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L’ennesima strage che non insegnerà nulla agli americani

di Enrico Galoppini - 17/12/2012

Fonte: Europeanphoenix




Se c’è una cosa che emerge con chiarezza ogni volta che in America avviene una strage come quella accaduta in una scuola del Connecticut, è che il tutto viene percepito e presentato come una “sciagura” che capita tra capo e collo ad una popolazione “senza colpa né peccato” e che proprio non se l’aspettava, la quale resta puntualmente esterrefatta ed incapace di darsi una spiegazione razionale del perché ci risiamo con l’ennesima “strage della follia”.

Sembra davvero che gli americani siano incapaci darsi conto del perché tutto ad un tratto un individuo armato fino ai denti irrompe in una scuola, in un’università, in un cinema eccetera e fa una carneficina. L’unica loro reazione, mista all’ovvia costernazione e sgomento, è l’incredulità: “Come può essere accaduto proprio a noi?”.

Ma è semmai questa reazione “ingenua” che lascia davvero stupiti.

Come fanno a non capire che è la loro stessa “civiltà” a porre le condizioni per queste esplosioni di apparente “follia”?

La “follia” vera qui infatti non c’entra nulla.

Il più delle volte, dal profilo dell’assassino di massa emerge una personalità discretamente “intelligente”. Non c’è niente di strano in questo, perché un sistema come quello disumano (cioè, non a misura d’uomo) vigente in America è in grado di mandare fuori di testa le persone più “dotate” e anche più “sensibili”, che non trovano una loro collocazione in un contesto avvertito come fasullo e per il quale non vale la pena d’impegnarsi per “farsi una posizione”. Di qui la personalità da “emarginati” di questi improvvisati assassini, che fino al giorno prima erano giudicati assolutamente “normali”.

Poi vi sono anche i pazzi clinicamente accertati, per carità, ma anche quelli, visto che colà sono in vertiginoso aumento, sono da addebitare per la maggior parte a cause ambientali (organizzazione sociale, ordinamento politico ed economico, “valori”), se solo si pensa che l’America è l’unico Paese al mondo la cui classe medica ha postulato una sindrome psichiatrica in non so quanti bambini piccoli, quella da “iperattivismo”, che manco a farlo apposta viene trattata con gli onnipresenti psicofarmaci. Un crimine che fa gridare sinceramente al delitto e allo scandalo.

La facilità con cui uno poi riesce ad improvvisarsi una specie di Rambo, acquistando con estrema facilità le armi più devastanti, completa un quadro da far tremare i polsi. E che purtroppo rischiamo di ritrovarci anche a casa nostra, a causa del dilagare sempre più inarrestabile dell’“americanismo” e del corrispondente tipo umano, estremamente debole dal punto di vista psicologico ed in balia del suo “umore” ad un livello preoccupante.

Per onestà, va detto che se le armi fossero reperibili con la stessa facilità anche in Italia, qua dopo il tramonto vigerebbe il coprifuoco, e il rumore di sottofondo delle nostre città somiglierebbe a quello dei film western. Questo per dire che in America alle armi prêt-à-porter ci hanno fatto il callo, altrimenti stragi come quest’ultima sarebbero all’ordine del giorno. Ma qua, se niente niente si derogasse al principio per cui uno non può andarsene in giro come un pistolero, in men che non si dica ci ritroveremmo in un inferno, e, tanto per proporre un esempio, i parcheggi dei supermercati, nei giorni di punta, quando tutti sono alla caccia frenetica d’un posto, si trasformerebbero in teatri d’orrende mattanze.

Eppure c’è il concreto rischio che anche a casa nostra, a furia di americanizzarci, esteriormente ed interiormente, un giorno salti fuori il “diritto di portare un’arma”. Ogni tanto qualche fissato con la “sicurezza” (che è un problema reale ma non può essere demandato alla “giustizia fai da te”) se ne esce fuori con questa storia, come quella sulla pena di morte (ovviamente solo per i poveracci, di fatto). Guarda caso si tratta sempre di “sceriffi”, padani o meno, infatuati dell’America e della sua “civiltà”. E allora a quel punto sarebbe la fine.

Per ora, ‘accontentiamoci’ – si fa per dire – della droga (di cui dobbiamo ringraziare i “Liberatori”), delle depressioni croniche, delle stragi familiari, di delitti passionali che non si risolvono più nel “romantico” suicidio da “delusione”, com’era un tempo… E dei suicidi da disoccupazione o insolvenza. Tutte delizie importate dall’America, a furia di conformarsi ad un modello perverso e disumano, come può constatare chiunque abbia un’età che gli ha permesso di vivere in un mondo in cui queste cose non erano neppure immaginabili.

Ma anche qua, in occasione di queste avvisaglie, di questi chiari avvertimenti che ci ricordano che dovremmo guardare altrove e non infilarci nel medesimo vicolo cieco, ogni volta che avviene una di queste stragi, per ora circoscritte all’ambito familiare o dei conoscenti, nessuno sa darsi ragione del perché avvengano, e non si sa andare oltre le comprensibili lacrime e il classico “a me sembrava una persona normale”.

Certo, che cosa si pretende, che chi fa una strage abbia le antenne e il naso a trombetta?

È questa la tragedia: la “normalità” di esseri umani sempre più fragili, manipolati e schiacciati, incapaci di “tenersi” e la cui frustrazione per una vita senza senso non sa più dove sfogarsi.

Anche questa volta, ci sarà del pane per sociologi, pedagoghi e psicologi sociali, tutti con la loro ricetta rassicurante, ma nessuno avrà il coraggio di ammettere che quando all’uomo togli la speranza, il mondo gli si trasforma in una prigione insopportabile. Da cui s’illude di sfuggire col “bel gesto”, l’unico ‘atto eroico’ di una vita monotona e grigia.

Non ci s’illuda infatti che bastino delle “tradizioni” come il tacchino del “Ringraziamento” ed una religiosità utilitaristica intrisa di moralismo, ad evitare queste tragedie. L’uomo è un tutto unico, così come la vita, quindi è illusorio sperare che basti una “religiosità” coltivata ad intermittenza, nell’ambito privatistico, a mantenere gli individui e la società in carreggiata. Non è ammissibile, se non si vuole vivere in un costante terrore di questi accessi di “follia”, continuare a delegare il vivere sociale, l’ordinamento politico ed economico ed i relativi “valori” ad entità astratte quali il “contratto sociale”, la “democrazia” e il “mercato”.

L’unica via d’uscita dal vicolo cieco del mondo moderno, di cui l’“americanismo” è solo la punta avanzata, è tornare ad una concezione olistica della vita in cui tutto sia interrelato, senza più compartimenti stagni ed ambiti illusoriamente “separati”, e ad una conseguente pratica, una traduzione in vita vissuta in cui anche “l’ordinario”, quello che ci siamo abituati a considerare “profano” (a partire dal lavoro, che così tanta parte ha nella vita delle persone), torni ad assumere il significato che gli è proprio, restituendo così dignità e sacralità alla vita di ogni essere umano.

Non basta dunque avere il bocca di continuo “Dio”, se questo diventa ostaggio di chi l’ha scambiato per una proiezione del proprio ego ipertrofico, compreso quello di un’intera nazione (“God Bless America”, “In God We Trust” scritto sul dollaro ecc.).

Occorre cambiare vita, e alla svelta, se non si vuol vedere anche di peggio.

Ma anche questa volta, gli americani, sapranno comprenderlo?