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L'Iran paga dazio per il supporto cinese

di Richard Javad Heydarian - 03/12/2012

   
   

Durante la rivoluzione iraniana del 1979, il principale urlo di battaglia degli oppositori del regime dei Pahlavi era un fiero coro nazionalistico ”Né est né Ovest, c’è solo la Repubblica islamica”. E’ una rivendicazione chiara ed inequivocabile di auto-determinazione e di indipendenza nazionale, che incarna uno dei principi fondanti delle Repubblica Islamica dell’Iran (IRI).

Fin dagli inizi, l’IRI si è fondata sui fiorenti rapporti con le potenze dell’Est e con i paesi non-allineati, col fine di assicurarsi un certo benessere interno ed un ruolo internazionale. Questa inclinazione della politica estera iraniana, la cosiddetta “politica che guarda ad Est”, ha subito un’accelerazione nell’ultima decade circa.

Ci sono due principali ragioni per ciò: 1) il crescente allontanamento fra Iran ed Occidente dovuto alle tensioni in merito al programma nucleare di Teheran. 2) il graduale ma crescente slittamento dei poli di potere nel mondo, in particolare verso le potenze asiatiche emergenti.

Di conseguenza, l’Iran ha assistito ad un aumento massiccio dei suoi legami diplomatici ed economici con potenze emergenti come il Brasile, la Turchia e l’India. Tuttavia, è la Cina- con la sua statura mondiale ed il vasto apparato di risorse tecnologiche, finanziarie e militari- a configurarsi come il principale partner esterno dell’Iran.

La crescente centralità della Cina per l’Iran è aumentata in particolar modo durante la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad (2005-2013). Dal 2007 in poi la Cina è diventata il maggior partner commerciale dell’Iran.

Il Presidente Ahmadinejad, riconoscendo l’aumento d’importanza di Pechino nella politica internazionale e la sua crescente dipendenza dalle importazioni di idrocarburi per nutrire la sua galoppante economia -specialmente agli inizi del suo mandato- ha sfruttato l’opportunità perfetta per contenere gli effetti negativi della politica di opposizione all’Occidente entrando nell’orbita cinese. Tutto ciò è in contrasto con le precedenti amministrazioni di Seyyed Mohammad Khatami ed Akbar Hashemi Rafsanjani, che hanno dato al priorità a rivitalizzare i legami con l’Europa industriale.

Nelle ultime decadi, l’Iran ha astutamente approfittato dell’interesse cinese ad assicurarsi una fornitura vantaggiosa di energia costruire un contrappeso strategico all’egemonia degli Stati Uniti nel Golfo Persico. Per Pechino, l’Iran fa perfettamente al caso suo, siccome è sia un grande produttore mondiale di energia, sia una potenza mediorientale revisionista di primaria importanza. In questo senso, la cooperazione sino-iraniana è stata fondata su una convergenza quasi perfetta di interessi bilaterali, puntellandosi su un periodo di boom economico, di investimenti, e relazioni politico-militari, negli ultimi anni.

Tuttavia, negli ultimi mesi, le due nazioni hanno sperimentato un periodo di raffreddamento dei rapporti, muovendosi in due differenti direzioni strategiche. L’Iran sta combattendo per far fronte alle debilitanti sanzioni occidentali evitando lo scontro diretto con l’Ovest, mentre la Cina è alle prese con la flessione economica,  con le crescenti tensioni relative alle acque di confine e con la crescente inquietudine sociale dovuta alla transizione da una leadership all’altra.

L’idea di un’alleanza sino-iraniana per contrastare l’egemonia occidentale ha, in qualche modo, perso mordente ed il suo appeal iniziale, negli angoli più remoti dell’Asia.

Questo può spiegare come mai un Iran sempre più frustrato mostra serio interesse nel riallacciare i rapporti con l’Occidente, anche con gli USA, in modo da contenere l’impatto della crisi nucleare. Forse Teheran sta iniziando a riconoscere la crescente fragilità della sua politica “che guarda ad oriente”.

La coppia perfetta

L’Iran e la Cina sono spesso presentati come alleati naturali, ed alcuni commentatori occidentali hanno addirittura suggerito che le due nazioni -insieme alla Russia – sono i pilastri dell’asse globale anti-occidentale. Anche il Gabinetto della difesa statunitense ha fatto sua questa idea, come è chiaramente esposto nella US Defense Strategic Review  del 2012, dove l’Iran e la Cina sono identificate, nello specifico, come principali concorrenti dell’America nell’accaparramento della leadership mondiale del XXI secolo.

