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Democrazia e "quirinarie"

di Francesco Mario Agnoli - 26/04/2013

La  sofferta (per le traversie che l'hanno preceduta) rielezione di Giorgio Napolitano alla presidenza della repubblica, sarà certamente oggetto di infiniti  commenti sia sulle cause che hanno costretto i partiti a rivolgersi nuovamente a lui quasi forzandone la volontà, sia  sulle conseguenze che avrà sulla formazione del  governo  e anche  sulle sorti di alcuni partiti. Fra questi ultimi, oltre ad uno sconquassato Pd, in particolare il Movimento  Cinque Stelle, che, pur non essendo riuscito a fare eleggere il proprio candidato, si è conquistato  sul campo il ruolo di possibile centro di coagulo di una nuova opposizione attiva non solo in parlamento, ma anche nel  paese,  dove cercherà di presentarsi come autentico rappresentante delle istanze e della volontà popolare.   Difatti Beppe Grillo ha continuato a sostenere fino all'ultimo (e fino a qualificare colpo di stato l'accordo per la rielezione di Napolitano)  che  il candidato da eleggere  era quello del M5S, Stefano  Rodotà (dopo le rinunce della giornalista tv Milena Gabanelli e di Gino Strada) in quanto  proposto  non dai vertici di un partito, ma, democraticamente,  dalla base, quindi  l'unico a presentarsi con una designazione popolare alle spalle.

    In realtà la pretesa di confondere la base (cioè i propri iscritti)  con il popolo è comune a tutti i partiti, ma questa  identificazione sempre falsa  lo è in massimo grado nel caso  del M5S, nel quale   rappresenta  un'infima percentuale non solo (come avviene, in misura più o meno grande, per tutti i partiti)  del popolo italiano, ma del suo stesso elettorato.

   Alle ultime consultazioni elettorali il Movimento di Grillo ha ottenuto circa 9.500.000 di voti, i grillini legittimati a partecipare alle “quirinarie” (le consultazioni via web per la designazione del candidato) erano circa 50.000 e poco meno gli effettivi partecipanti.  La sproporzione è enorme, e non varrebbe dire che va peggio  negli altri partiti, che affidano la decisione  delle candidature  a vertici di poche persone. Il fatto è che in questi partiti i vertici, usciti da una serie di consultazioni interne, rappresentano davvero, attraverso il gioco delle maggioranze e delle minoranze,  la base e, soprattutto, quest'ultima costituisce nella sostanza, sia pure con tutte le differenze che intercorrono fra il  militante e il semplice elettore, uno specchio abbastanza fedele del proprio elettorato.

   Nel caso dei 5 Stelle è vero l'esatto contrario.  Politologi ed esperti  di flussi elettorali concordano che almeno la metà, se non più,  dei  9.500.000 voti ottenuti dal Movimento provengono da elettori  delusi del Centro-Destra. Delusi sì, ma, almeno per la maggior parte,  non passati alla  Sinistra (se così fosse stato avrebbero scelto un partito di questo schieramento, dove, oltre tutto, non mancavano proposte nuove come quella di Rivoluzione Civile). Hanno scelto il M5S   perché hanno creduto a Grillo quando  metteva i vecchi partiti e  le vecchie ideologie sullo stesso piano e dichiarava  superate, anzi ipocrite ed ingannevoli, le  tradizionali distinzioni fra  Sinistra, Destra e Centro.

    Al contrario  le “quirinarie” hanno fornito la prova  che i 50.000  militanti della base, abbiano o no  precedenti militanze,  appartengono tutti all'area  del paese che si riconosce nella cultura e nella politica definite di Sinistra. Solo questa appartenenza spiega  come mai  fra  i dieci designati dalle “quirinarie”, inclusi quelli  della cosiddetta “società civile”, non ve ne sia nemmeno uno attribuibile al Centro o, tanto meno, alla Destra, e provengano invece tutti dall'aerea della  Sinistra.  Nemmeno mancano, fra i designati, i  “vecchi” politicanti che hanno rivestito o tuttora rivestono un ruolo di grande rilievo  in quei partiti di Sinistra accomunati da Grillo, senza distinzioni, a quelli di Destra o di Centro (a cominciare  dal Pdmenoelle).

     Il meno che si possa dire è che nel partecipare alle “quirinarie” i militanti  hanno  dimenticato che nell'esercitare il diritto di voto dovevano tenere conto  anche dell'elettorato  del Movimento e delle sue attese (i  vertici  dei partiti tradizionali, anche se spesso malamente, lo hanno sempre fatto). Al contrario hanno  privilegiato le proprie personali convinzioni ideologiche, trascurando perfino i programmi  tante volte enunciati (anzi gridati)  dal padre-fondatore. E' possibile che il primo a esserne sorpreso (succede spesso ai fondatori) sia stato proprio Grillo, che si è così trovato a sostenere la candidatura di uno Stefano Rodotà, che oggi definisce “uno che è stato fuori dal giro”, ma che in un  articolo del 6 luglio 2010 e di nuovo  il 18 luglio 2011 aveva   incluso, con tanto di nome e cognome,  in un elenco di personaggi da lui “maledetti”,  perché titolari (e per non avervi rinunciato) di una pensione d'oro di origine parlamentare