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Morto Chavez, Evo Morales è nel mirino della globalizzazione

di Vicky Pelaez - 02/04/2013


COP15-Bolivian-President--001Quanto è facile istigare la gente… Ma quanto è difficile guidarla
(Rabindranath Tagore, 1861-1941)

L’ordine del giorno dei “globalisti illuminati”, il cui vero scopo è il controllo completo sulle risorse naturali del pianeta attraverso la lotta preventiva contro i dirigenti che hanno il coraggio di sfidare questo processo difendendo gli interessi nazionali del proprio Paese, non ha mai un momento di riposo o di sosta. Utilizzando in modo permanente, irreversibile, spietato tutte le risorse disponibili, dalla più rudimentale alla più altamente sofisticata. Per oltre 14 anni sono stati in guerra segreta contro il governo bolivariano di Hugo Chavez, ma non hanno cambiato le loro intenzioni dopo la sua morte. Ora è il turno del primo presidente Aymara della Bolivia, Evo Morales, che ha avuto il coraggio di dichiararsi “anti-imperialista” guidando il suo popolo verso lo Stato del buon vivere, apportando modifiche sostanziali e senza compromessi alla qualità della vita e alla protezione della natura.
Negli ultimi mesi la guerra mediatica contro Evo Morales e il suo governo si è intensificata, definendolo dittatore comunista, chavista, fidelista, individualista, egocentrico, anticlericale, narcisistica, ecc. Tuttavia vi è un nuovo elemento che corrompe, confonde e induce in errore le tradizionali basi di supporto dell’amministrazione del presidente, le organizzazioni non governative (ONG). In realtà, è una premessa che ricicla il concetto di “democrazia controllata” sviluppato e spiegato dal professore statunitense William A. Douglas nel 1972, nel suo libro “Sviluppando la Democrazia”. Per Douglas, il modo più sicuro per mantenere l’egemonia degli Stati Uniti sul Terzo Mondo e, in questo caso, in America Latina, è la creazione di agenzie specializzate statunitensi che prendano il controllo evitando di essere visibili alle organizzazioni di base strumentalizzate nella promozione e applicazione degli interessi geopolitici e geo-economici di Washington, in ogni Paese ritenuto importante per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. L’agitazione indiana intorno al progetto di costruzione della strada Villa Tunari – San Ignacio de Moxos, che avrebbe attraversato il Territorio Indiano Parco Nazionale Isiboro-Secure (TIPNIS), è un esempio dell’influenza delle ONG nell’organizzazione delle nove marce contro il progetto, e nella preparazione della decima. annunciata dal presidente della Confederazione dei Popoli Indigeni della Bolivia (CIDOB), Adolfo Chavez.
Le ONG REDD (finanziata dalla Svezia), Fondo Verde (finanziata da Gran Bretagna, Norvegia, Austrlia e Messico), e altre 20, sono attive in tutte queste marce. Sono attualmente coinvolte nel programma di promozione, veramente assurdo, tra le 64 comunità indigene yurakares, trinitari, chimanes, mojenos, in totale 10.000 persone del TIPNIS, affinché il governo riconosca “il nostro diritto a ricevere una compensazione della riduzione dei gas a effetto serra che spetta ai nostri territori.” E’ noto che il progetto stradale esista dal 1765, e che nel 1826 durante il governo del maresciallo Antonio José de Sucre, venisse emessa una legge per collegare i dipartimenti di Beni e Cochabamba, utile per l’economia delle due regioni, come anche per il benessere dei popoli del TIPNIS. È anche noto che la maggior parte dei popoli indigeni della zona sia a favore della costruzione della strada, e il governo ha promesso di consegnare il 2 aprile la relazione finale dell’indagine presso i popoli del TIPNIS. La consultazione ha raggiunto 58 delle 69 comunità, 11 hanno deciso di non partecipare al processo. Un totale di 55 comunità sostiene la costruzione della strada e tre sono contro. Nonostante il voto della maggioranza, la minoranza vuole marciare, perché vi sono gli interessi delle grandi aziende che utilizzano spesso le ONG per assicurarsi l’accesso alle risorse naturali in Bolivia. Ufficialmente operano nel Paese 399 ONG e chissà quante altre non sono registrate. Sappiamo anche che 22 di esse sono dietro le marce indigene. Di recente la Confederazione dei sindacati dei lavoratori contadini ha avvertito che “dietro la marcia degli indiani in Oriente vi è un forte movimento politico per destabilizzare il governo.”
