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Una volta eravamo guerrieri

di Lorenzo Borrè - 13/03/2013

Una volta eravamo guerrieri, ed eravamo capaci di onorare la parola data col sacrificio della vita.

Tito Livio narra la storia di Marco Attilio Regolo, console romano fatto prigioniero dai cartaginesi durante la prima guerra punica e poi rimandato a Roma per convincere il Senato a sottoscrivere un trattato di pace, con l'accordo che ove Roma non avesse accettato, sarebbe dovuto ritornare a Cartagine e subire la pena capitale.

Attilio Regolo andò a Roma, ma esortò i Romani a continuare la guerra e -nonostante il parere contrario di alcuni politicanti, che esistevano anche allora- tornò nella città punica, ove fu messo a morte e fatto rotolare dentro una botte irta di chiodi per il pendio di una collina.

E' successo più di duemila anni fa, ma ancora nel XIV secolo eravamo poeti e uomini di coraggio e con Dante Alighieri consideravamo l'inganno uno dei peggiori peccati, meritevole di essere punito nelle bolge infernali più profonde, appena un cerchio sopra l'ultimo, quello dei traditori.

Poi son passati altri secoli e siamo diventati la quintessenza dell'inaffidabilità, maestri del malinteso, professionisti del gioco delle tre carte giocato a tutti i livelli, nella vita privata come in quella pubblica, nelle relazioni politiche interne come in quelle internazionali.

In centocinquanta anni non siamo mai stati dei giganti, quanto a credibilità internazionale, ma la mossa di non rimandare i due Marò in India al termine della “licenza elettorale”, rischia di porci, quanto a rispettabilità, un gradino al di sotto degli “Stati canaglia”.

Ed è stupefacente il tripudio di certi politici, accompagnato idealmente da uno sguaiato concerto di putipù e tromboni, per l'ennesima figuraccia internazionale di chi reclama il rispetto di usi e convenzioni internazionali, dopo aver violato -con un atto che sfacciatamente viene definito “coraggioso”- quello che universalmente è considerato il principio fondamentale del Diritto Internazionale: pacta sunt servanda.

Questi politici che ormai ragionano solo in termini di spread dimenticano, ammesso che l'abbiano mai saputo,  che, agli occhi dei Popoli e della Storia, la dignità e l'onore di una Nazione hanno più importanza  del PIL e del Mercato.

Fortunatamente sono giunti al capolinea: speriamo in un Italia migliore, molti di noi ne hanno diritto.