Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / I dieci saggi tra golpe Bilderberg e rivoluzione democratica

I dieci saggi tra golpe Bilderberg e rivoluzione democratica

di Claudio Moffa - 02/04/2013


Che quello di Napolitano sia un mezzo golpe, un bis di quello che rovesciò Berlusconi nel novembre 2011, è credibile, anzi evidente: al di là del pasticcio del mezzo incarico a Bersani, l’affidare a 10 cosiddetti saggi la soluzione dello stallo parlamentare è una forzatura che punta ad ingabbiare la crisi entro i binari ristretti delle persone scelte per l’operazione:  5 o 6 esponenti targabili centrosinistra, e/o magistratura cosiddetta progressista, poteri bancari, establishment ufficiale. Nessun 5stelle, un solo Leghista e un piddiellino di nome Quagliarello, quello che pretende “più Europa” e non “più Italia” per uscire dalla crisi. Non c’è neanche, a mo’ di pendant più meno fittizio del piattino di re Giorgio, un sindacalista, un esponente dell’associazionismo dei consumatori, una qualche voce alternativa capace di parlare alla pancia del “Popolo sovrano”. Saggi a cui verrebbe affidata la designazione del nuovo ‘incaricato’, a loro immagine e somiglianza, finalizzata a una riedizione del governo Monti, con o senza Monti, facendo leva su quella sinistra e destra finanziarie che albergano sia nel PD che nel PDL. Ma …

Ma il golpe potrebbe trasformarsi anche nel suo contrario: in assenza di governo – come ha notato giustamente Grillo – si torna alla centralità del Parlamento, arena possibile per cominciare veramente ad affrontare i problemi dell’Italia giocando a carte scoperte.  Fuori i veri programmi ora, senza l’alibi della necessità di nuove elezioni per tornare a promettere l’abolizione dell’IMU che giusto ieri o l’altro ieri, in un talk show Gasparri ha svelato essere stata una falsa promessa elettorale.

A occhio e croce verranno fuori tre cose: primo, nel centrodestra e centrosinistra tradizionali, costretti a confrontarsi in aula su progetti concreti emergerà con più forza e più apertamente l’ala ‘finanziaria’ e ‘eurodogmatica’: una trasversalità meno compressa dai rispettivi vertici, più ‘libera’ di trescare assieme.

Secondo, verrà fuori la confusione dei e nei partiti: per esempio nel Pdl. E’ convincente l’editoriale de Il Giornale di Pasqua (la tesi del golpe, appunto), ma Sallusti a un certo punto scrive che Renzi è “avversario ben più ostico per il centrodestra”. Vero? Ma come mai allora è stata nominata  coordinatrice dell’organizzazione – in probabile concorrenza-alternativa sia ad Alfano sia al ‘congelato’ Sandro Bondi - proprio la Santanché, che durante le primarie PD tifava Renzi, in nome di un tragicomico ‘anticomunismo’ che aveva per obbiettivo il pericolosissimo bolscevico Bersani?  Che Sallusti menta o sbagli, bisogna vedere a ‘quale’ centrodestra si rivolge la sua battuta: quello dello “spirito del 94” quello opposto modello Abruzzo del banchiere Tancredi, il cui rinvio a giudizio per corruzione guarda caso non è citato nella inchiesta ‘regione per regione’ de l’Espresso  in edicola, o quello ‘elettorale’ di Berlusconi, lotta dura senza paura.

Infine è probabile un’ulteriore ascesa di Beppe Grillo. 5 stelle presenterà le proposte più radicali per uscire dalla crisi e su queste dovranno  confrontarsi gli altri partiti. Quanto poi durerà questo confronto in aula senza la formazione di un governo ‘vero’, che non sia quello Monti,  è da vedersi: è chiaro che re Giorgio  vede solo come un incidente di percorso la linea Grillo di dar la parola ai rappresentanti del popolo italiano. Forse aspetta solo che venga eletto il nuovo Presidente: i 10 saggi sono stati scelti probabilmente anche e soprattutto con questo obbiettivo, e c’è solo da sperare che i loro ‘consigli’ – Napolitano bis? D’Amato, il privatizzatore dell’industria di Stato nel 1992? Monti? O chi altro? – non trovino mai la maggioranza. Per l’Italia comincerebbero altri 7 anni di incubi, magari con una nuova guerra ‘legittima’ a cui partecipare. Come quella di Libia, che il Presidente sponsorizzo’ dall’inizio alla fine, la fine della guerra e la fine di Gheddafi, legittimamente linciato dai ‘liberatori’ della Jamahirya.