Ideologicamente, entrambe sono potenze revisioniste che hanno sempre deriso -e tentato di minare- un ordine mondiale guidato dagli USA, in due delle più importanti regioni del mondo: precisamente, il Golfo Persico(dove quasi un terzo del petrolio mondiale transita via mare) ed il bacino del Pacifico (il nuovo centro di gravità mondiale della geo-politica e dell’economia).

Inoltre, entrambe stanno affrontando le stesse sfide nelle rispettive regioni. Mentre l’Iran è occupato a difendere il suo programma nucleare ed a ribadire le sue pretese territoriali sul Golfo Persico contro una coalizione di monarchie guidate dall’America, la Cina sta intraprendendo una guerra d’attrito per cercare di difendere i suoi territori nel Mar cinese meridionale e nel Mar cinese orientale intorno all’avamposto americano- Giappone, Filippine ed Australia, con i quali ha sottoscritto trattati d’alleanza- nel Pacifico Occidentale. In questo senso, i due stati si sono trovati circondati da una “corona di perle”, composta dagli alleati regionali dell’America.

Più di ogni altra cosa è stato il profilo economico perfettamente complementare dei due paesi a rendere auspicabile una partnership Sino-iraniana. Stando seduto sulle riserve più grandi di petrolio (la 4° più grande al mondo) e gas naturale (la seconda del mondo), l’Iran è una perfetta preda per gli appetiti energetici cinesi.

La grande “corsa alla Persia” dei cinesi si fonda sul colossale South Pars Complex iraniano, dove la più grande riserva mondiale di gas naturale si è conservata praticamente intatta. Con una limitata capacità tecnologica e di capitali, l’Iran si è affidato alle imprese energetiche europee ed asiatiche per sfruttare le sue riserve. Tuttavia, negli ultimi anni vi è stato un grande disinvestimento da parte delle compagnie europee dovuto alle crescenti tensioni relative al programma nucleare iraniano, rendendo Teheran ancora più dipendente dalla Cina, che sta sperimentando un rapido avanzamento tecnologico. Beijing è stata attiva anche nel settore delle infrastrutture, relativamente sofisticate, dell’Iran, con imprese cinesi che hanno spesso monopolizzato progetti edili e di trasporti, in luoghi come Teheran, la seconda città più grande del Medio Oriente. Avendo adocchiato l’ampia classe di consumatori iraniana, i produttori cinesi hanno tratto vantaggio dalle condizioni commerciali relativamente elastiche della amministrazione, fondamentalmente populista, di Ahmadinejad che ha creato le condizioni per un periodo di valuta forte e tassi tariffari molto bassi.

Di conseguenza, il volume degli scambi bilaterali ha registrato un aumento esponenziale negli ultimi anni, aggirandosi intorno ai 330 miliardi di dollari, mentre si dice che gli investimenti cinesi in Iran si stimino fra i 40 ed i 100 miliardi di dollari.

Ma la Cina, fondamentalmente, è servita da fonte di tecnologia militare e civile avanzata per l’Iran. Negli anni ’90, la Cina ha assistito l’Iran nella costruzione di un impianto di ricerca sul nucleare ad Isfahan. Negli anni 2000, la Cina ha fornito all’Iran la tecnologia, l’addestramento ed il know-how necessari nel campo della balistica e della tecnologia satellitare, colonna del sistema di deterrenza non-nucleare iraniano.

Agli occhi della dirigenza iraniana, la corsa a rotta di collo della Cina alla crescita tecnologica ed economica l’ha resa un’alternativa sempre più plausibile alle nazioni occidentali, che sono servite da agenti modernizzatori per gran parte della storia recente dell’Iran. Questo spiega parzialmente la fiducia che l’Iran ripone nella sostenibilità della sua posizione conflittuale sul nucleare e nella sua postura sprezzante nei confronti dell’Occidente, specialmente sotto la guida di Ahmadinejad. Nelle stime di Teheran, il costo della sfida all’Occidente può essere perfettamente ammortizzato grazie ad una relazione intensa con potenze emergenti come la Cina. Gli iraniani sono stati anche incoraggiati dai ripetuti veti posti dalla Cina alle sanzioni punitive del Consiglio di sicurezza dell’ONU nei confronti del programma nucleare iraniano. Affascinati dalla Cina, i leader iraniani hanno proposto anche l’implementazione di un “modello cinese”, fondato sull’equilibrio delicato fra un processo economico dinamico ed una politica essenzialmente statica.

Con i piedi per terra

Ciò che ha incrinato il quasi perfetto sodalizio sino-iraniano è stato il tentativo riuscito dell’amministrazione di Barack Obama di isolare l’Iran, portato avanti grazie ad un regime impietoso di sanzioni internazionali.