Sembra che ci sia uno slogan dei globalisti sulla necessità di modificare la stabilità socio-economica della Bolivia, per non consentire a Evo Morales di vincere le prossime elezioni presidenziali, nell’aprile 2014. Dal dicembre dello scorso anno è iniziata una campagna orchestrata dall’opposizione che denuncia l’alto livello di corruzione del governo nazionale. Poi s’è intensificato il processo di divisione all’interno della base di Evo Morales. La cosa strana di tutto questo processo, è la coincidenza degli interessi della destra e della sinistra nell’attaccare il presidente usando i pretesti dell’opposizione élitaria tradizionale boliviana. I due gruppi non hanno risparmiato nessuno sforzo per denunciare l’”evonarcisismo” e la “megalomania” del presidente, con il pretesto che 16 strutture pubbliche, tra cui aeroporti, stadi, scuole e centri culturali e sportivi sono stati denominati Morales. Inoltre, sia a sinistra che a destra, l’accusano di vanità per aver ricevuto 20 lauree honoris causa erogate da università straniere. Ciò che non tengono in considerazione i suoi detrattori, è che è stata la volontà degli abitanti di questi luoghi a voler denominare con il nome del presidente le opere, ringraziandolo per i suoi tentativi di migliorare il tenore di vita, costantemente ignorato dalle autorità precedenti.
L’opposizione ha paralizzato la vita economica di Oruro per 40 giorni, per il semplice fatto che l’aeroporto locale, che il presidente ha fatto ripristinare, era stato rinominato da John Mendoza a Evo Morales dal parlamento dipartimentale. Questa protesta è stata così abilmente condotta che nessuno ha preso in considerazione il danno che è stato fatto all’economia del dipartimento di Oruro e le perdite che hanno dovuto subire i suoi abitanti. Ed in questo contesto, gli insegnanti trotskisti sono stati tra i più attivi nel destabilizzare il dipartimento, come se non ci fossero altri modi per combattere ciò che definiscono arbitrarietà o ingiustizia storica. Gruppi anche sorprendentemente diversi, guidati dal segretario esecutivo della Banca centrale mineraria del Dipartimento del Lavoro (COD) di Oruro, un’organizzazione storicamente nota come rivoluzionaria, si sono alleati con la destra razzista in questo sciopero. Hanno dimenticato i minatori Huanuni, che per la prima volta nella storia hanno visto i loro stipendi, grazie agli sforzi del governo attuale della Bolivia, salire a 30.000 bolivianos al mese. Ma la storia non finisce qui. Appena calmatasi la situazione in Oruro, gli agricoltori della provincia Manco Kapac, hanno bloccato la strada Tiquina – Capacabana proprio all’inizio della Settimana Santa, durante la quale migliaia di fedeli percorrono la strada per venerare la Vergine di Copacabana. I promotori di questa azione propongono un referendum per decidere la costruzione di un ponte sullo Stretto di Tiquina, rifiutando il dialogo con il governo.
