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Siria, gli amici degli amici

di Michele Paris - 24/05/2013

La trasferta mediorientale di questa settimana del segretario di Stato americano, John Kerry, avrebbe dovuto ufficialmente contribuire a gettare le basi per i preparativi dell’imminente conferenza di pace di Ginevra per risolvere la crisi in Siria. In realtà, la visita di Kerry ha mostrato ancora una volta come gli americani intendano continuare ad alimentare lo scontro nel paese, così da giustificare un impegno diretto per rovesciare con la forza il regime filo-iraniano di Bashar al-Assad.

Dopo una visita al dittatore dell’Oman, il sultano Qaboos bin Said Al Said, per favorire la firma di un contratto di fornitura di armi per oltre due miliardi di dollari, l’ex senatore del Massachusetts è atterrato mercoledì ad Amman, in Giordania, dove in serata è andato in scena un vertice di 11 stati –compresa l’Italia, rappresentata dal ministro Bonino - facenti parte dei cosiddetti “Amici della Siria”, il gruppo di governi direttamente responsabili della devastazione causata in questo paese da oltre due anni di conflitto.

A riassumere efficacemente la natura del consesso è stato l’ambasciatore di Damasco presso il regno Hascemita di Giordania, Bahjat Suleiman, il quale in una conferenza stampa poco prima dell’arrivo di Kerry ha denunciato “il meeting dei nemici della Siria”, impegnati ad “armare, finanziare e promuovere gruppi di terroristi e bande criminali”. L’ambasciatore ha poi ribadito la disponibilità del regime a “cooperare e collaborare con qualsiasi opposizione che abbia un programma nell’interesse della Siria”.

Kerry, in ogni caso, ha espresso in particolare la preoccupazione per il contagio del caos siriano ai paesi vicini, in particolare il Libano, paese definito ormai “a rischio”. L’amministrazione Obama è estremamente allarmata per i rovesci subiti nelle ultime settimane dai “ribelli” armati, in parte prodotti dall’arrivo in Siria di un certo numero di combattenti inviati da Hezbollah, la milizia/partito sciita libanese alleata del regime alauita di Assad.

L’intervento di Hezbollah in Siria occidentale, secondo numerosi analisti, avrebbe permesso a Damasco di essere sul punto di strappare al controllo dei “ribelli” la località strategica di Qusayr, dove da qualche giorno infiamma una durissima battaglia che ha fatto parecchie vittime e costretto la maggior parte dei civili ad abbandonare le proprie abitazioni.

Questa città, situata ad una manciata di chilometri dal confine con il Libano, rappresenta uno dei punti principali di transito di guerriglieri e armi destinate all’opposizione siriana e il suo controllo da parte del governo permetterebbe di ristabilire i collegamenti tra la capitale e la costa mediterranea. Se un inviato a Qusayr del quotidiano libanese Al Akhbar ha affermato mercoledì che la battaglia per la città non è ancora vinta dalle forze del regime, queste ultime sembrano essere comunque sul punto di liberarla dai “ribelli”, per poi puntare verso nord e avviare probabilmente un ulteriore assalto alle loro postazioni a Homs.

Questa evoluzione favorevole al regime sul campo ha spinto lunedì scorso Barack Obama a telefonare al presidente libanese, Michel Suleiman, invitandolo a fare il possibile per impedire l’afflusso di uomini e armi di Hezbollah in Siria. Con l’estremo cinismo che caratterizza il governo americano, Obama ha aggiunto che l’ultima cosa che gli Stati Uniti si augurano è un’esplosione di violenza settaria anche in Libano.

I timori di Kerry e Obama - così come quelli dei falchi democratici e repubblicani al Congresso che temono di assistere al fallimento delle loro speranze di far cadere un regime odiato proprio quando ciò sembrava essere a portata di mano - occultano ovviamente la questione principale, vale a dire le responsabilità di Washington, dell’Europa, di Israele e delle monarchie assolute del Golfo Persico nell’alimentare lo stesso conflitto settario che dalla Siria si sta allargando al Libano ma anche all’Iraq tramite la promozione di gruppi integralisti sunniti utilizzati per abbattere Assad e la sua cerchia di potere.

