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Il populismo

di Franco Cardini - 17/12/2012

Fonte: identitaeuropea


Si parla fin troppo di populismo: che, come tutti gli “ismi”, dovrebbe indicare un’ideologia. Non è proprio così. Il populismo è una specie di mito oscuro, di oggetto misterioso, una balena bianca della storia moderna e contemporanea.  Lo hanno tenuto a battesimo ambiguamente, nell’Ottocento russo che ambiva a diventar Occidente e nel quale, tuttavia, si agitavano oscure pulsioni regressive ed esoteriche, alcuni gruppi d’intellettuali che, come spesso accade a quel genere di persone, odiavano l’intellettualismo, e senza dubbio tutto quel ch’era razionalista, e magari quel che, semplicemente, era ragionevole. Aspettate a dir ch’erano matti: o magari gforse lo erano, ma da trattarsi col dovuto rispetto: Fiodor Dostoevskji era tra loro, Lev Tolstoj non era lontano dalle loro idee e dai loro sogni.

Bisognava “andare verso il popolo”, “stare col popolo”, “diventare” o meglio “ridiventare popolo”, Il che, nella Santa Russia che cominciava un po’ troppo a popolarsi di banche, di industrie e di ferrovie, voleva dire tornare alla purezza della fede sentita semplicemente eppure profondamente  e, naturalmente, alla campagna.  I “vecchi cristiani” che si erano oposti alle riforme di Pietro il Grande, i martiri seguaci dell’arciprete Avvakum, finivano col tendere ambiguamente la mano alle profondità dell’antico paganesimo slavo: anche se, poi, a loro volta si trovavano stranamente d’accordo con certi modernizzatori nell’esecrare l’infezione ebraica  della purezza russa.

Come molte cose che venivano dalla Russia – sionismo compreso – questa cupa e atavica passione “popolare” contagiò ben presto lo stesso Occidente contro il quale era nata: soprattutto certi ambienti francesi, che si riconoscevano nella reazione monarchica o nell’estremismo anarcosocialista: e ne nacque quello strano connubio che in breve volger di anni avrebbe fatto incontrare gli estremisti di destra alla Maurras con gli estremisti di sinistra alla Sorel. Qualcosa del genere accadeva anche altrove, dalla Spagna  alla Germania alla stessa Inghilterra: ed era una reazione disorientata ma violenta al sorgere della questione sociale e alle sue contraddizioni.

C’era senza dubbio molto di ciò nello stesso estermismo socialista alla Blanqui: e se n’era accorta la buona signora Kulishova, come la buona signora Balabanova: ai primi del Novecento, nell’Italia centrale, le gesta del principe Bakunin e dei suoi comopagni  non erano state dimenticate, e quello strano giovane socialista allampanato e dagli occhi sferici dell’ipertiroideo, quel fanatico geniale che dirigeva “La Lotta di Classe”, sembrava attungere a piene mani da quel mondo sulfureo nel quale le rivoluzioni socialiste future somigliavano tanto alle rivolte contadine di masaniello e della “Santa Fede”.

Antiintellettuale, ancapitalista, antiburocratico e antiborghese, il populismo sfiorò il socialismo ma fu respinto dalle tesi aristocratico-oligarchiche del partito “guida” e “moderno principe”, quelle leniniste e, da noi, gramsciane. Si rifugiò allora nella reazione antibolscevica e gli dette un’anima antiborghese: finì nei “Corpi Francihi tedeschi, nello squadrismo italiano, in certe aree del nazionalismo autrriaco alla Dollfuss (non lontane dall’austrosocialismo) e del falangismo “di sinistra” alla ledesma Ramos e alla Onesimo Redondo. Forse anche nelle SA e nella sinistra nazista: non nella visione di Hitler, che nel Mein Kampf condannò duramente qualunque uso politico della paorla “popolo” come fumoso, inutile, velleitario. Ma ilpopulismo non si dette per vinto: varcò l’oceano, forse a bordo di molti nbastimenti di emigranti, e si radicò in America latina dove avrebbe offerto vita e linfa al socialismo dei alvorapotri dei mattati di Buenos Aires e al “fasciocomunismo” di Peron. Carto, semmai, è strano che oggi possa sembrar rivivere in un brodo di coltura piccolo-borghese. Ma attenti: si tratta di piccolo-borghesi che hanno paura di proletarizzarsi.