L’anno 2012 è stato un punto di svolta critico per i rapporti sino-iraniani, avendo messo alla prova i limiti dei rapporti bilaterali. A partire dal giugno 2011, la Cina ha iniziato ad abbandonare la sua postura pro-Iran per compiacere le potenze occidentali, che hanno rifiutato una “ricomposizione della disputa nucleare” turco-brasiliana, imponendo nuove sanzioni all’Iran. Anche i cinesi hanno iniziato a tentennare sul pagamento di miliardi di dollari di petrolio all’Iran, appellandosi a difficoltà nate dalle sanzioni internazionali sulla finanza iraniana. A questo punto, il terreno era pronto per un periodo di raffreddamento dei rapporti.

Quando le nazioni occidentali hanno imposto al principio del 2012 sanzioni debilitanti all’Iran, la Cina è ricorsa ad una condanna puramente retorica, ma sul piano fattuale ha deluso di molto le aspettative di Teheran. Non soltanto al Cina ha rifiutato di aumentare le sue importazioni di greggio aderendo all’embargo europeo sul petrolio, mandando in fumo circa un terzo delle esportazioni iraniane, ma ha anche congelato molti dei suoi investimenti in progetti energetici fondamentali per l’Iran. Agli inizi di quest’anno proprio quando le europee sanzioni sul petrolio hanno fatto il loro ingresso in scena, la Cina ha ridotto del 50% le importazioni di greggio. La Cina ha inoltre inviato un suo emissario alle monarchie del Golfo Persico per negoziare un rifornimento alternativo di petrolio e firmare contratti a lungo termine, avvertendo l’Iran di limitare ogni minaccia alla libertà di navigazione nello stretto di Hormuz, l’ultimo appiglio strategico dell’Iran dell’Iran.

Dopo mesi di contrattazioni, i cinesi hanno acconsentito ad aumentare le loro importazioni, ma non di molto rispetto alla media degli anni precedenti. A giugno, la Cina ha nuovamente diminuito le sue importazioni di greggio iraniano, questa volta del 25%, per guadagnare delle deroghe alle sanzioni di esenzione dal Dipartimento di stato americano.

Beijing ha promosso la sua importanza all’interno della ristretta cerchia commerciale iraniana portando all’estremo sconti, aumentando gli scambi e acconsentendo a pagamenti flessibili. Nel mentre i prodotti cinesi, economici e sussidiati, hanno messo a dura prova l’industria interna iraniana, che hanno lottato contro una valuta in caduta libera, la scarsità d’accesso ai beni, e limiti commerciali soffocanti, dovuti alle recenti sanzioni occidentali. Di conseguenza, l’Iran ha trovato sempre più difficoltà nell’accedere alla valuta estera, sostenere i livelli di produzione del greggio (dato il crollo delle esportazioni) e placare la fame tecnologica dei produttori iraniani.

Anche sul fronte del nucleare, la Cina non solo è stata reticente nell’appoggiare l’Iran di fronte alla crescente pressione esterna, ma ha anche fatto pressione su Teheran per fargli assumere una postura più flessibile e trasparente sul nucleare.

Agli inizi di giugno, il presidente cinese Hu Jintao, ha detto al suo omologo iraniano: “la Cina spera che la controparte iraniana possa soppesare la situazione, avere una approccio flessibile e pragmatico, intrattenere rapporti con le sei nazioni interessate (i cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU più la Germania), ed aumentare il dialogo con la Agenzia per l’Energia Atomica in modo da assicurare che le tensioni possano essere fugate attraverso la negoziazione.”

Anche se la Cina sta assistendo ad un cambio di leadership generazionale, questo mese, non c’è alcun segno che dimostri una qualsivoglia tensione di Beijing verso l’Iran. Consci della sua crescente dipendenza dalla Cina, i pragmatici e nazionalisti iraniani stanno iniziando a riconsiderare il loro approccio aggressivo nei confronti dell’Occidente.

Questo può spiegare l’Interesse espresso da Teheran per i dialoghi bilaterali con Washington per risolvere efficacemente l’impasse nucleare. Dopo tutto, lo scopo ultimo di Teheran è l’indipendenza, non passare da una bandiera all’altra.

Richard Javad Heydarian è un analista di politica estera iraniana e sicurezza internazionale. E’ autore del nuovo libro  The Economics of the Arab Spring: How Globalization Failed the Arab World, Zed Books, 2013. Per contatti: jrheydarian@gmail.com 

Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/NK10Ak02.html
10.11.2012

Traduzione per www.comedonchsciotte.org a cura di ALESSANDRA