La Confederazione operaia boliviana (COB) di orientamento trotskista, fa parte di questa lotta contro Evo Morales, avendo deciso di formare il Partito dei Lavoratori, il nome dato allo Strumento Politico degli Operai guidati da Guido Mitma. Lo scopo di questa creazione è d’opporsi ad Evo Morales nelle elezioni presidenziali dell’aprile 2014, e lo slogan del nuovo partito è “Trema Evo, siamo i minatori“. Tuttavia, alla COB sono affiliati 6.186 minatori appartenenti al settore statale, mentre 112.000 lavoratori di questo settore appartengono alle cooperative minerarie, e non hanno nulla a che fare con la COB.
La Chiesa cattolica non avrebbe “simpatia” per Evo Morales. Come in Venezuela, Ecuador, Nicaragua e Argentina, questa istituzione religiosa si è opposta ai programmi sociali in favore dei poveri. Durante il secondo tentativo di colpo di stato, nel giugno dello scorso anno (il primo si ebbe nell’aprile 2009) la Chiesa cattolica ha benedetto la polizia anti-sommossa. Secondo il presidente, “i nuovi nemici della Bolivia, non sono solo la stampa di destra, ma anche i gruppi della Chiesa cattolica, la gerarchia della Chiesa cattolica, nemici della trasformazione pacifica della Bolivia“. Si prevede che con il nuovo Papa Francesco, i rapporti tra Evo Morales e la chiesa non avranno possibilità di migliorare a causa delle tensioni che l’attuale governo ha sempre avuto con l’”agenzia stampa Fides”, un giornale dei gesuiti. Secondo Evo Morales, “Quando i popoli vengono rovinati dallo Stato coloniale, la Chiesa cattolica non viene a soccorrerlo. Quando il popolo conquista lo Stato coloniale, appare il prete che prega con i dirigenti, con i mediatori. Ma quando i popoli vengono sconfitti dallo Stato, la Chiesa non c’è.”
Né gli Stati Uniti hanno perdonato Evo Morales per l’espulsione delle sue istituzioni USAID [agenzia di 'aiuti' estera] e DEA [agenzia per 'lotta' alla droga], per spionaggio e tentativi di destabilizzazione del Paese, e dell’ambasciatore statunitense Philip Goldberg per istigazione a proteste violente contro il governo della Bolivia. Tutto questo spiega perché il dipartimento di Stato ha  affermato, per quattro anni consecutivi nelle sue relazioni annuali, che la Bolivia ha “manifestamente fallito” nella lotta contro il traffico di droga, a dispetto delle differenti statistiche degli ultimi anni, avanzate dalle autorità del Paese. Certo se Evo Morales avesse accettato il ritorno della DEA, i risultati dei rapporti sarebbero stati più positivi per la Bolivia. Tuttavia, la storia dimostra che le statistiche del periodo 1985 -1990, durante la presenza della DEA, le piantagioni di coca passarono da 35.000 ettari a 75.000 ettari nel Paese. Ma questa è un’altra storia.
Nel frattempo, nonostante tutte le difficoltà, i sabotaggi, gli scioperi e le marce, la Bolivia è sulla via dello Stato del buon vivere. Recentemente, alla celebrazione del 18° anniversario della fondazione del Movimento al Socialismo (MAS), Evo Morales ha affermato che continuerà a “combattere il capitalismo, l’imperialismo e il neoliberismo.” Ha sottolineato che “ora abbiamo una Patria, abbiamo ridato la Patria ai boliviani“. E in questo Paese, secondo il Vicepresidente Alvaro Garcia Linera, “sempre meno boliviani, e presto nessun boliviano, andrà a letto affamato perché qui stiamo distribuendo la ricchezza, che appartiene a tutti noi, a vantaggio dei più poveri, umili e bisognosi“.
Se il commediografo statunitense Arthur Miller avesse osservato il processo boliviano avviato da Evo Morales, certamente avrebbe pronunciato la sua famosa frase: “Le ruote spostano le ruote in questo Paese, e il fuoco alimenta il fuoco.” Possano questi incendi avvantaggiare il popolo e che nessun vento del Nord possa spegnerli!

Traduzione di Alessandro Lattanzio -SitoAurora