Le stesse accuse rivolte a Hezbollah per avere deciso l’invio di un proprio contingente a combattere a fianco dell’esercito regolare sono quanto meno ipocrite, visto che dal Libano, così come dalla Giordania, dall’Iraq e dalla Turchia, da tempo viene facilitato l’ingresso in Siria di estremisti violenti per combattere sul fronte opposto, spesso legati ad Al-Qaeda e responsabili di una lunga serie di orrendi attentati contro obiettivi civili.

Per il segretario di Stato americano, inoltre, l’intervento di Hezbollah sarebbe la ragione principale dei rovesci militari patiti dai ribelli armati in varie parti del paese. Simili teorie, amplificate dai media occidentali, hanno il preciso scopo di nascondere il vero motivo degli insuccessi dell’opposizione, cioè la loro sostanziale impopolarità tra la popolazione siriana, compresa buona parte della maggioranza sunnita con cui condivide la fede religiosa.

Insistendo su questo punto e basandosi pressoché esclusivamente su dubbi resoconti dei “ribelli”, esponenti dell’amministrazione Obama nei giorni scorsi hanno anche diffuso la notizia che l’Iran starebbe partecipando attivamente al conflitto in Siria con un certo numero di propri soldati.

Per quanto riguarda il vertice di Amman, invece, le dichiarazioni ufficiali dei partecipanti hanno rivelato a sufficienza il senso che gli Stati Uniti e i loro alleati intendono dare alla conferenza già definita come “Ginevra II”, in riferimento ad un primo incontro tra le potenze internazionali avvenuto lo scorso anno nella città svizzera per cercare inutilmente di accordarsi su un esito condiviso della crisi siriana.

In particolare, John Kerry ha avvertito il regime di Assad che, nel caso dovesse dimostrarsi poco collaborativo per “negoziare una soluzione politica”, ovvero dovesse rifiutare di sottostare alle imposizioni di Washington, l’amministrazione Obama prenderebbe in considerazione un impegno ancora maggiore a favore dei ribelli.

Dal momento che tra le condizioni annunciate dagli USA e dall’opposizione sostenuta dall’Occidente in vista di Ginevra ci sono le dimissioni di Assad per fare spazio ad un governo di transizione, l’esito della conferenza appare facilmente prevedibile, così come risulta evidente l’utilizzo di essa da parte degli americani come un altro pretesto per giustificare un intervento diretto in Siria e ribaltare l’esito del conflitto.

Lanciato di comune accordo con il Cremlino nel corso di un recente vertice a Mosca tra Kerry e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, l’incontro di Ginevra, nell’eventualità più che probabile che dovesse risolversi in un fallimento, verrebbe dunque utilizzato dagli Stati Uniti per puntare il dito contro Damasco di fronte alla comunità internazionale, accusando Assad di non essere disponibile ad una soluzione pacifica del conflitto.

In sostanza, Ginevra II non rappresenta altro per gli USA che un ulteriore strumento per avanzare i propri obiettivi strategici connessi alla situazione in Siria, cioè il cambio di regime per istituire un governo fantoccio al proprio servizio e spezzare l’asse della “resistenza” anti-americana e anti-israeliana in Medio Oriente, così da isolare l’Iran e Hezbollah e renderli relativamente inoffensivi in vista di future aggressioni nei loro confronti per espandere il controllo americano sull’intera regione.

La strada verso il coinvolgimento americano in una nuova guerra continua infatti ad essere preparata anche a Washington, dove questa settimana la commissione Esteri del Senato ha gettato le basi legislative per la partecipazione attiva degli USA alla guerra in Siria. Con una maggioranza schiacciante, la commissione già presieduta dall’attuale segretario di Stato ha approvato una proposta che autorizzerà la Casa Bianca a fornire direttamente armamenti pesanti ad un’opposizione dominata da elementi radicali e totalmente incapace in più due anni di raccogliere un reale consenso tra la popolazione siriana.