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La seconda navigazione

di Giuseppe Gorlani - 28/01/2013



 

Evoco accordi: mi affascinano i suoni delle parole e le immagini. Scrivo come cammino, a volte deviando attraverso i boschi, tra rovi ed erbe alte. Non c’è bisogno di conoscere la direzione. With no direction home, cantava Bob Dylan. Ora il bardo americano riceve premi dalle mani di Obama, pregiando, pur con indifferenza, la retorica lorda di sangue che nella sua ispirazione visionaria rigettava.

Nessuna ricerca dell’ordine che non sia l’innato mi guida. Un ciuffo di vegetazione più rigogliosa, dal color rosso porpora, attira lo sguardo; oppure, da un folto lussureggiante di ciliegi, noccioli e carpini, le grandi foglie del farfaraccio suscitano lampi di anamnesi.

Che pena quando qualcuno mi interroga, credendo che sappia le cose secondo il metro degli uomini sub sole. Non so davvero nulla, eppure, mentre vago a testa nuda nella volta celeste o mentre mi riposo al riparo del canto degli uccelli, vedo questa mano frantumare il cielo in mille e otto pentacoli esatti. Il cinghiale mi riconosce all’istante, le ghiande rotolano sotto le sue zampe sul tappeto di foglie secche, il muschio sulle pietre chiede di essere ignorato, le tortore selvatiche volano via al più piccolo rumore,  i rovi non lacerano la pelle e l’aria è dolcezza inesprimibile.

Sono. So di essere contenuto nell’Essenza del Tutto e di contenerla, ma non so nulla. I sonagli che introducono una melodia di origini africane agitano correnti profonde. Ormai il giardino con i pini marittimi e le cicale in cui ho amato una donna dalle lunghe trecce s’è fatto irraggiungibile. Le forme perdurano un istante e subito fuggono, riproducendosi di nuovo. Sono più saggio e muto del mare. Più bello di una quercia maestosa, più orribile di un riccio schiacciato. Più abbagliante della neve sulle montagne, più oscuro del pozzo senza fondo in cui si acquatta il terrore.

Da giovane avrei voluto lacerare milioni di fantasmi, salendo sugli autobus a Genova; avrei voluto farmi vasto e incandescente per abbatterli, decapitarli, disperderli. Poco dopo presi altre rotte e mi dilatai irreversibilmente all’estuario di un fiume. Oggi erigo un cippo funerario su qualsiasi pretesa di separatezza.

Scrivo per celebrare barlumi di bellezza: porte oltre le quali innalzarmi ad ottave superiori. Scrivo per onorare i volti molteplici del divino, per sedermi nella polvere e nell’erba, tastando con amore la terra. Traccio coordinate al di là della ragione, in forma di anfore colme di semi. Salpo per la seconda navigazione: difficilissima e semplice.