpidamente quella che sembra e che non ci sono burattinai invisibili, oppure dobbiamo valutare la probabilità che anche l’elemento di casualità costituito dalle elezioni possa essere stato ormai irregimentato nell’ottica di una maggiore efficienza funzionale. Statisticamente, democratici e repubblicani hanno regnato a fasi alterne più o meno in ugual misura, ma da Clinton in poi si danno il cambio esattamente dopo otto anni a testa. Ragioni politiche potrebbero ragionevolmente spiegare questa precisione del voto popolare nel regolare l’alternanza, ma la stonatura in qualsiasi ragionamento in merito è introdotta dal testa a testa sul filo di lana dei candidati in quasi tutte le elezioni, la quale introduce un elemento di casualità nell’esito che poi dovrebbe coerentemente trovare riscontro nella sequenza degli esiti stessi – il che non accade.

Insomma, il testa o croce ha prodotto negli ultimi vent’anni una sequenza di risultati che di aleatorio ha ben poco. Se consideriamo “testa” i democratici e “croce” i repubblicani, dal 1992 ad oggi abbiano la sequenza: testa-testa-croce-croce-testa-testa. Sono d’accordo che sia un un po’ brevina come serie per trarre qualsiasi giudizio di una certa serietà, tuttavia provate voi a lanciare una moneta per aria ed ottenere questa stessa sequenza! Non sto dicendo così per dire – provate, provate a lanciare la monetina…

Questa precisione è frutto del mero caso o di un progetto sovraordinato? Il fatto che a ciò non abbiamo ovviamente alcuna risposta certa non significa che si debba necessariamente ignorare la domanda.

Mi astengo dal credere  davvero che tutti questi sospetti siano fondati e che la falsità di ciò che avviene sulle scene arrivi già a tanto – non c’è alcuna prova, solo qualche notevole indizio che ad alcuni non parrà neppure tale. E a me non piace a credere a nulla che non mi appaia inoppugnabile. Però in un’epoca in cui la realtà del mondo viene sistematicamente presentata in modo distorto e mendace ai nostri occhi, porsi anche i dubbi più clamorosi non è solo lecito, ma anche doveroso. Se nessuno si fosse mai posto domande “impensabili” sui fatti dell’11 settembre, saremmo tutti ancora qui a credere alla favoletta della versione ufficiale di “September 11” (oops, dimenticavo che in molti ancora ci credono! Forse d’ora in poi dovrei far precedere tutto ciò che scrivo da uno “spoiler alert”…). Si consideri quindi per ora questo pezzo una provocazione o poco di più. Oppure un’anticipazione fantapolitica di come potrebbe veramente evolversi la liturgia democratica in un futuro più o meno prossimo. Senza però mai perdere di vista il fatto che le cose invece potrebbero veramente stare così. Sono oggi sempre di più gli americani, dei quali nostri media non parlano volentieri, che forse anche per questo hanno avviato petizioni per una secessione dagli Stati Uniti – il Texas in testa.

Ora Obama intratterrà il credulo pubblico terrestroide per altri quattro anni mentre gli Stati Uniti faranno esattamente le stesse cose che avrebbero fatto se avesse vinto Romney. “Il meglio deve ancora venire” ha dichiarato Obama subito dopo la vittoria, e già il pur tripudiante pubblico tende istintivamente a mettersi le mani sui coglioni. Adesso Obama eventualmente vincerà un altro premio Nobel, magari per l’economia. Dopotutto, d’accordo con la Federal Reserve non ha egli forse creato dal nulla alcuni trilioni di dollari, che sono stati più o meno regalati alle banche addebitandoli ai cittadini? Mi sembra un motivo non meno valido di quelli che già gli valsero il Nobel per la Pace. Soprattutto perché anche questo sarà un premio Nobel preventivo – nella fiduciosa e cieca attesa che Obama ora quanto prima inventi dal nulla altrettanti trilioni di dollari da distribuire stavolta ai cittadini, così che tutti possano liberarsi dei loro debiti, permettersi delle vacanze, rilanciare i consumi e vivere felici e contenti. Comunque sia, the show must go on, almeno finché il baraccone non si sfascia. Se tanto mi da tanto il prossimo presidente sarà probabilmente repubblicano, sarà cattivissimo, ma vincerà eventualmente il premio Nobel per la Medicina per essere riuscito a convincere tutti gli individui del mondo a vaccinarsi contro le fantastiche nuove forma di influenza o piaghe nuove di zecca che saranno magicamente apparse sino ad allora.[1]


Roberto Quaglia
Novembre 2012


 

[1] A questo proposito, per iniziare ad entrare nell’ottica più idonea, può giovare la lettura di un nuovissimo romanzo inglese di alternate history pubblicato proprio in questi giorni ad opera di un maestro del genere.



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Fonte: http://www.roberto.info/2012/11/18/obama-reloaded/.