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Argo, Oscar alla propaganda

di Michele Paris - 26/02/2013


 


L’assegnazione del premio più ambito degli Academy Awards, la cui 85esima edizione è andata in scena nella notte tra domenica e lunedì a Los Angeles, ha avuto quest’anno una forte connotazione politica, sottolineata dall’apparizione via satellite dalla Casa Bianca della first lady, Michelle Obama, per annunciare la scelta di quella che avrebbe dovuto essere la migliore pellicola dell’anno appena concluso. Il trionfo in questa categoria di Argo indica infatti una inequivocabile approvazione da parte dell’industria cinematografica di Hollywood per la propaganda anti-iraniana di Washington e, più in generale, per le politiche dell’attuale amministrazione democratica.
Nominato a sette statuette, il film di Ben Affleck ha incassato, oltre a quello per il miglior film, anche altri due Oscar, per il miglior montaggio (William Goldenberg) e per la migliore sceneggiatura non originale (Chris Terrio), basata su un articolo di Joshuah Bearman apparso sulla rivista Wired nell’aprile del 2007. Il 40enne regista americano aveva già vinto un Oscar quindici anni fa assieme a Matt Damon per la migliore sceneggiatura originale del film Will Hunting - Genio ribelle (“Good Will Hunting”) di Gus Van Sant.
Come è noto, Argo è la trasposizione cinematografica di un episodio poco conosciuto nell’ambito della rivoluzione iraniana che nel 1979 rovesciò il regime dello Shah appoggiato dagli Stati Uniti. Nel novembre di quell’anno, un gruppo di dimostranti a Teheran fece irruzione nell’ambasciata americana tenendo in ostaggio 52 cittadini statunitensi per 444 giorni. Sei americani riuscirono però a fuggire e a trovare rifugio presso l’abitazione dell’ambasciatore canadese.
Il film di Affleck racconta come questi ultimi vennero fatti uscire dal paese in fermento grazie ad un’operazione pianificata dall’intelligence americana. Il protagonista, l’agente della CIA Tony Mendez, interpretato dallo stesso Affleck, a corto di soluzioni per trarre in salvo i sei connazionali, finisce per escogitare un singolare piano, fingendo di far parte della produzione canadese di un inesistente film di fantascienza da ambientare appunto in Iran. Con questa copertura, Mendez-Affleck riesce così a spacciare i sei diplomatici per membri della finta troupe cinematografica canadese, facendoli alla fine imbarcare su un volo della Swissair.
A parte una breve introduzione, nella quale vengono sommariamente descritti i fatti precedenti la rivoluzione del 1979, dal colpo di stato appoggiato dalla CIA nel 1953 agli oltre due decenni di dittatura sanguinaria promossa da Washington, i 120 minuti del film di Affleck celebrano senza imbarazzi l’eroismo del protagonista e della principale agenzia di intelligence d’oltreoceano.
I primi minuti della pellicola, in sostanza, servono unicamente a dare un’impressione di obiettività nella trattazione delle vicende iraniane in un film che si schiera più che apertamente dalla parte dell’imperialismo americano. La popolazione locale, inoltre, appare in larga misura come una massa brutale e indistinta, di fronte ad un corpo diplomatico statunitense animato invece dalle migliori intenzioni.
Il punto di vista di Affleck nella trattazione degli eventi appare evidente anche dal coinvolgimento nella produzione di Argo del vero Tony Mendez, il cui contributo, secondo lo stesso regista, avrebbe ispirato la realizzazione del film.
La parabola professionale di Ben Affleck nei quindici anni che separano i due riconoscimenti conferitigli dall’Academy di Los Angeles emerge chiaramente dalla visione di Argo ed è estremamente significativa e rivelatrice di un’intera sezione dell’industria cinematografica americana di ispirazione “liberal”.
Nel film Will Hunting - Genio ribelle, ad esempio, non mancava una certa critica verso la società e le istituzioni politiche americane, esemplificata dal riferimento agli accademici anti-establishment Howard Zinn e Noam Chomsky. Questa sia pure modesta attitudine critica, tuttavia, in Affleck come in molti altri autori vicini al Partito Democratico e di spessore artistico ben superiore rispetto a quest’ultimo, è andata però svanendo, fino a risolversi in un pressoché totale allineamento alle politiche guerrafondaie e di classe promosse dal governo americano. Un processo reso più semplice dalla presenza alla Casa Bianca di un presidente di colore e teoricamente di orientamento progressista.
In quest’ottica, l’ultima fatica di Ben Affleck finisce per contribuire, non necessariamente in maniera consapevole, ad aumentare le tensioni che caratterizzano i rapporti - o la mancanza di essi - tra gli Stati Uniti e l’Iran, occultando in gran parte decenni di crimini e sofferenze causate da Washington alla popolazione di questo stesso paese e presentando la CIA e il governo in un’ottica del tutto positiva proprio mentre i preparativi per una nuova guerra illegale continuano attraverso sanzioni, atti di sabotaggio e la militarizzazione della regione mediorientale.
La scelta di Argo come miglior film del 2012, inoltre, contrasta fortemente con l’assegnazione lo scorso anno dell’Oscar per il miglior film straniero al bellissimo film iraniano Una Separazione, di Asghar Farhadi. Una pellicola, quest’ultima, che, a differenza della gran parte delle produzioni hollywoodiane, trattava con profonda umanità e sensibilità una realtà complessa come quella dell’Iran, offrendo una rara occasione al pubblico americano di dare uno sguardo ad un paese la cui comprensione si perde nella retorica e nella propaganda dei politici di Washington.
Decisamente peggio rispetto ad Argo è andata invece nella notte degli Oscar per l’altro film di propaganda in gara, Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow. Bersaglio di molte polemiche per l’aperta giustificazione dei metodi di tortura impiegati dalla CIA dopo l’11 settembre 2001, il film che ricostruisce il raid che portò all’assassinio di Osama bin Laden in Pakistan si è dovuto accontentare del trascurabile riconoscimento per il miglior montaggio sonoro, oltretutto ex aequo con Skyfall, l’ultimo capitolo della saga di 007.
In generale, l’85esima edizione degli Oscar ha assegnato premi ad opere che contribuiscono poco o nulla alla comprensione delle questioni più importanti della società contemporanea, come conferma il riconoscimento per la miglior regia al taiwanese Ang Lee per il modesto Vita di Pi (“Life of Pi”), o che propongono una prospettiva storica del tutto distorta, come Django Unchained di Quentin Tarantino (miglior sceneggiatura originale dello stesso regista e miglior attore non protagonista a Christoph Waltz).
Tutti i film nominati offrivano d’altronde ben pochi stimoli in questo senso, con la quasi unica eccezione di Lincoln, di Steven Spielberg. L’efficace ricostruzione della lotta per l’abolizione della schiavitù durante la Guerra Civile americana da parte del regista di Schindler’s List e dello sceneggiatore Tony Kushner ha però alla fine ottenuto solo due statuette, quella per il migliore attore protagonista, lo straordinario Daniel-Day Lewis, e per la migliore scenografia.